Quanti di voi abitano in condomini che hanno l’impianto di riscaldamento centralizzato? La risposta è, presumibilmente, molti, forse la maggioranza.
Di coloro che abitano in condomini con riscaldamento centralizzato, quanti vorrebbero ne vorrebbero il distacco? La risposta è, nuovamente, tanti di voi.
La domanda da porsi, quindi, è la seguente: è possibile per il singolo condomino staccarsi dall’impianto di riscaldamento senza incorrere in problemi con gli altri condomini? La risposta è sì, ma con delle accortezze ed in questo articolo vedremo quali.
Innanzitutto, al fine di fornire una risposta completa alla domanda di cui sopra, occorre specificare che, l’art. 1118 c.c., come modificato dalla legge n. 220/2012, afferma che: “…Il condomino può rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, se dal suo distacco non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini. In tal caso il rinunziante resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua conservazione e messa a norma”.
A norma di detto articolo, pertanto, è consentito al singolo condomino di staccarsi dall’impianto di riscaldamento o raffreddamento centralizzato. Tale possibilità, però, è concessa solo in presenza di due condizioni e cioè che: (i) il distacco non crei problematiche al funzionamento dell’impianto e (ii) non vi sia un aggravio di spesa a carico degli altri condomini. Solamente in assenza di dette condizioni, che dovranno essere provate dal condominio richiedente, si potrà procedere con il distacco salvo che, ovviamente, il distacco non sia già stato autorizzato dall’assemblea stessa.
L’applicazione in concreto dell’art. 1118 c.c. è stata confermata dalla Suprema Corte con l’ordinanza n. 26185, dell’8 settembre 2023. In detta sentenza la Cassazione si è occupata di un caso ove il proprietario di un immobile aveva agito in giudizio nei confronti del proprio condominio, impugnando la delibera assembleare, in quanto, quest’ultima, prevedeva, in tema del riparto delle spese, l’attribuzione nei confronti dell’attore del pagamento pro quota delle spese relative al consumo, dell’impianto di riscaldamento, nonostante il condomino avesse effettuato il distacco dall’impianto centralizzato. L’attore richiedeva, altresì, al Tribunale di Torino, l’accertamento della legittimità del distacco, la non rilevabilità di potenziali ed asseriti squilibri al funzionamento dell’impianto, nonché la verifica dell’assenza di aggravi di spesa, causati dal distacco dell’impianto, agli altri condomini. Il condomino, infine, richiedeva al Tribunale la dichiarazione di debenza delle sole spese di manutenzione e di conservazione e messa a norma dell’impianto. Il condominio, a sua volta, proponeva domanda riconvenzionale richiedendo l’accertamento dell’illegittimità del distacco in violazione dell’art. 1118 c.c..
Il Tribunale di Torino, a seguito di C.T.U. (consulenza tecnica d’ufficio), rigettava le domande attoree rilevando che: (i) il distacco dall’impianto centralizzato aveva portato ai singoli condomini un aggravio di spese nei consumi e (ii) l’attore, a seguito del distacco, non aveva provveduto ad installare un nuovo impianto, utilizzando, così, il calore prodotto dai radiatori degli altri condomini. Accoglieva, quindi, la domanda riconvenzionale del condominio.
L’attore proponeva appello, dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c.. Il condomino, pertanto, ricorreva ex art 348 ter c.p.c. per la cassazione della sentenza messa dal Tribunale di Torino.
Il ricorrente (il condomino attore nel primo grado di giudizio), con il terzo motivo di ricorso richiedeva la riforma della sentenza emessa dal Tribunale nella parte in cui quest’ultimo aveva ritenuto illegittimo il distacco, nonostante, sempre a detta del ricorrente, vi fosse la prova dell’autorizzazione del condominio. La Suprema Corte, dichiarava inammissibile il terzo motivo, osservando, innanzitutto, che ogni condomino ha il diritto potestativo di richiedere il distacco dall’impianto comune di riscaldamento, affinché possa sostituirlo con un impianto autonomo. Gli Ermellini, poi, seguendo l’orientamento costante della Corte[1], affermavano che, per potersi distaccare dall’impianto centralizzato, il condomino deve dimostrare che: a) il distacco non arrecherà pregiudizio al regolare funzionamento dell’impianto centrale e b) non comporterà un aggravio di spese ai condomini che continueranno ad usufruire del riscaldamento centralizzato, né squilibrio termico dell’intero edificio.
La Suprema Corte, poi, riprendendo il dettato dell’art. 1118 c.c., ribadiva come la prova delle condizioni sopramenzionate dovesse essere data dal condomino richiedente il distacco mediante documentazione tecnica, salvo che l’assemblea condominiale non avesse autorizzato il distacco sulla base di una propria, autonoma, valutazione[2]. In caso di distacco, quindi, il condomino che ha richiesto ed effettuato il distacco dal riscaldamento centralizzato, rimane in ogni caso obbligato a pagare le spese di conservazione dell’impianto (ad esempio la sostituzione della caldaia) in quanto l’impianto rimane un accessorio di proprietà comune e il condomino potrà sempre richiederne il riallacciamento. Nel caso in cui, a seguito della sostituzione della caldaia il mancato allaccio a quest’ultima non sia espressione della volontà unilaterale di rinuncia o distacco, ma sia dovuta all’impossibilità tecnica di collegamento, anche futuro, il condomino non sarà tenuto a partecipare ad alcuna spesa in quanto non considerato titolare del diritto di comproprietà.
Nel caso concreto della sentenza analizzata, poi, la Corte riteneva corretta la valutazione effettuata dal Tribunale di Torino in quanto, il condominio, non aveva dimostrato la sussistenza dei presupposti ex art. 1118 c.c..
In conclusione, pertanto, richiedere il distacco dal riscaldamento centralizzato è possibile ma attenzione a rispettare tutti i requisiti richiesti dalla legge.
Avv. Emanuela Ras
[1] Vds. Cass. Civ. n. 7708/2077, Cass. Civ. n. 15079/2006 e Cass. Civ. n. 5974/2004.
[2] Vds. Cass. Civ. n. 22285/2016.
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