“Loneliness generates insecurity, but so does the sentimental relationship: In a relationship, you can feel as insecure as you would be without it, or even worse. Only the name you give to your anxiety changes”.
This is the most quoted sentence contained in the book “Liquid Love” (Laterza, 2003), that the famous philosopher and thinker Zygmunt Bauman has dedicated to affective and sexual relationships, in the context of this age characterized by strong uncertainty.
In a consolidated pessimistic framework characterized by the inability of the younger generation to face definitive choices such as the marriage, the Senator Simone Pillon recently stated to the Press: “I would like to introduce the American covenant marriage in Italy: an indissoluble form of marriage”. His point of view is strongly influenced by his Catholic belief.
The covenant marriage institute has been introduced into the legal systems of three U.S. States: Louisiana (the first one to introduce it in 1997), Arizona and Arkansas.
In this context, the citizens of Louisiana, Arizona and Arkansas who – considering their religious conception (or not) of marriage – mean to bind themselves to their spouse more closely than through the ordinary marriage, must know that they will not be allowed to divorce except in the following specific cases: adultery of the other one, serious offense committed by the other spouse, supervening drug addiction of the other spouse, physical and/or sexual abuse made by a spouse against the other one or against the child of the couple.
In this context, it is therefore sustainable that – in an period of absolute uncertainty – the fact that people freely decide – on the basis of religious convictions or not (it could also be a lucid rational choice) – to access a type of marriage, from which it is more difficult to “escape”, can be an interesting anti-cyclical signal, in contrast with the current climate of generalized addiction to pessimism about the future, community and private, which has long been felt in the Western world”.
“La solitudine genera insicurezza, ma altrettanto fa la relazione sentimentale. In una relazione, puoi sentirti insicuro quanto saresti senza di essa, o anche peggio. Cambiano solo i nomi che dai alla tua ansia”. Questa è la più citata notazione contenuta nel libro “Amore liquido” (Laterza, 2003) che il famoso ed autorevole filosofo e pensatore Zygmunt Bauman ha dedicato alle relazioni affettive e sessuali, nel contesto di quest’epoca così caratterizzata e pervasa dall’incertezza.
La conseguenza di questo “bagno di realtà”, con riferimento allo stato (molte volte penoso) delle relazioni tipiche del giorno d’oggi, ha indotto il noto filosofo ad affermare che il nuovo “uomo modello” è l’”uomo senza legami”.
Si tratta di conclusione così “tranchante” ed apparentemente priva di speranza che anche chi scrive, pur non essendo un sociologo, uno psicologo e meno che meno un esperto di diritto matrimoniale e di famiglia, intende dare una chiave di lettura (sicuramente opinabile) di questo fenomeno e, magari, illudersi che si possa intravedere, dopo la fine di questa cupa notte dell’incertezza, un qualche barlume di speranza.
E’ un dato di fatto che oggi tutti (ma proprio tutti) affermano che il matrimonio è un istituto in grave crisi, che i matrimoni entrano in grave difficoltà dopo pochi anni (o mesi) dalla loro celebrazione, che oramai praticamente nessuno crede che si possa instaurare una relazione stabile e duratura che possa aspirare ad essere definitiva.
Questo comune sentire è stato ampiamente recepito dalla classe politica che, negli ultimi anni, ha modificato le procedure finalizzate a porre fine al vincolo matrimoniale, nell’ottica di semplificare tali percorsi di “uscita” (si potrebbe parlare di “exit strategy”) da matrimoni sbagliati.
Infatti, solo in quest’ottica di politica legislativa si possono inquadrare il D.L. n. 132/2014 e la Legge n. 55/2015. Quanto al D.L. n. 132/2014, l’art. 6 di tale decreto introduce la possibilità per i coniugi di ricorrere ad una convenzione di negoziazione assistita da avvocati, finalizzata a raggiungere la cessazione degli effetti civili del matrimonio e lo scioglimento del matrimonio.
Quanto alla Legge n. 55/2015, questa, all’art. 1, ha previsto che il termine di tre anni dalla avvenuta comparizione dei coniugi davanti al Presidente del Tribunale nella procedura di separazione, necessario per poter accedere al divorzio, diventi di dodici mesi, in generale, e di sei mesi in caso di separazione consensuale (c.d. “divorzio breve”).
Peraltro, si deve rilevare come questo approccio realistico circa la “non-tenuta” dei matrimoni non riguardi solo l’ordinamento dello Stato, ma anche quel particolarissimo ordinamento giuridico, che si confronta con l’ordinamento civile, operando nel “proprio ordine” in maniera indipendente e sovrana (come indica con grandissima precisione l’art. 7 della Costituzione): ossia, l’ordinamento della Chiesa cattolica.
Sul punto, se guardiamo alla oramai notissima “Esortazione Apostolica postsinodale sull’amore e sulla famiglia – AMORIS LAETITIA”, pubblicata da Papa Francesco il 19/3/2016, troviamo tracce di questo approccio che prende atto della attuale difficoltà dei coniugi, che si rivolgono ai Tribunali Ecclesiastici per richiedere la declaratoria di nullità dei loro matrimoni, a trovare risposte procedurali più veloci ed efficaci.
Ed, infatti, afferma Bergoglio, alle pagg. 217-218 di questo documento, che: “un gran numero di Padri (ndr, gli alti ecclesiastici che hanno partecipato al Sinodo sulla famiglia) <ha sottolineato la necessità di rendere più accessibili ed agili, possibilmente del tutto gratuite, le procedure per il riconoscimento dei casi di nullità>. La lentezza dei processi crea disagio e stanca le persone. I miei due recenti Documenti su tale materia hanno portato ad una semplificazione delle procedure per una eventuale dichiarazione di nullità matrimoniale”.
In questo consolidato quadro pessimistico, circa la capacità della giovani generazioni a far fronte a scelte definitive come quella rappresentata dal matrimonio, si inseriscono le recenti dichiarazioni rese alla Stampa dal Senatore della Lega, Simone Pillon, il quale, da un punto di vista fortemente influenzato dal suo credo cattolico, ha affermato: “Vorrei introdurre in Italia il covenant marriage americano: una forma di matrimonio indissolubile”.
Chi scrive deve ammettere che, in prima battuta, dopo avere appreso questa notizia di stampa, è stato tentato di canzonare il Senatore (e Collega) Pillon a causa della presunta impraticabilità tecnica e della pretesa inesistenza, a livello internazionale, di tali soluzioni legislative volte ad irrigidire il vincolo matrimoniale, salvo doversi ricredere, una volta resosi conto che queste scelte normative sono già state adottate negli Stati Uniti d’America da molti anni a questa parte.
Ed, infatti, lo scrivente ha scoperto di ignorare che, nell’ordinamento statunitense (come noto, punto di riferimento a livello mondiale in materia di laicità delle istituzioni pubbliche), esiste questa particolare tipologia di matrimonio che è disciplinata nel senso di limitare fortemente i casi in cui è possibile richiedere il divorzio. Allo stato, questo istituto è stato introdotto negli ordinamenti di tre Stati dell’Unione: Louisiana (il primo Stato a introdurlo nel 1997), Arizona ed Arkansas.
Per comprendere la “ratio” profonda dell’istituto basta partire dal significato delle parole che lo definiscono. La parola “covenant” indica in inglese, da un lato, a livello legale, il “legal contract”, dall’altro lato, a livello biblico, il “contract with God” (cfr. WordReference.com).
Non deve, peraltro, stupire che, nell’ordinamento civile americano, possano entrare istituti giuridici che fanno un chiaro (seppur implicito) riferimento alle credenze religiose di alcune fasce di cittadini. Del resto, tutti abbiamo presente l’influenza e la forza evocativa del discorso religioso in ambito pubblico negli States (si pensi alla banconota da 1 $ che riporta la celeberrima affermazione: “IN GOD WE TRUST”).
In questo contesto, i cittadini di Louisiana, Arizona ed Arkansas che, alla luce della loro concezione religiosa (o meno) del matrimonio, intendano vincolarsi al proprio coniuge in maniera più stretta rispetto all’ordinaria tipologia del negozio matrimoniale, devono sapere che, di regola, non potranno richiedere ed ottenere il divorzio se non nei seguenti specifici e principali casi: adulterio dell’altro coniuge, grave reato commesso dall’altro coniuge, sopravvenuta tossicodipendenza dell’altro coniuge, abusi fisici e/o sessuali di un coniuge a danno dell’altro coniuge o dei figli della coppia.
A questo punto, è possibile iniziare a tirare qualche conclusione, ponendo (e ponendomi) alcune domande: davvero la scelta fondamentale per una persona (magari suggellata da un “covenant marriage” e simili istituti) è una scelta del tutto confinata nel credo religioso di alcune persone? Davvero si tratta di una scelta del tutto avulsa dalla razionalità e dalla logica comune?
Quello che ha detto Gesù Cristo: “Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due saranno una cosa sola. Così essi non sono più due ma un unico essere. Perciò l’uomo non separi ciò che Dio ha unito” (Matteo 19:5,6) è incompatibile con quanto affermato da Kierkegaard secondo cui: “Il matrimonio è, e resterà sempre, il viaggio di scoperta più importante che l’uomo possa compiere”?
E, infine, non è forse vero quanto studiato dallo psicologo americano Paul Watzlawick, ossia che è una “profezia che si auto avvera” quella “supposizione che, per il solo fatto di essere stata pronunciata, fa realizzare l’avvenimento presunto, aspettato o predetto, confermando in tal modo la propria ‘veridicità’”? Questo meccanismo della c.d. “profezia che si autoavvera” non opera, sia in negativo che in positivo? Nel senso che se penso che il matrimonio non durerà, questo effettivamente non durerà, se penso, invece, che durerà, questo effettivamente potrebbe anche durare?
In queste premesse, è quindi sostenibile che, in un’epoca di assoluta incertezza ed insicurezza, il fatto che delle persone, liberamente, decidano, sulla base di convinzioni religiose o meno (potrebbe anche trattarsi di una lucida scelta razionale), di accedere ad una tipologia di matrimonio, dal quale è più difficile “scappare”, possa rappresentare un interessante segnale anticiclico ed in controtendenza rispetto all’attuale clima di generalizzata assuefazione al pessimismo sul futuro, comunitario e privato, che si respira oramai da tempo nel mondo occidentale.
Luca Robustelli