Categorie: Diritto Penale

Alcune riflessioni sui criteri di imputazione della responsabilità penale in materia di sicurezza sul lavoro all’interno dell’organizzazione aziendale.
Data: 16 Apr 2013
Autore: Serena Pagliosa

I.Premessa.

La normativa sulla sicurezza del lavoro espressa dal D.Lgs. n. 81/2008 risulta essere empiricamente ispirata al principio secondo cui i soggetti chiamati ad adempiere all’obbligazione prevenzionistica degli infortuni sul lavoro debbano essere dotati, a tal fine, delle competenze tecniche e specifiche necessarie, nonché di poteri effettivi, all’interno dell’organizzazione aziendale in senso lato (si pensi alla P.A. o a studi legali associati), tali da consentire il ragionevole controllo del rischio connesso all’esercizio di ogni attività lavorativa.

 

1.2.La normativa fondamentale in materia di effettività della posizione di garanzia antinfortunistica.

Non è un caso, infatti, che l’art. 2 lett. b) del D.Lgs. n. 81/2008 fornisca una definizione di datore di lavoro sia formale che sostanziale: “il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nei cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione

 

stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa(enfasi dello scrivente).

La norma in esame chiarisce che è datore di lavoro non solo il soggetto che intrattiene formalmente il rapporto contrattuale di prestazione d’opera con il lavoratore, ma anche chi, di fatto ed effettivamente, esercita la funzione di datore di lavoro.

 

Il principio di effettività delle funzioni nel settore della sicurezza sul lavoro è ulteriormente confermato ed esteso (a figure diverse dal datore di lavoro, quale il dirigente ed il preposto) dall’art. 299 del D.Lgs. n. 81/2008, a mente del quale: “Le posizioni di garanzia relative ai soggetti di cui all’articolo 2…gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti”.

 

Nell’ambito di questa complessiva impostazione che punta alla effettività delle funzioni esercitate nell’ambito dell’impresa (o di altre organizzazioni), è importante rimarcare che la definizione di datore di lavoro resa dall’art. 2 del decreto si incentra sull’esercizio di poteri decisionali e di spesa.

 

E’, pertanto, datore di lavoro e, quindi, soggetto rientrante nella relativa posizione di garanzia prevista dalla legge, colui il quale risulti essere, nell’ambito dell’organizzazione lavorativa considerata, dotato di reali ed effettivi poteri decisionali e di spesa.

 

Altre norme del decreto che confermano tale impostazione di politica legislativa sono espresse dagli artt. 28 e 30.

 

L’art. 28 tratta dell’adempimento più importante che ricade sul datore di lavoro, ossia, l’elaborazione del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR).

Ebbene, l’art. 28 comma 2 lett. d) richiede che tale documento debba contenere: “l’individuazione delle procedure per l’attuazione delle misure da realizzare, nonché dei ruoli dell’organizzazione aziendale che vi debbano provvedere, a cui devono essere assegnati unicamente soggetti in possesso di adeguate competenze e poteri(enfasi dello scrivente).

 

Tale norma, stante la natura più direttamente organizzativa, richiede che i soggetti incaricati di attuare le prescrizioni del DVR all’interno dell’organizzazione considerata debbano avere non solo i poteri che consentano di intervenire concretamente ed efficacemente in tal senso, ma anche le relative competenze tecniche. Ne consegue una responsabilità per “culpa in eligendo” nel caso in cui il datore scelga nell’ambito del suo organigramma soggetti non sufficientemente preparati e/o adeguati ad attuare quanto previsto nel DVR.

 

Sempre in un’ottica eminentemente organizzativa, il successivo art. 30 del decreto, in materia di modelli di organizzazione e gestione di cui al D.Lgs. n. 231/01, prevede al comma 3 che: “Il modello organizzativo deve in ogni caso prevedere, per quanto richiesto dalla natura e dimensioni dell’organizzazione e dal tipo di attività svolta, un’articolazione di funzioni che assicuri le competenze tecniche e i poteri necessari per la verifica, valutazione gestione e controllo del rischio…” (enfasi dello scrivente), confermando ulteriormente che la politica legislativa in materia di antinfortunistica sul lavoro, nell’ambito del più ampio principio della effettività delle funzioni esercitate nell’organizzazione, fonda il meccanismo di attribuzione/imputazione della responsabilità per i sinistri sul lavoro sul fondamentale binomio COMPETENZA/POTERI.

 

II.La necessità di una verifica all’interno dell’organizzazione aziendale (e non) alla luce dei principi di effettività dell’esercizio delle funzioni e del binomio Competenza/Poteri.

Alla luce di quanto sopra, risulta evidente come tutte le imprese (e le altre organizzazioni) debbano, parafrasando Freud, procedere alla necessaria autoanalisi finalizzata a verificare, nel profondo delle proprie procedure, come realmente e concretamente opera e si struttura la loro organizzazione. Si può dire che, senza farsi influenzare da prassi formalistiche ancora seguite dagli Ispettori del Lavoro (alla luce della precedente normativa espressa dall’abrogato D.Lgs. n. 626/94), ogni impresa dovrà chiedersi chi realmente, all’interno del proprio organigramma, può e potrà essere considerato datore di lavoro sulla base dei criteri sostanziali indicati dall’art. 2 lett. b) del D.Lgs. n. 81/2008.

 

III.L’individuazione del datore di lavoro nelle società di capitali.

La giurisprudenza di legittimità più recente, valorizzando il principio della effettiva sussistenza di reali poteri decisionali e di spesa in capo al datore di lavoro, ha negli ultimi anni chiarito che la posizione di garanzia del datore, in relazione alla obbligazione antinfortunistica, ricade indifferentemente su tutti i componenti del Consiglio di Amministrazione.

 

Sul punto vedi Cass. Sez. IV, n. 43786 del 13/12/2010 (ud. 17/9/2010), secondo cui: “I componenti del consiglio di amministrazione nelle società di capitali hanno la gestione e l’organizzazione dell’attività d’impresa e rivestono quindi la qualifica di datori di lavoro. Essi assumono, quindi, la connessa posizione di garanzia”.

E ancora, Cass. Sez. IV, n. 38991 del 4/11/2010 (ud. 10/6/2010), secondo cui: “Nelle imprese gestite da società di capitali, gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni ed igiene sul lavoro, posti a carico del datore di lavoro, gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione” (N.B. si tratta di sentenze citate ne “Il T.U. Sicurezza sul Lavoro commentato con la giurisprudenza” di Raffaele Guariniello, IPSOA, Terza Edizione).

 

3.2.La delega delle funzioni antinfortunistiche da parte del datore di lavoro.

Le dimensioni delle aziende gestite dalle società di capitali ed il sopra ricordato l’orientamento giurisprudenziale, che estende a tutti i componenti del C.d.A. la posizione di garanzia del datore di lavoro, rendono di fatto imprescindibile la delega, da parte del datore di lavoro, delle proprie funzioni antinfortunistiche.

Sul punto, è bene chiarire che tale delega di funzioni/poteri, oltre a richiedere specifici requisiti di forma (deve essere espressa e resa per iscritto) e di contenuto (deve costituire in capo al delegato poteri organizzativi/gestionali e di spesa effettivi) ai sensi dell’art. 16 comma 1 del decreto, subisce precisi limiti che impediscono un trasferimento totale della posizione di garanzia dal datore di lavoro al suo delegato.

Infatti, l’art. 17 del decreto prevede che il datore non possa delegare né la valutazione dei rischi e la conseguente elaborazione del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) di cui all’art. 28, né la designazione del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP).

Inoltre, l’art. 16 comma 3 primo del decreto prevede che: “La delega di funzioni non esclude l’obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite”.

Questa fondamentale norma chiarisce che per l’Ordinamento il datore dovrà sempre verificare se il delegato opera secondo il mandato ricevuto (si pensi all’ipotesi in cui il delegato tolleri il mancato utilizzo da parte dei dipendenti delle Dotazioni di Protezione Individuali – DPI) e, soprattutto, in caso di infortunio, dovrà poter dimostrare di avere scelto un soggetto dal profilo tecnico e professionale idoneo a bene adempiere all’obbligo prevenzionale in sua vece e, pertanto, di non essere incorso in una “culpa in eligendo”.

Naturalmente, tale principio va calato nell’ordinamento penale, che come noto è refrattario ad ogni ipotesi di responsabilità oggettiva, con la conseguenza che, con riferimento al sinistro occorso in un ambiente di lavoro, bisognerà sempre verificare se il datore di lavoro abbia concretamente esercitato il suo ruolo di verifica dell’operato del delegato e se, a fronte di tale attività, possa essere scusabile o meno la mancata individuazione di condotte non coerenti con l’incarico ricevuto da parte di quest’ultimo.

Infine, è importante rilevare come sempre l’art. 16 comma 3 del decreto preveda che il sinergico inserimento della delega delle funzioni nell’ambito della elaborazione ed implementazione del modello di organizzazione e controllo di cui al D.Lgs. n. 231/01, consenta al datore di lavoro di avvalersi di una presunzione a suo favore circa l’adempimento di tale obbligo di vigilanza avente ad oggetto l’opera del delegato.

Ed, infatti, la norma prevede che: “L’obbligo…si intende assolto in caso di adozione ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo di cui all’articolo 30, comma 4”.

Risulta, poi, evidente che la responsabilità del datore di lavoro non può essere esclusa, nel caso in cui il datore di lavoro inteso come l’insieme dei soggetti dotati dei maggiori poteri decisionali e di spesa nell’ambito dell’azienda, ossia i Consiglieri di Amministrazione, abbia operato scelte di impresa finalizzate a porre in essere indebiti risparmi sulle politiche di sicurezza dell’azienda e sulla acquisizione/manutenzione/implementazione delle dotazioni prevenzionali di detta organizzazione.

 

IV.Il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione.

L’art. 29 comma 1 del decreto prevede che: “Il datore di lavoro effettua la valutazione ed elabora il documento di cui all’art. 17, comma 1, lettera a) (il DVR, n.d.r.), in collaborazione con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione…”.

Con riferimento a quest’ultima figura, si deve segnalare che se, come noto, il datore di lavoro (che non abbia delegato le proprie funzioni in materia di sicurezza dei lavoratori) è titolare di una posizione di garanzia in base alla quale è chiamato a rispondere di tutti i reati in materia di sicurezza dei lavoratori (previsti dal D.Lgs. n. 81/2008) e delle connesse e conseguenti fattispecie di lesioni ed omicidio colposi (artt. 590 e 589 c.p.), al contrario, il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP) è un consulente esterno dell’azienda, privo di poteri gestionali, trattandosi del soggetto che è chiamato istituzionalmente ad assistere e consigliare il datore di lavoro circa le misure da adottare per prevenire i rischi per la sicurezza ed incolumità dei lavoratori.

In queste premesse, il D.Lgs. n. 81/2008 non prevede obblighi e sanzioni per il RSPP. Resta inteso, peraltro, che per la giurisprudenza di legittimità il RSPP, nelle ipotesi in cui quest’ultimo abbia dato un consiglio sbagliato al datore di lavoro, ovvero, abbia omesso di dare un consiglio utile ed in tal modo abbia concorso a creare le circostanze che hanno portato all’infortunio, deve essere ritenuto responsabile per le lesioni o per l’omicidio colposi derivanti dalla violazione della normativa antinfortunistica (v. Cass., Sez. IV, ud. 21/12/2010, 27/1/2011, n. 2814).

Con riferimento, poi, alla ripartizione della responsabilità tra il datore di lavoro ed il RSPP è, innanzitutto, necessario rilevare come, per giurisprudenza costante, il datore di lavoro non possa esimersi da responsabilità per il solo fatto di avere nominato un RSPP (trattasi, peraltro, di un suo dovere), in quanto in alcun modo la nomina del RSPP è equiparabile ad una attribuzione di delega (che, come ricordato, deve possedere i requisiti di cui all’art. 16 del D.Lgs. N. 81/2008).

Di regola, peraltro, nel caso di sinistri sul lavoro determinati anche dalla insufficienza e/o erroneità della consulenza fornita al datore di lavoro dal RSPP, entrambi questi soggetti dovrebbero essere chiamati a rispondere della relativa responsabilità penale.

In ogni caso, al fine di evitare ogni pericolo di responsabilità oggettiva, si deve ipotizzare una responsabilità esclusiva del RSPP, quando il datore risulti oggettivamente impossibilitato (per formazione per esempio) a conoscere le “best technologies” o comunque questioni altamente specialistiche proprie degli addetti ai lavori.

In tal caso, si può ritenere che sussista una responsabilità esclusiva del RSPP e non anche del datore. Naturalmente, in questi casi non si dovrà in alcun modo evidenziare una incapacità del RSPP perché, in tal caso, la responsabilità penale colposa potrà di nuovo essere imputata al datore per aver scelto male un proprio consulente così importante per la gestione dell’impresa (“culpa in eligendo”).

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