Categorie: Diritto Famiglia | Diritto Unione Europea e Antitrust

Famiglie omogenitoriali e trascrizioni negate: quali diritti per i figli?
Data: 20 Giu 2023
Autore: Manuela Giacomini

È notizia di oggi la decisione della Procura di Padova di impugnare 33 atti di nascita registrati dal sindaco Sergio Giordani, dal 2017 a oggi, per riconoscere ai figli delle coppie omogenitoriali gli stessi diritti degli altri.

In particolare, la Procura di Padova avrebbe già notificato un atto giudiziario in cui si chiede al Tribunale di rettificare l’atto di nascita di una bambina, registrato il 30 agosto 2017, figlia di due donne, chiedendo la cancellazione del nome della madre non biologica e la rettifica del cognome attribuito alla figlia attraverso l’eliminazione di quello della seconda madre. Il Tribunale ha fissato l’udienza per la discussione del ricorso il prossimo 14 novembre.

La Procura di Padova fa leva sul fatto che nel diritto italiano non esiste la “seconda mamma” e la possibilità per la donna di assegnare al figlio biologico il cognome della propria compagna, tanto è vero che la Corte Costituzionale nel 2021 aveva recentemente invitato il Parlamento a sopperire al «vuoto di tutela» in cui si trova il minore nato da coppia omogenitoriale.

Inoltre, la Procura si è attivata a seguito della circolare del Ministero dell’Interno del 19 gennaio scorso diretta ai Prefetti, che aveva scatenato le polemiche di diversi Sindaci.

Nella circolare, infatti, si chiede lo stop alla trascrizione dei certificati di nascita di figli omogenitoriali sulla scorta della sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite del 30 dicembre 2022, in cui i supremi giudici avevano stabilito che i bambini nati all’estero con la maternità surrogata dovessero essere riconosciuti in Italia come figli di entrambi i genitori solo con l’adozione in casi particolari, che richiede l’approvazione di un giudice, e non con la trascrizione diretta all’anagrafe.

Tuttavia, tutti questi 33 casi riguardano bimbi che non sono nati tramite maternità surrogata e sul contenuto di tale circolare era intervenuta anche l’Unione europea a marzo di quest’anno tramite il Commissario europeo per la Giustizia, Didier Reynders, il quale ha affermato che: “In linea con la strategia per l’uguaglianza delle persone Lgbtq 2020-2025, la Commissione è in continuo dialogo con gli Stati membri riguardo all’attuazione delle sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea” e “ciò comprende anche l’obbligo per gli Stati membri di riconoscere” i figli “di genitori dello stesso sesso, ai fini dell’esercizio dei diritti conferiti dall’Ue”.

Reynders ha, infatti, precisato che gli Stati membri sono competenti per l’adozione di misure di diritto di famiglia sostanziale, comprese quelle riguardanti il genere e il contenuto dei documenti e dei moduli standard nazionali relativi al genere e, sulla base dell’acquis in materia di libera circolazione, “i termini utilizzati per rivolgersi a ogni genitore in un documento rilasciato in uno Stato membro non possono essere invocati da un altro Stato membro per rifiutare il rilascio di un passaporto o di una carta d’identità a un minorenne i quali genitori siano dello stesso sesso. Gli Stati membri devono rispettare i diritti fondamentali che sancisce la Carta, compreso il diritto alla non discriminazione, esclusivamente in relazione all’attuazione del diritto dell’Ue”.

Tale conclusione nasce a seguito della pronuncia della Corte di Giustizia nel caso C-490/20 PPU del 14 dicembre 2021, che è stata chiamata ad esprimersi sulla controversa questione del legame di filiazione tra un minore e genitori dello stesso sesso, con riferimento al godimento dei diritti derivanti dalla libera circolazione.

La CGUE si è espressa grazie al rinvio pregiudiziale disposto dal Tribunale amministrativo di Sofia, in Bulgaria, dove il personale del Comune della città si è rifiutato di rilasciare un certificato di nascita (necessario per richiedere la cittadinanza bulgara) per una minore, nata nel 2019 in Spagna e riconosciuta dallo Stato spagnolo come figlia di due donne: una con cittadinanza bulgara e una con cittadinanza britannica. Nel certificato di nascita della bambina, rilasciato dalle autorità spagnole competenti, entrambe le donne sono indicate come “madre”.

La motivazione addotta per il rifiuto del rilascio del certificato di nascita da parte dello Stato bulgaro risiedeva nell’impossibilità per il modello dell’atto di nascita di inserire più di una persona come “madre”.

In tale contesto, i giudici di Lussemburgo hanno affermato l’obbligo degli Stati membri di assicurare il pieno esercizio del diritto primario alla libertà di circolazione e soggiorno da parte del minore, in quanto cittadino europeo.

Il minore ha quindi il diritto di poter viaggiare con entrambi i genitori, non rilevando in alcun modo il legame biologico o giuridico degli stessi con il figlio. Nel diritto di accompagnare il minore, i genitori devono poter disporre di un documento che menzioni tale rapporto di filiazione in capo ad entrambi; in pieno accordo con quanto disposto dalla Direttiva 2004/38/CE.

Viene così asserito che il diritto del minore a poter soggiornare e circolare liberamente nello spazio territoriale dell’Unione europea prevale sulla normativa statale anche qualora fosse incompatibile e, di conseguenza, la Corte ha “riconosciuto” l’obbligo degli Stati membri di riconoscere un rapporto di filiazione tra un minore e i genitori dello stesso sesso, senza alcuna distinzione fra i due coniugi, laddove tale legame sia già stato legalmente accertato e riconosciuto da un altro Stato membro.

Ciò detto, malgrado questi diritti fondamentali siano stati riconosciuti da diverse sentenze della Corte di giustizia dell’UE, tuttavia, la loro applicazione continua ad essere violata da diversi Stati membri, tra cui l’Italia.

Per questa ragione, la Commissione europea ha recentemente deciso di emanare una proposta normativa che possa garantire il rispetto di una serie di diritti basilari di questi minori prevedendo anche un “certificato europeo di genitorialità”, che dovrebbe per l’appunto favorire i riconoscimenti dei diritti acquisiti in un Paese quando ci si sposta in un altro Stato membro. La proposta della Commissione, però, ha fatto scattare l’opposizione della Polonia, che ha accusato la Commissione di favorire il ricorso alla maternità surrogata.

Ancora una volta quindi assistiamo all’utilizzo del termine “maternità surrogata” per vedere negati i diritti anche di bambini nati all’interno della coppia.

A questo proposito, si ricorda che in Europa ci sono circa 2 milioni di minori figli di famiglie omogenitoriali per i quali spesso i loro genitori si trovano a dover combattere lunghe battaglie burocratiche per poter far rispettare quei diritti basilari dell’individuo che già oggi sono ampiamente affermati e ribaditi dal diritto UE, quali: il riconoscimento in tutti gli Stati membri della filiazione già accertata in uno Stato membro al fine di poter accedere al territorio, soggiornare liberamente e non subire discriminazioni rispetto ai cittadini nazionali.

È evidente quindi che non possono esistere minori di serie A o di serie B poichè il principio che guida il “riconoscimento della filiazione” è solo ed esclusivamente il supremo interesse dei minori e lo stop/la guerra alle trascrizioni dei certificati di nascita dietro alla crociata contro la maternità surrogata – che nulla c’entra in questi casi – implica in realtà non riconoscere i diritti fondamentali di questi 33 esseri umani.

 

Immagine di <a href=”https://it.freepik.com/foto-gratuito/lay-piatto-della-bella-casa-ancora-in-vita-famiglia_11379865.htm#query=famiglia%20omogenitoriale&position=5&from_view=search&track=ais”>Freepik</a>

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