Categorie: Diritto Civile ed Internazionale

Consiglio di Stato, Sez. VI, 28 febbraio 2017, n. 922 – “Condono ambientale giurisprudenziale”. Il divieto di sanatoria paesaggistica ex art. 167 del D.Lgs. n. 42/2004 si applica solo agli interventi effettuati dopo il “correttivo” di cui al D.Lgs. n.157/2006
Data: 26 Set 2017
Autore: Conte Giacomini Avvocati

(The ban on post-regularization of abuses in the area affected by landscape constraints, required by Legislative Decree no. 42/2004 art. 167, as amended by Legislative Decree no. 157/2006 art. 27, must be applied only with reference to the Building interventions made after the entry into force of Legislative Decree no. 157 quoted (march 2006)).

 Con sentenza della VI Sezione (28 febbraio 2017, n. 922), il Consiglio di Stato si è pronunciato sull’applicabilità ratione temporis del divieto di sanatoria paesaggistica ex post (eccezion fatta per le ipotesi marginali tassativamente indicate) previsto dall’art. 167 del D.lgs. n. 42/2004 come modificato dal “correttivo” di cui al D.lgs. n. 157/2006.

Come noto, l’”originario” art. 167 del D.lgs. n. 42/2004, sulla falsariga della disciplina previgente (art. 164, comma 1, del D.lgs. n. 490/1999 e, prima di questo, art. 15 della L. n. 1497/1939), prevedeva che “In caso di violazione degli obblighi e degli ordini previsti dal Titolo I della Parte terza, il trasgressore è tenuto, secondo che l’autorità amministrativa preposta alla tutela paesaggistica ritenga più opportuno nell’interesse della protezione dei beni indicati nell’articolo 134, alla rimessione in pristino a proprie spese o al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione. La somma è determinata previa perizia di stima”.

In altri termini, in caso di abusi realizzati in area colpita da vincolo paesaggistico, anche se comportanti creazione di superfici utili o volumi ovvero incremento di quelli legittimamente realizzati, l’Amministrazione era tenuta a valutare caso per caso, secondo un discrezionale apprezzamento nell’interesse del bene tutelato, se condannare il trasgressore alla rimessione in pristino ovvero al pagamento di una “indennità” (maggior somma tra danno e profitto).

Già la L. n. 1497/1939 delineava una disciplina repressiva delle violazioni delle proprie disposizioni improntata ad una volontà “riparatoria” del danno prevedendo a carico del trasgressore che non ottemperava alle prescrizioni di legge l’alternativa del ripristino a propria cura e spese ovvero la corresponsione di una indennità equivalente alla maggior somma tra il danno arrecato ed il profitto conseguito mediante la commessa trasgressione.

La disposizione venne pressoché fedelmente trasfusa nell’art. 164 del D.lgs. n. 490/1999 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali) e da questo, pressoché identica, nell’art. 167 del D.lgs. n. 42/2004 (Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio).

Il “correttivo” al Codice, di cui al D.lgs. n. 157/2006, ha inasprito il trattamento sanzionatorio:

  1. i) precludendo l’applicabilità della sanzione pecuniaria sostitutiva;
  2. ii) stabilendo un generalizzato divieto di regolarizzazione posteriore delle opere abusive comportanti creazione di superfici utili o volumi ovvero incremento di quelli legittimamente realizzati.

Il Massimo Consesso della Giustizia Amministrativa — con pronuncia di portata “rivoluzionaria” — si è espresso sulla applicabilità o meno del trattamento sanzionatorio più afflittivo (attuale art. 167) anche nei confronti di interventi abusivi (comportanti creazione od incremento di superfici utili o volumi) realizzati prima dell’entrata in vigore del D.lgs. n. 42/2004 (che come detto ha modificato l’art. 167 escludendo la possibilità di regolarizzazione mediante applicazione di sanzione pecuniaria alternativa).

Va ricordato che la giurisprudenza amministrativa antecedente il “copernicano” revirement di cui alla pronuncia in commento, appariva costante nel ritenere fattore irrilevante la perpetrazione dell’abuso ed anche l’avvenuta presentazione della domanda di accertamento di compatibilità paesaggistica nella vigenza della meno restrittiva disciplina in vigore fino al “correttivo” del 2006, in ragione del principio del “tempus regit actum” e della conseguente applicazione della normativa vigente al tempo dell’adozione del provvedimento lesivo ancorché l’abuso e la presentazione della stessa domanda di sanatoria fossero precedenti alla sopravvenienza normativa più severa.

Orbene, il Supremo Collegio (v. punto 5.2.2 alle pagg. 15 e 16) ha sancito che il divieto di regolarizzazione ex art. 167 (testo vigente) del D.lgs. n. 42/2004 può trovare applicazione solo con riferimento agli interventi effettuati dopo l’entrata in vigore del “correttivo” del 2006. Per l’effetto ha annullato il provvedimento di ripulsa della domanda di accertamento di compatibilità paesaggistica ed il consequenziale provvedimento repressivo disponendo che l’Amministrazione debba, nel riesercizio conformativo delle proprie funzioni, compiere “ora per allora” le verifiche prescritte allo scopo di valutare l’esistenza delle condizioni per potere commutare la restituzione in pristino con la irrogazione di una sanzione pecuniaria.

Vertendosi infatti sull’applicazione di misure sanzionatorie, alla stregua del principio della irretroattività delle disposizioni che ne inaspriscono la disciplina, il Collegio ha chiarito che “…Il divieto di regolarizzazione suddetto [quello imposto dall’attuale art. 167 del D.lgs. n. 42/2004 n.d.r.] deve trovare applicazione esclusivamente con riferimento agli interventi effettuati — e comunque alle infrazioni accertate — dopo l’entrata in vigore della disciplina stessa (marzo 2006)”.

Va da sé che il principio scolpito dal Consiglio di Stato — ancorché afferente controversia relativa alla realizzazione di incrementi volumetrici posti in essere dopo l’entrata in vigore del D.lgs. n. 42/2004 (ma prima del “correttivo” del 2006) — si attaglia a tutti gli abusi realizzati in zona colpita da vincolo paesaggistico ante marzo 2006, e quindi anche nel caso di interventi precedenti il D.lgs. n. 42/2004, stante l’identità della disciplina sanzionatoria prevista dalla normativa previgente il predetto “correttivo”.

 

 

 

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