Ieri il Tar di Trento si è nuovamente espresso in merito alle sorti dell’orsa Jj4, l’esemplare considerato responsabile della morte del runner Andrea Papi, accogliendo il ricorso presentato dalle associazioni Enpa, LAV, Leidaa e Oipa, e sospendendo l’efficacia del decreto del 27 aprile scorso con cui il Presidente Fugatti aveva disposto per la seconda volta l’abbattimento dell’orsa, attualmente detenuta nel centro faunistico del Casteller.
Ricordo infatti che vi era già stata una prima ordinanza di abbattimento datata 8 aprile, contro la quale aveva proposto ricorso al TAR l’associazione LAV, a seguito del quale vi era stata la sospensione.
Ciò significa ancora una volta che fino alla data della prossima udienza collegiale, fissata l’11 maggio, la Provincia non potrà procedere all’abbattimento.
Nel frattempo, le associazioni animaliste si sono attivate per trovare una nuova casa per Jj4, individuando almeno due “santuari”, uno in Germania e uno in Giordania, e l’Ordine dei veterinari della Provincia di Trento si è schierato apertamente contro l’abbattimento dell’orsa, intervenendo anche con un comunicato stampa in cui si sollecitano i professionisti iscritti all’albo a “non assumere alcuna iniziativa che possa provocare la morte del soggetto per eutanasia” e specificando che non solo non c’è stato alcun confronto in merito con le istituzioni interessate dalla vicenda ma anche che “lo stato di salute dell’esemplare Jj4 non giustifica l’intervento eutanasico di urgenza”.
Anche il Ministero dell’Ambiente sta dimostrando di voler trovare alternative serie, avendo istituito un tavolo tecnico per elaborare una strategia sulla gestione degli orsi reintrodotti nei primi anni 2000 con il progetto Life Ursus.
Nel 1999, infatti, per salvare il piccolo nucleo di orsi sopravvissuti da un’ormai inevitabile estinzione dovuta per lo più a causa dell’uomo, protagonista di una vera e propria persecuzione ai danni dell’animale tramite la caccia, il Parco Adamello Brenta con la Provincia Autonoma di Trento e l’Istituto Nazionale della Fauna Selvatica, usufruendo di un finanziamento dell’Unione Europea, aveva dato avvio al progetto Life Ursus, finalizzato alla ricostituzione di un nucleo vitale di orsi nelle Alpi Centrali tramite il rilascio di alcuni individui provenienti dalla Slovenia. L’obiettivo del progetto era quello di consentire nell’arco di qualche decina di anni la costituzione di una popolazione vitale di almeno 40-60 orsi adulti.
Nel corso dello studio di fattibilità di tale progetto, era anche stato effettuato un sondaggio effettuato tra la popolazione e il 70% degli intervistati si disse a favore.
Pertanto, arrivarono dalla Slovenia un totale di 10, tutti muniti di radiocollare per monitorarne gli spostamenti, e nel 2002 avvenne la prima riproduzione accertata.
Dal punto di vista della salvaguardia della biodiversità il progetto si è dimostrato efficace essendoci attualmente un centinaio di esemplari di plantigradi.
Tuttavia, tali animali avrebbero dovuto distribuirsi in un’area molto ampia rispetto alla sola provincia Trentina, ma ciò non è successo.
Inoltre, altri due aspetti che – purtroppo – non sono stati sviluppati in maniera sufficiente sono quello culturale, con l’educazione e la sensibilizzazione dell’uomo alla corretta e sicura convivenza con gli animali selvatici, nonché la prevenzione per evitare il sorgere di comportamenti confidenti da parte di questi ultimi.
Niente però è perduto se si intende ragionare in ottica di costruzione e non di distruzione, poiché siamo ancora in tempo per evitare altre tragedie simili a quella che ha colpito Andrea e la sua famiglia, mettendo in campo azioni programmate e concrete, che mirino alla convivenza, all’educazione e al rispetto della fauna, tenendo bene a mente che non siamo i padroni della terra ma ospiti di passaggio, come tutte le altre creature che la popolano.