The “Bettolo” terminal in the port of Genoa is probably the most emblematic case of the complexity in managing public leases in ports.
It is sufficient to say that because of this case the President of the Port Authority and port managers were put under criminal investigation for many years.
Today, the story is finally accomplished.
On June the 10th 2014, the Judge absolved all the accused.
Come noto, le tormentate vicende penali che hanno profondamente segnato la storia del Porto di Genova negli ultimi anni, hanno riguardato non solo le procedure per l’assegnazione del terminal cd. “Multipurpose” ma anche quelle relative al terminal cd. “Bettolo”.
In estrema sintesi, la Procura della Repubblica di Genova ha per anni sostenuto che, in entrambi i casi, fossero da ravvisarsi gravi illeciti e,in particolare,la turbativa d’asta (art. 353 c.p.) con riferimento al Multipurpose e l’abuso d’ufficio (art. 323 c.p.) in relazione al Bettolo.
Nella costruzione accusatoria poi le due vicende risultavano strettamente connesse essendo,addirittura, la seconda una delle ragioni per le quali gli imputati si erano resi responsabili della turbativa d’asta con riferimento al Multipurpose.
Secondo la Procura della Repubblica, infatti, vi sarebbe stato un interesse illegittimamente perseguito a liberare tale ultimo terminal dalla ingombrante presenza della MSC di Gianluigi Aponte dirottando quest’ultima sul terminal Bettolo e consentendo, fra l’altro, al Gruppo Grimaldi, che ne era concessionario, di lucrare un’ingente profitto poiché sarebbe stato promesso illegittimamente ad MSC che la concessione sugli spazi esistenti si sarebbe automaticamente estesa ai rilevantissimi nuovi spazi che sarebbero derivati dal tombamento a mare da realizzarsi nell’immediato futuro.
Tutto questo suggestivo “castello accusatorio” (sempre smentito,secondo le difese, dall’analisi fattuale e giuridica dei complessi eventi succedutisi negli anni) è giunto a positiva conclusione solo con la sentenza resa in via definitiva dalla Suprema Corte di Cassazione il 13 marzo 2014.
Nello scorso numero della nostra newsletter si è data notizia del favorevolissimo dispositivo di tale sentenza la cui motivazione, sulla quale torneremo, è stata peraltro depositata il 21 luglio 2014.
Nel frattempo, il 10 giugno scorso il Giudice per le Indagini Preliminari di Genova, Dottoressa Silvia Carpanini, ha emesso il decreto di archiviazione che ha posto la parola fine anche alla vicenda Bettolo per la quale la Procura di Genova aveva indagato i Signori Aponte, Grimaldi, Negri e Novi che, escluso il solo Aponte, erano stati tutti portati a giudizio anche nella vicenda Multipurpose unitamente a molti altri professionisti ed imprenditori che si era ingiustamente ritenuto fossero stati artefici di condotte illecite riconducibili alla fattispecie della turbativa d’asta,e non solo.
Si pensi, ad esempio, al Professor Sergio Maria Carbone ed allo storico Console della Compagnia Portuale Paride Batini, deceduto nel corso del procedimento.
Come detto, nella “tranche” Bettolo la Procura della Repubblica aveva configurato il reato di abuso d’ufficio poiché, a coronamento del disegno strategico nato in occasione delle procedure connesse all’assegnazione del terminal Multipurpose, con la delibera del Comitato Portuale del 24 gennaio 2008 sarebbero state dolosamente violate le procedure di legge e sarebbe stato così procurato un ingiusto vantaggio patrimoniale al Consorzio Bettolo (riferibile ad Aponte e Negri), avendo detta delibera attribuito illegittimamente al Consorzio in questione la concessione delle aree che sarebbero derivate dal tombamento a mare.
In queste sintetiche premesse, con il deposito della sentenza della Cassazione sul caso Multipurpose, vale la pena sviluppare un’analisi di sintesi dei due procedimenti che, coerentemente e giustamente, si sono conclusi entrambi a vantaggio di tutti gli indagati/imputati.
E’ innanzitutto opportuno ricordare, per quanto sia ovvio, che l’inquadramento penalistico di un fatto non può prescindere dalla circostanza che tale fatto sia regolato da normative di natura extrapenale. A maggior ragione allorchè si verta in materie definibili come “penale tecnico” o “penale dell’economia”,così come è nel caso di specie, ove il contesto nel quale la “proiezione” penale della vicenda doveva e deve essere collocata e valutata si colloca in un quadro che riconduce alle materie del diritto portuale (Legge 84/94), del diritto amministrativo e, in qualche misura, del codice della navigazione.
Vi è poi anche da ricordare che la normativa nazionale non costituiva il solo parametro di riferimento,potendosi validamente ipotizzare che il diritto dell’Unione europea potesse/dovesse offrire una corretta chiave di lettura con riferimento al tema delle pubbliche concessioni e della natura delle procedure ammissibili per la loro assegnazione in un ambito portuale.
E qui viene il primo profilo che merita attenzione anche in considerazione del fatto che la risposta formalmente negativa offerta dalla Suprema Corte di Cassazione sul punto, costituisce, nella sostanza, la base del successivo ragionamento che, attraverso ampia motivazione, ha portato alla assoluzione con la formula “perché i fatti non sussistono”.
Ci si riferisce alla circostanza che, proprio la nostra difesa nell’interesse di Aldo Grimaldi si era analiticamente concentrata sull’esigenza che il Giudice nazionale disponesse un rinvio interpretativo davanti alla Corte di Giustizia ex art. 267 TFUE, al fine di accertare se la normativa UE in materia di appalti e di concorrenza, consentisse di ricomprendere nella propria sfera anche le concessioni di aree portuali. Allo stato del diritto UE, infatti, non esiste alcuna norma specifica espressamente riconducibile a tale profilo e pertanto solo la Corte di Giustizia, in caso di dubbio, avrebbe potuto statuire se anch’esso potesse ritenersi analogicamente ricompreso nelle rigorose norme comunitarie che impongono procedure di evidenza pubblica nell’assegnazione di beni e/o servizi da parte di una qualunque pubblica autorità.
Su questo profilo la Corte di Cassazione è stata tranchant nell’escludere la rilevanza della questione interpretativa pregiudiziale dedotta, affermando che: “Nel caso in esame, nessuna norma di diritto euro-comunitario appare specificamente riferibile alla concessione di beni in ambito portuale”.
E’ esattamente la tesi di cui la difesa era convinta ma, resta il fatto che, nelle sentenze di primo e secondo grado aveva trovato spazio un opposto avviso.
Ed è solo in ragione di ciò che si era ritenuto indispensabile sollevare l’esigenza di sottoporre il tema all’esame della Corte di Giustizia che, come noto, è l’unico Giudice abilitato ad interpretare il diritto UE non potendosi il Giudice nazionale attribuire tale prerogativa se non in casi limitatissimi ed estremi.
Non ci si rammarica dunque certo che la Cassazione abbia escluso, così come in effetti è corretto, l’esistenza di una qualsiasi norma UE, che possa ritenersi direttamente applicabile ad una fattispecie quale quella oggetto del procedimento penale in esame e si concorda quindi pienamente sul fatto che, in effetti, nessuna interpretazione di norme comunitarie rilevanti ai fini della decisione del caso nazionale dovesse essere data.
E’ doveroso in questo contesto richiamare il saggio scritto sulla Nuova Giurisprudenza Ligure (numero 2/2013) dal Dottor Michele Marchesiello il quale, in epoca davvero insospettabile, ha sostanzialmente sviluppato in termini tecnicamente puntuali e con visione precognitrice quello che sarebbe stato il più corretto esito della vicenda sul piano giuridico. Scriveva, infatti, il Dottor Marchesiello nelle sue conclusioni che: “La Corte di Cassazione, assolvendo a un compito certo non semplice, avrebbe dovuto valutare innanzitutto se proporre un ricorso pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE e avrebbe quindi e comunque dovuto “pronunziarsi” sulla ambigua configurazione della gara “atipica”, sul rapporto tra “gara” e “procedura di evidenza pubblica”, sul governo che i Giudici di merito hanno fatto di queste nozioni dai confini allo stato molto incerti. Sarà inevitabile anche pronunziarsi sulla natura meramente “estensiva” oppure “analogica” dell’interpretazione che applica anche alla gara “atipica” il reato di cui all’articolo 353 c.p.”
Ed invero, la Suprema Corte, una volta sgombrato il campo da ogni questione di carattere strettamente processuale/preliminare, ivi compreso l’ipotizzato rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, ha affermato la fondatezza “nel merito” dei ricorsi proposti dagli imputati. Ciò sulla base di una puntuale ricostruzione dei fatti che i Giudici del merito avevano manifestamente travisato.
Osserva infatti la Corte che la fattispecie penale della turbativa d’asta è estensibile a tutte le procedure caratterizzate dalla pubblicità e dalla competitività ma non certamente ai casi in cui all’esito della procedura si addivenga mediante una trattativa privata essendo tale percorso di per sé estraneo alla nozione di gara, propriamente o impropriamente intesa.
Ove poi ci si ponga il problema della turbativa di una “gara” occorrono quantomeno due requisiti: il primo che è una “gara” esista, il secondo che il percorso della medesima venga turbato. E turbativa può esservi allorchè la condotta che la realizza sia connotata da elementi di fraudolenza e/o clandestinità.
Ciò detto, osserva la Cassazione non esservi dubbio che il 23 ottobre 2003 fosse stato pubblicato un avviso definibile tecnicamente come “gara”. Tale avviso presentava i tratti di una procedura ad evidenza pubblica che apriva un percorso di natura competitiva/concorrenziale fra coloro che vi avessero partecipato.
E’ però altrettanto ed indiscutibilmente vero che ,dopo un periodo in cui tutti gli operatori portuali comprese le presunte vittime del reato si erano attivate in ogni modo per invocare una soluzione negoziata estranea alla gara in quel momento in corso, il Comitato portuale del 23 gennaio 2004 segna oggettivamente ed inequivocabilmente un momento di rottura e di svolta rispetto al percorso procedurale fino a quel momento seguito e giunto, quindi, ad esaurimento.
La Conferenza dei servizi che nell’ambito della gara avrebbe dovuto assegnare i punteggi e formare la graduatoria aveva concluso i suoi lavori il 9 gennaio 2004 senza pervenire a tale esito e il Comitato portuale del 23 gennaio 2004, preso atto di ciò, aveva deciso di affidare una nuova valutazione ad una diversa e nuova commissione tecnica il cui compito non era quello di proseguire in un percorso procedimentale inquadrabile nel concetto di gara, propriamente o impropriamente intesa, ma, al contrario, quello di trovare una diversa soluzione rispetto all’assegnazione del terminal Multipurpose a MSC e individuare una “possibile soluzione concordata” che tenesse conto degli assetti complessivi del porto ivi compresa la futura funzionalità e destinazione del terminal Bettolo.
Ed è qui che le due vicende (Multipurpose e Bettolo) storicamente si incrociano trovando un punto di mediazione e non certo di illecita ingerenza nel cosiddetto memo Grimaldi dell’1 marzo 2004 che, ben lungi dall’essere la prova di una responsabilità penale, costituisce al contrario la bozza di un percorso faticosamente intrapreso nell’interesse complessivo della portualità genovese e nell’ambito di un inquadramento giuridico per sua natura negoziale riconducibile all’art. 18 comma 4 della L. 84/94 che prevede appunto i cosiddetti “accordi sostitutivi” che il Comitato portuale può suggerire delegandone il conseguimento ai negoziati tra le parti private sotto l’egida del Presidente dell’Autorità Portuale a ciò autorizzato.
Nella constatazione documentale di questa situazione di fatto scrive la Cassazione che: “L’evoluzione in senso consensuale della procedura, proprio perché oggettivamente caratterizzata in chiave privatistica, non consente di ritenere applicabile la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 353 c.p., non potendo costituire propriamente una turbativa di pubblico incanto, ovvero di licitazione privata, la realizzazione di condotte volte alla conclusione di un accordo sostitutivo del provvedimento finale della Pubblica Amministrazione, nel libero esercizio di facoltà e poteri frutto dell’autonomia negoziale dall’ordinamento riservata alle parti”. Per concludere che: “L’instaurazione di procedure negoziate del tipo di quelle contemplate nella disposizione di cui all’art. 18, comma 4, della Legge numero 84/94, esula dall’ambito di applicabilità della previsione incriminatrice di cui all’art. 353 c.p., potendovi rientrare solo a costo di un’inammissibile applicazione analogica in malam partem del suo contenuto precettivo”.
Tornando ora conclusivamente al tema Bettolo, vale a questo punto ricordare che, nell’ambito delle vicende processuali specificamente ad esso riferibili non vi era solo quella di natura penale conclusasi con il decreto di archiviazione del 10 giugno 2014, ma vi era stato anche un precedente giudizio amministrativo che si era concluso con una sentenza resa dal TAR Liguria il 15 marzo del 2012 (passata in giudicato). Ebbene, anche in tale sede amministrativa era stato tracciato un percorso evolutivo in ordine alla natura, alla funzione ed allo spazio operativo che deve riconoscersi ai cosiddetti accordi sostitutivi previsti dall’art. 18 comma 4 della L. 84/94 e dall’art. 11 della L. 241/90.
Con tale pronuncia il TAR Liguria aveva chiarito che: “La concessione demaniale ha smarrito l’originaria impronta di atto unilaterale espressione di un potere autoritativo, per assumere piuttosto le connotazioni di un modulo convenzionale unitario”.
In questa visione interpretativa correlata all’inarrestabile modificarsi della realtà economica, anche nei porti, osservava il TAR che: “L’ascrizione della concessione demaniale al contratto risponde dunque ad un’esigenza inemendabile”.
E’ dunque chiaro che nell’ambito delle vicende qui in commento la giurisprudenza appare essersi univocamente orientata nel senso di riconoscere che, quando non vi siano specifiche ragioni normativamente ostative, debba essere valorizzato il profilo negoziale con che, naturalmente, lo stesso sia coerente con gli interessi generali riferibili al compendio economico costituente l’oggetto dell’intervento (in questo caso gli spazi pubblici di un porto).
A quanto sopra, si deve poi aggiungere che, sempre per quanto attiene la vicenda Bettolo, la sentenza del TAR Liguria aveva trattato anche un ulteriore profilo giuridico attinente l’art.18 della Legge portuale. Tale profilo riguarda l’art.18 comma 7 e la possibilità o meno che un terminal portuale sia gestito da più operatori. La Procura di Genova era infatti dell’avviso che una gestione “collegiale” fosse illegittima e fors’anche penalmente rilevante e che un unico concessionario dovesse operare direttamente ed in modo esclusivo. Il problema,infatti, si poneva in concreto per il fatto che il Consorzio Bettolo, già nella proprietà esclusiva del Gruppo Grimaldi, era stato da esso trasferito a MSC (Aponte) e SECH (Negri) essendo,fra l’altro, quest’ultimo già titolare di altra importante concessione su area confinante.
Orbene, venendo a questo punto al decreto di archiviazione del 10 giugno 2014 sul contestato abuso d’ufficio (art. 323 c.p.) a carico di Aponte, Grimaldi, Negri e Novi per l’affidamento delle aree di Calata Bettolo in presunta violazione dell’art. 18 comma 7 della L. 84/94, il cerchio si chiude in piena e coerente armonia. Come detto,infatti,già il TAR Liguria nella sua sopra citata sentenza aveva chiarito come l’art. 18 comma 7 non possa essere interpretato in senso formalistico e rigorosamente restrittivo sottolineando che l’evoluzione delle dinamiche economiche imponeva un’interpretazione volta a consentire l’esigenza di rendere più flessibili e più efficienti le imprese portuali essendo finalità primaria della normativa quella di garantire” l’incremento dei traffici e la produttività del porto” a tutela degli interessi complessivi del porto medesimo (art.18 comma 6 Legge portuale). Ed invero, aveva osservato il TAR, non sempre e comunque appariva compatibile con il doveroso perseguimento di tale finalità un’applicazione rigida dell’obbligo di esercizio diretto ed esclusivo dell’attività del terminalista.
In questa chiara logica interpretativa della norma, a maggior ragione, il Giudice penale ha correttamente ritenuto che ove le condotte erano state giudicate corrette sul piano amministrativo non poteva certo il Giudice penale sostituirsi con una propria valutazione che ravvedesse nelle medesime addirittura una condotta penalmente rilevante. Osservava quindi il Giudice penale che il Comitato portuale del 24 gennaio 2008 aveva approvato il piano di sviluppo allegato all’istanza di concessione presentata dal Consorzio Bettolo subordinando il futuro rilascio del titolo concessorio alla valutazione di adeguatezza della soluzione, da proporsi entro il termine di un anno, per garantire la gestione unitaria del compendio e che proprio la successiva delibera negativa del Comitato portuale era stata poi annullata dal TAR con la sentenza di cui sopra si è detto.
La vicenda nel suo complesso si chiude dunque definitivamente qui con l’accertamento ultimativo del fatto che né la vicenda Multipurpose si era mai connotata per la finalità di favorire illecitamente i nuovi concessionari del terminal Bettolo né, questi ultimi, avevano ottenuto la concessione su detto terminal nell’abito di una procedura amministrativa irregolare o, tanto meno, illecita.
Un’ultima considerazione merita il fatto che questo esito potrebbe suggerire oggi una ricerca delle responsabilità e dei danni conseguenti per quanto si è verificato a discapito morale ed economico di coloro che, per anni, sono stati chiamati a rispondere di illeciti insussistenti con rilevante beneficio a favore di chi ha ritenuto di dover sostenere con pervicacia un ruolo accusatorio. Ma questo è un altro discorso che, fra l’altro, per il trascorrere del tempo ed il radicale modificarsi della realtà, pur essendo giuridicamente sostenibile potrebbe ormai essere del tutto privo di concreto interesse attuale. Il che la dice lunga sull’esigenza che il diritto dell’economia adegui, anche nel settore penale, i propri tempi a quelli del mondo reale.