Categorie: Diritto Penale

Alcuni aspetti procedurali del D.Lgs. 8/6/2001 n. 231
Data: 16 Apr 2013
Autore: Serena Pagliosa

I.La delega legislativa alla base della normativa procedurale prevista dal D.Lgs. n. 231/2001.

La legge 29/9/2000 n. 300, con cui il Parlamento ha delegato al Governo la predisposizione della disciplina della responsabilità amministrativa degli enti, ha sancito, con riferimento alla predisposizione di una normativa processuale idonea all’accertamento di tale responsabilità, che il Legislatore Delegato dovesse prevedere: a) l’applicazione delle sanzioni interdittive anche in sede cautelare; b) la competenza unitaria del Giudice della cognizione a conoscere sia del reato presupposto della persona fisica che della conseguente responsabilità amministrativa dell’ente; c) l’applicazione, al procedimento di accertamento della responsabilità amministrava, delle disposizioni del codice di procedura penale, in quanto compatibili; d) l’effettiva partecipazione e difesa degli enti nelle diverse fasi del procedimento penale.

1.2. L’applicazione delle sanzioni interdittive in sede cautelare.

Com’è noto, le sanzioni interdittive, previste dal D.Lgs. n. 231/2001, all’art. 9 comma 2, sono:

1) l’interdizione dall’esercizio dell’attività; 2) la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali

alla commissione dell’illecito; 3) il divieto di contrattare conla Pubblica Amministrazione; 4) l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi; 5) il divieto di pubblicizzare beni o servizi.

 

La normativa sul procedimento cautelare è espressa dagli articoli 45-54 del D.Lgs. n. 231/2001. L’art. 45 prevede che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza a carico di un ente in relazione alla commissione di un illecito amministrativo dipendente da reato e vi sono fondati e specifici elementi per ritenere sussistente il pericolo di reiterazione, da parte dell’ente medesimo, di ulteriori illeciti della stessa indole, il Pubblico Ministero possa richiedere al Giudice l’applicazione in via cautelare di una delle misure interdittive di cui all’art. 9 comma 2 del D.Lgs. n. 231/2001. E’ il caso di segnalare che le misure cautelari non possono essere applicate congiuntamente (v. art. 46 quarto comma del D.Lgs. n. 231/2001).

Sempre l’art. 45 del D.Lgs. n. 231/2001 prevede che, in luogo dell’applicazione della misura cautelare interdittiva, il Giudice, a norma dell’art. 15, può nominare un commissario giudiziale per un periodo pari alla durata della misura che avrebbe potuto/dovuto essere applicata. Detta sostituzione è praticabile qualora la misura in questione sia tra quelle che determinano l’interruzione dell’attività dell’ente e ricorra almeno una delle seguenti condizioni: che l’ente svolga un servizio pubblico o un servizio di pubblica necessità la cui interruzione possa provocare un grave pregiudizio alla collettività; che l’interruzione dell’attività dell’ente possa provocare, alla luce dei fattori contingenti, rilevanti ripercussioni sull’occupazione.

Interessante notare come il Legislatore Delegato si sia discostato dall’art. 274 c.p.p. che, per l’applicazione delle misure cautelari alle persone fisiche, prevede, oltre alla sopra ricordata esigenza consistente nel pericolo di recidiva del soggetto, anche le esigenze consistenti, rispettivamente, nel pericolo di inquinamento probatorio e nel pericolo di fuga.

Pertanto, il sistema cautelare delineato dal D.Lgs. n. 231/2001 non contempla altra esigenza che quella di contenere una possibile condotta recidivante dell’ente ed esclude le esigenze del pericolo di inquinamento probatorio e del pericolo di fuga, che ben potrebbero ascriversi alla possibile condotta di un ente che commette illeciti amministrativi dipendenti da reato (si pensi, in generale, ai maggiori mezzi organizzativi con cui l’ente potrebbe inquinare le prove a suo carico o, a condotte fraudolente volte alla cessazione formale dell’ente ed alla sua ricostituzione in altra compagine societaria e sotto altra ragione sociale, magari in un ordinamento giuridico straniero; condotte astrattamente equiparabili alla fuga del soggetto).

L’art. 47 del D.Lgs. n. 231/2001 prevede che l’applicazione/revoca/modifica delle misure cautelari venga disposta dal Giudice che procede. La norma richiama l’art. 91 disp.att.c.p.p., a mente del quale, nel corso degli atti preliminari al dibattimento, le misure cautelari sono disposte dal giudice del dibattimento (Tribunale in composizione Monocratica o Collegiale; Corte di Assise; Corte di Appello; Corte di Assise di Appello). Durante le indagini preliminari, invece, provvede il Giudice per le Indagini Preliminari.

Contrariamente a quanto previsto dagli artt. 291 e 292 c.p.p., che non prevedono la partecipazione dell’indagato/imputato nel procedimento cautelare nel quale il Pubblico Ministero richiede al Giudice per le Indagini Preliminari l’applicazione nei confronti del primo della misura cautelare (nell’ovvio intento di non vanificare l’efficacia delle misure cautelari stesse), l’art. 47 del D.Lgs. n. 231/2001 istituisce un procedimento cautelare aperto al contraddittorio tra il Pubblico Ministero e l’ente indagato/imputato di un illecito amministrativo dipendente da reato. Infatti, il Pubblico Ministero può presentare la richiesta di applicazione in udienza, di fronte al Giudice che procede, ovvero, fuori udienza. In tale ultima evenienza, il Giudice fissa un’udienza camerale nelle forme di cui all’art. 127 c.p.p., con la conseguenza, che il Pubblico Ministero deve depositare gli atti su cui si basa la richiesta di applicazione della misura presso la cancelleria del Giudice, dove detta documentazione potrà essere visionata ed estratta in copia dall’ente.

A tal proposito, è stato notato dalla Dottrina (Angelo Giarda, in “Compendio di Procedura Penale” di Giovanni Conso e Vittorio Grevi, V Ed., CEDAM, pag. 1234) che una tale discovery sull’intento di richiedere l’applicazione delle misura cautelare (anticipata rispetto alla applicazione della stessa ed alle eventuali impugnative della ordinanza che la dispone) sia giustificata dal fatto che, essendo prevista per gli enti la sola esigenza cautelare della possibile reiterazione dell’illecito amministrativo, tale condotta recidivante da parte dell’ente possa essere contrastata per il solo fatto che quest’ultimo venga notiziato della formale richiesta da parte della Procura procedente di richiedere nei suoi confronti l’applicazione in via cautelare di una sanzione interdittiva.

Di particolare interesse è la previsione della possibilità di sospendere le misure cautelari.

L’art. 49 del D.Lgs. n. 231/2001 prevede che le misure cautelari possano essere sospese qualora l’ente richieda di porre in essere gli adempimenti cui la legge condiziona l’esclusione delle sanzioni interdittive (v. art. 17 del decreto, che sancisce le tre seguenti condizioni: 1) aver risarcito integralmente il danno ed eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato; 2) aver eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei; 3) aver messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca).

Il Giudice, sentito il Pubblico Ministero, se ritiene di accogliere la richiesta dell’ente, determina l’importo della somma che l’ente, a titolo di cauzione, dovrà depositare pressola Cassadelle ammende. In alternativa al deposito di tale importo, che non può essere inferiore alla metà della sanzione pecuniaria minima prevista per l’illecito, è possibile prestare garanzia mediante ipoteca o fideiussione solidale.

In queste premesse, il Giudice dispone la sospensione della misura ed indica il termine per la realizzazione delle condotte previste dall’art. 17 del decreto.

Due sono i possibili esiti della procedura di sospensione della misura cautelare: se l’ente da esecuzione alle condotte riparatorie/riorganizzative previste dall’art. 17 nel termine indicato dal Giudice, la misura cautelare è revocata e la somma depositata viene restituita. Se invece l’ente non pone in essere la condotta a cui è tenuto o lo fa in modo incompleto o inefficace, viene ripristinata la misura precedentemente adottata e la somma depositata è devoluta alla Cassa delle ammende.

1.3.Il principio del “simultaneus processus” nei rapporti tra accertamento del reato della persona fisica e dell’illecito amministrativo dell’ente dipendente da detto reato.

Come sopra ricordato,la Legge Delegaha imposto al Legislatore Delegato di prevedere la competenza unitaria del Giudice a conoscere sia del reato presupposto della persona fisica che della conseguente responsabilità amministrativa dell’ente.

Tale direttiva è stata accolta nel testo del decreto all’art. 38, amente del quale: “Il procedimento per l’illecito amministrativo dell’ente è riunito al procedimento penale instaurato nei confronti dell’autore del reato da cui l’illecito dipende”.

Di regola, quindi, è prevista la riunione tra il procedimento di accertamento del reato commesso dalla persona fisica ed il procedimento di accertamento della conseguente responsabilità amministrativa dell’ente.

Si tratta, evidentemente, di una scelta finalizzata a far sì che il Giudice possa guardare ai fatti, che hanno condotto al reato commesso dalla persona fisica ed alla responsabilità da organizzazione dell’ente, in un’ottica di insieme che, consenta al Giudicante, pur nella differenza di presupposti e requisiti di sussistenza delle due tipologie di responsabilità, di poter decidere sulla sussistenza delle stesse (o di una sola di esse) con un approccio conoscitivo idoneo, che deve necessariamente configurarsi come integrato.

Come ogni regola, anche quella della riunione tra i due procedimenti, relativi alla posizione dell’indagato/imputato persona fisica e dell’ente, trova le sue eccezioni nei casi in cui: a) il procedimento a carico della persona fisica debba essere sospeso per incapacità di quest’ultima ai sensi dell’art. 71 c.p.p.; b) quando la persona fisica o l’ente abbiamo fatto ricorso ai riti alternativi del giudizio abbreviato (disciplinato per gli enti dall’art. 62 del decreto) o del patteggiamento (disciplinato per gli enti dall’art. 63 del decreto), ovvero, nei confronti della persona fisica o dell’ente si sia proceduto mediante emissione di decreto penale (procedura disciplinata per gli enti all’art. 64 del D.Lgs. n. 231/2001).

In tali evenienze processuali, si procederà separatamente nei confronti della persona fisica o dell’ente.

1.4.Gerarchia delle fonti tra norme procedurali previste dal D.Lgs. n. 231/2001 ed il Codice di Procedura Penale.

Come sopra ricordato,la Legge Delegaha imposto al Legislatore Delegato di prevedere l’applicazione, nel procedimento di accertamento della responsabilità amministrativa, delle disposizioni del codice di procedura penale, in quanto compatibili.

Tale direttiva è stata accolta nel testo del decreto all’art. 34, amente del quale: “per il procedimento relativo agli illeciti amministrativi dipendenti da reato si osservano le norme di questo capo (N.d.R.: è il Capo III° del decreto) nonché, in quanto compatibili, le disposizioni del codice di procedura penale e del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271”.

Pertanto, in ossequio alla direttiva posta dalla Legge Delega, è stato previsto un sistema procedurale che, pur essendo molto essenziale, si basa su di un corpus normativo, costituito da regole proprie, che si differenzia dalla normativa espressa dal codice di procedura penale e dalle sue norme di attuazione e coordinamento.

Si tratta, pertanto, di norme che si pongono in rapporto di specialità rispetto a quelle espresse dal codice di procedura penale, prevalendo su queste ultime.

Naturalmente, la assoluta essenzialità e lacunosità della normativa procedurale prevista dal    D.Lgs. n. 231/2001 e, quindi, la conseguente natura “embrionale” di tale sistema processuale necessitano, in via sussidiaria e residuale, il richiamo e l’applicazione della normativa sancita dal codice di procedura penale, in quanto compatibile con la normativa espressa dal decreto sulla responsabilità amministrativa degli enti.

Sul punto, è evidente che il rapporto di specialità intercorrente tra la normativa espressa dal  D.Lgs. n. 231/2001 e quella espressa dal codice di procedura, da un lato, e la residuale applicabilità di quest’ultima normativa se compatibile con il decreto sulla responsabilità amministrativa degli enti, dall’altro, hanno comportato l’insorgere di complesse questioni interpretative circa l’applicabilità o meno al procedimento di accertamento degli illeciti dipendenti da reato di istituti processuali contemplati dal codice di procedura penale, ma non previsti dal D.Lgs. n. 231/2001.

Caso emblematico è l’esercizio dell’azione civile nel processo penale, nei confronti dell’imputato persona fisica, ad opera della persona offesa mediante la costituzione di parte civile di cui agli artt. 74 e ss. c.p.p.

Nel D.Lgs. n. 231/2001 non vi è norma alcuna che preveda o rimandi anche indirettamente alla possibilità per la persona offesa dall’illecito amministrativo dipendente da reato di costituirsi nel procedimento nei confronti dell’ente responsabile di tale violazione.

Nel corso dei primi dieci anni di applicazione del D.Lgs. n. 231/2001, la giurisprudenza di merito si è divisa tra pronunce che ritenevano inammissibile la costituzione di parte civile nei confronti dell’ente in relazione all’illecito amministrativo, invocando la specialità della normativa processuale espressa da tale decreto, ed altre pronunce che ammettevano la costituzione di parte civile, applicando in via sussidiaria la normativa espressa dal codice di procedura penale (v. in Dottrina Carlo Federico Grosso, “Sulla costituzione di parte civile nei confronti degli enti collettivi chiamati a rispondere ai sensi del d.lgs. 231 del 2001 davanti al giudice penale”, in RIDPP, 2004, 1335).

A tal proposito, si rileva come il primo arresto giurisprudenziale di legittimità abbia per adesso confermato la prima impostazione, ossia quella che esclude la costituzione di parte civile contro l’ente in relazione all’illecito amministrativo commesso, avendo infattila Cortedi Cassazione sottolineato come la mancata disciplina dell’istituto nell’ambito del D.Lgs. n. 231 del 2001 non costituisca una lacuna, bensì la conseguenza di una consapevole e legittima scelta operata dal Legislatore, in ragione del fatto che la persona giuridica è chiamata e rispondere non del reato, bensì di un autonomo illecito inidoneo a fondare una altrettanto autonoma pretesa risarcitoria (Cass., Sez. VI, 5/10/2010-22/1/2011, n. 2251).

 

1.5.La posizione dell’ente nel procedimento di accertamento della responsabilità amministrativa dipendente da reato.

Come sopra ricordato,la Legge Delegaha imposto al Legislatore Delegato di prevedere l’effettiva partecipazione e difesa degli enti nelle diverse fasi del procedimento penale.

Tale direttiva è stata accolta nel testo del decreto all’art. 35, amente del quale:”all’ente si applicano le disposizioni processuali relative all’imputato, in quanto compatibili”.

Ne consegue che, ai sensi dell’art. 60 c.p.p., l’ente acquisisce la qualità di imputato quando il Pubblico Ministero esercita nei suoi confronti l’azione penale.

Inoltre, anche per l’ente vale l’estensione dei diritti e garanzie, sanciti per l’imputato persona fisica, anche alla persona sottoposta alle indagini, ai sensi dell’art. 61 c.p.p.

Il Legislatore Delegato ha, pertanto, inteso dare esecuzione alla direttiva impartitagli dalla Legge Delega applicando all’ente, sottoposto al procedimento di accertamento della sua responsabilità amministrativa dipendente da reato, le garanzie difensive proprie della persona fisica indagata/imputata.

Solo per fare alcuni esempi: l’ente potrà nominare due difensori ai sensi dell’art. 96 c.p.p., potrà avvalersi di indagini difensive ai sensi degli artt. 391 “bis” e ss. c.p.p., avrà diritto ad un processo equo secondo quanto previsto dall’art. 111 comma 3 della Costituzione, secondo cui:                      “Nel processo penale, la legge assicura che la persona (fisica o giuridica è, oggi, indifferente, N.d.R) accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico; disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa; abbia la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e l’interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell’accusa e l’acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore…”

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