La responsabilità, anche penale, del datore di lavoro per contagio da Covid-19 è uno dei profili più importanti e pratici della nuova normativa emergenziale e così pure gli aspetti, anch’essi di potenziale rilevanza penale, connessi agli obblighi da parte di tutti gli operatori economici, ivi comprese PMI, microimprese e professionisti, di dotare le proprie strutture operative dei presidi protettivi ( e delle procedure) imposte da detta nuova normativa.
Quanto al primo aspetto,su cui non mi soffermo qui in dettagli e di cui abbiamo già scritto, mi limito a sottolineare alcuni fondamentali profili:
- L’art. 42 comma 2 del DL 18/2020, convertito in L. 27/2020 (con modifiche successivamente introdotte dal DL 28/2020), prevede la copertura Inail per gli assicurati che contraggono un’infezione da Covid-19 “in occasione di lavoro”. Tale evento si qualifica pertanto come infortunio e può implicare una responsabilità penale del datore di lavoro, titolare della “posizione di garanzia”, che non abbia adottato adeguatamente le misure necessarie a prevenire il rischio.
- Il D.Lgs 81/2008( TU Salute e Sicurezza sul lavoro) impone infatti obblighi specifici di natura preventiva ed informativa e all’art. 271 prevede l’obbligo di valutare anche il rischio biologico.
- Si ricorda che le condotte imposte dal D.Lgs 81/2008, ove omesse, sono fonte di responsabilità penale in sé, a prescindere dal verificarsi o meno di un infortunio.
- La normativa emergenziale e, in particolare, il DPCM 26 aprile 2020, che fonda la sua legittimità nel DL 18/2020 ( richiamato al punto 1. che precede),prevede poi obblighi precisi nello “svolgimento in sicurezza delle attività produttive industriali e commerciali” (art.2), facendo anche rinvio ai protocolli condivisi sottoscritti il 24/4/20 e il 20/3/20, allegati al DPCM stesso.
- Opportuno aggiungere che la denuncia di infortunio all’INAIL deve essere fatta nelle 48 ore ( vedi DPR 1124/65 e art. 18, comma 1 lett.r) del D.Lgs 81/2008) ricordando che il DL 18/2020 dispone che i casi Covid-19 non rientrano peraltro nella determinazione del tasso medio infortunistico dell’azienda.
- Da segnalare che anche il lavoro a distanza e soprattutto il c.d. smart working non sono estranei al tema e suggeriscono una valutazione specifica.
- Si sottolinea infine che i protocolli di gestione dei rischi da reato previsti dal Lvo 231/01, trattandosi di materia connessa alla sicurezza sul lavoro, debbono certamente essere aggiornati con riferimento alle misure assunte con riferimento al rischio contagio da Covid-19.
Quanto al secondo aspetto, voglio innanzitutto sottolineare che gli effetti contenziosi, anche penali, potranno essere estremamente rilevanti e diffusi e potranno riguardare anche microimprese (esercizi commerciali, bar,ristoranti…..). Il tema merita dunque un altissimo livello di attenzione anche alla luce della Circolare interpretativa del 28 aprile 2020 che la Procura della Repubblica di Genova ha inviato agli Organi di Vigilanza “in vista della riapertura di numerose attività produttive” prevista per il 4 maggio e riferita alle attività di loro competenza “ in materia di sicurezza e salute sul lavoro”.
E’ ragionevole prevedere che le indicazioni fornite da questa Circolare, per la ragionata qualità del suo contenuto, potranno fornire criteri interpretativi anche ad altre Procure italiane.
Merita dunque soffermarsi su molti principi condivisibili e su alcuni che, al contrario, destano fondate perplessità e suggeriscono solidi argomenti difensivi per coloro che saranno destinatari di contestazioni penali o anche di sanzioni amministrative particolarmente afflittive ( ad es. sospensione dell’attività).
In sintesi, evitando in questa sede eccessivi tecnicismi, la Procura di Genova chiarisce alcuni profili di diritto davvero fondamentali che debbono porsi alla base di qualunque sanzione penale e, aggiungo , anche amministrativa particolarmente afflittiva, che la giurisprudenza della Corte EDU (diritti dell’uomo) e della Corte di Giustizia Europea, equipara alla sanzione di natura penale:
- Nessun atto di natura amministrativa ( tali sono i DPCM ed i DM), può autonomamente istituire una fattispecie penale e pertanto, ove una condotta penalmente rilevante sia prevista in un atto amministrativo, essa deve essere prevista in termini sufficientemente precisi nella norma di Legge (DL) sulla base della quale l’atto amministrativo è stato emanato.
- Su questo importantissimo aspetto, la Circolare della Procura ricorda che il DL 19/2020 costituisce la base legale dei DCPM emanati per la sua attuazione e quindi del DCPM del 10 aprile e di quello, oggi fondamentale, del 26 aprile 2020 nel quale ultimo, come già detto, si fa espresso rinvio ai protocolli condivisi allegati, n. 6,7 e 8, al medesimo DCPM.
- L’art. 2 comma 10 del DCPM del 26 aprile fa infatti espresso rinvio alle sanzioni e ai controlli previsti all’art.4 del DL 19/2020 che ( fatti salvi i casi in cui emergano reati) stabilisce sanzioni amministrative molto severe e coperte dalla previsione legislativa che il DL garantisce al DPCM (e allegati) che ne costituisce misura attuativa.
- La Procura di Genova sottolinea che, al contrario, lascia perplessità il contenuto dell’art.2 comma 6 del DPCM del 26 aprile ove si dispone che” la mancata attuazione dei protocolli che non assicuri adeguati livelli di protezione determina la sospensione dell’attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza” . Osserva la Procura che questa sanzione amministrativa particolarmente afflittiva prevista dal DCPM, non trova copertura nel DL 19/2020 che, tra l’altro, già prevede per tali casi una specifica sanzione amministrativa ( salvo emerga un reato penale) al suo art.4, commi 1 e 2, ove si precisa che per tali condotte non è applicabile il reato contravvenzionale di cui all’art. 650 CP e che per l’applicazione delle sanzioni amministrative individuate dal DL si segue la procedura prevista dalla L.689/81( e non quella di cui all’art. 301 del D.Lgs 81/2008, sicurezza sul lavoro).
- Valutati questi importanti profili specifici. La Circolare torna al tema generale relativo al fatto che qualunque sanzione penale ( e amministrativa particolarmente afflittiva) deve trovare fondamento in un norma di Legge o in un atto amministrativo (DPCM,DM) che derivi da essa. La tesi è condivisibile, derivandone a nostro avviso che qualunque condotta ipotizzata nel DCPM del 26 aprile, e nei protocolli allo stesso allegati, può comportare sanzioni penali (o amministrative gravi), solo se “coperta” dal DL 19/2020 o ove contenga disposizioni corrispondenti al D.Lgs 81/08 sulla sicurezza sul lavoro ( da applicarsi con l’osservanza della procedura prevista dal D.Lgs 758/1994).
- Sottolinea quindi, correttamente in linea di principio, che un’ulteriore base di legittimazione può anche discendere dalla normativa europea direttamente applicabile (Regolamenti e Direttive, queste ultime con specificazioni che qui si omettono). E’ sotto questo aspetto che l’analisi sviluppata dalla Circolare non convince.
- Essa infatti, a titolo di esempio, cita il caso delle barriere protettive di cui tratta indirettamente (secondo la Procura) il D.Lvo 81/2008 e che anche la normativa europea considera (Regolamento UE 2016/425). Secondo la Circolare, la previsione indiretta del D.Lvo 81/2008, ove si parla in via generale di attrezzature protettive “complementari o accessorie” (art.74) allo scopo di proteggere la sicurezza o la salute durante il lavoro, comprende anche le barriere anti virus, non prevedibili nel 2008 ( ante Covid-19) anche in relazione al fatto che le barriere sono previste dal Regolamento UE del 2016 sia pure in un contesto diverso da quello attuale essendo anche il Regolamento UE anteriore al Covid-19. Sostiene infatti la Procura che le barriere protettive imposte dal protocollo condiviso del 24 aprile, allegato al DPCM del 26 aprile 2020, rientrerebbero nel disposto della norma nazionale ( D.Lgs.81/2008) interpretata estensivamente in quanto conforme alla specifica norma europea (Regolamento UE 2016/425), anch’essa peraltro interpretata estensivamente. L’omessa predisposizione di idonee barriere protettive legittimerebbe quindi la sanzione penale prevista dall’art. 87 comma 2 lett.d) del D.Lgs 81/2008 per violazione dell’art. 77 comma 3 del medesimo D.Lgs.
Su questa opinione della Procura si dissente con convinzione.
Il Regolamento UE infatti non ipotizza, come la stessa Procura riconosce, un contesto applicativo tra l’altro imprevedibile nel 2016. Esso, per ragioni e finalità del tutto diverse, impone sistemi di protezione rigorosamente omologati e certificati secondo i requisiti dettati a livello UE.
Interpretare in termini analogici ed estensivi il Regolamento,addirittura al fine di individuare una condotta penalmente rilevante, sembra davvero anomalo, essendo tra l’altro chiaro il dato normativo europeo che, come detto, oltre alle finalità,è anche tassativo nell’imporre i requisiti di certificazione dei dispositivi di protezione.
La norma europea non è in alcun modo estensibile alla attuale fattispecie emergenziale e non può fornire alcuna “copertura” ad una interpretazione estensiva del D.Lvo 81/2008 che dia fondamento legislativo a nuove condotte penali previste da atti amministrativi (DPCM e protocolli allegati).
Da ultimo e senza possibilità di smentita, osservo che ove un Giudice, un domani, dovesse ritenere plausibile l’impostazione accusatoria prospettata dalla Procura e nutrisse un dubbio sul punto, non avrebbe altra scelta rispetto a quella di sospendere il giudizio penale in corso e formulare pertinenti quesiti interpretativi alla Corte di Giustizia Europea secondo l’art. 267 TFUE.
E’ infatti del tutto scontato che l’interpretazione di una norma euro unitaria è tassativamente riservata alla Corte Europea e che nessun Giudice nazionale ha questo potere, specie in un procedimento penale ed in danno dell’accusato.