Categorie: Diritto Tributario

C’è la finanza in studio? Opporre il segreto professionale non basta: occorre essere tempestivi
Data: 20 Set 2013
Autore: Avv. Nicolò Raggi

This year, Italian fiscal Authorities have planned to control over 3,000 tax advisors for the specific purpose of verifying their clients’ tax compliance. That is why it is even more interesting the fact that the Prosecutor of Genoa has recently confirmed that where legal privilege is promptly pleaded, “fishing expeditions” are likely to be successfully stopped.

Mai come quest’anno gli Studi professionali hanno subito (e subiranno) visite mirate a misurare la fedeltà fiscale della propria clientela. Il dicembre scorso, infatti, la Guardia di finanza ha annunciato di aver programmato (per il 2013) ben 3000 controlli presso i consulenti tributari della Penisola con detto specifico obiettivo. Se prima, insomma, la verifica dei clienti poteva considerarsi il possibile effetto collaterale del controllo del titolare dell’attività (e/o di un associato), quest’anno le Fiamme gialle l’hanno pianificata in “grande stile”.
Per tale possibile evenienza, quindi, occorre non lasciarsi trovare impreparati e, soprattutto, bisogna essere pronti a eccepire il segreto professionale. Il “legal privilege”, va detto a scanso di equivoci, non è un “privilegio” del difensore, ma una garanzia irrinunciabile del cittadino.
In Italia, purtroppo, il segreto professionale – in campo tributario – sconta però una disciplina lacunosa. A ciò deve aggiungersi la scarsa preparazione dei “tributaristi” su quando e come utilizzarlo. Si ritiene utile, quindi, offrire un breve vademecum.
Si ricorda, anzitutto, che il segreto professionale deve essere eccepito per impedire che gli inquirenti si focalizzino sulla documentazione relativa alla clientela. Ciò che, infatti, gli organi accertatori possono legittimamente pretendere è soltanto il diritto di visionare la documentazione (extracontabile) indispensabile per appurare la posizione fiscale dello Studio professionale. Ad esempio, a fronte di una fattura d’importo elevato, è ragionevole attendersi che il professionista conservi una pratica voluminosa, e viceversa. Resta, invece, precluso – ove tempestivamente eccepito – all’Amministrazione finanziaria, il potere di esaminare il relativo faldone e, comunque, di acquisirlo per accertare la posizione del cliente. Una volta sollevata l’eccezione, gli accertatori dovranno rivolgersi al magistrato e ottenerne l’autorizzazione. Oltre a ciò nulla – e precisamente la tempistica del procedimento, l’eventuale contradditorio davanti al magistrato, il fatto se quest’ultimo sia o meno tenuto ad analizzare la documentazione in contestazione – è previsto dalla legge.
La recente disavventura di un noto Studio legale tributario, suggerisce di concentrare gli sforzi nel cercare di prevenire il rilascio dell’autorizzazione da parte del Pubblico ministero. Ciò perché, una volta che quest’ultima sia stata rilasciata, considerata la sua natura “endoprocedimentale”, non è data possibilità di impugnarla. Si deve, infatti, attendere che, sulla base di essa, sia eventualmente emesso un atto impositivo. Questa, purtroppo, è l’unanime opinione dei vertici della giustizia italiana.
Si segnala, in proposito che, davanti alla Procura di Genova, un professionista verificato ha vittoriosamente proposto una “opposizione in prevenzione al rilascio di autorizzazione ex art. 52, 3° comma, D.P.R. n. 633 del 1972″. Non vi è dubbio: l’idea di bruciare sul tempo gli inquirenti – e stabilire sin da subito un contatto con l’Ufficio giudiziario competente al rilascio dell’autorizzazione – rappresenta, al momento, la best practice difensiva. In mancanza allo Studio professionale, non rimarrà altra strada che “giocare di rimessa” nell’eventuale sede tributaria, censurando l'(eventuale) atto impositivo che si basi sull’autorizzazione (in ipotesi) illegittima.
Chi ha tempo, quindi, non aspetti tempo!

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