A volte ritornano. Ebbene sì, a distanza di 376 giorni dalla cessazione dall’interminabile situazione emergenziale sanitaria dovuta alla pandemia da Covid-19, dichiarata nell’ormai lontano 31 gennaio del 2020, si torna a parlare di stato di emergenza.
L’11 aprile scorso, con delibera pubblicata in Gazzetta Ufficiale l’8 maggio (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2023/05/08/23A02609/sg), il Consiglio dei Ministri, su proposta del ministro per la Protezione civile e le Politiche del mare Musumeci, ha, infatti, proclamato lo stato di emergenza su tutto il territorio nazionale per fronteggiare quello che viene espressamente definito come un eccezionale incremento dei flussi migratori in ingresso in Italia attraverso le rotte del Mediterraneo.
Ma in che cosa consiste lo stato di emergenza nell’ordinamento giuridico italiano? La nostra Costituzione, a differenza di quella di tanti altri Paesi, non contiene un’espressa previsione dello stato di emergenza. Fatta eccezione per la dichiarazione dello stato di guerra che deve essere deliberato dalle Camere (art. 78 Cost.), l’unico riferimento, alquanto generico, è quello che si rinviene nell’art. 77 che in presenza di non meglio definiti “casi straordinari di necessità e d’urgenza”, riconosce al Governo la possibilità di emanare provvedimenti provvisori con forza di legge (decreti legge).
Le prime norme di carattere emergenziale furono emanate nel corso degli anni ’70 in occasione di eventi calamitosi di particolare gravità quali, ad esempio, i terremoti che colpirono il Friuli e l’Irpina. Nel 1992 è il turno della Legge istitutiva del Servizio nazionale di Protezione Civile che per la prima volta introduce nel nostro ordinamento lo strumento dello stato di emergenza previsto per calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità ed estensione, necessitavano di mezzi e poteri straordinari per essere fronteggiati.
Oggi lo stato di emergenza trova la sua disciplina nel Codice della Protezione Civile, il D.Lgs. n. 1/2018. In particolare, l’art. 24 di detto provvedimento prevede che possa essere deliberato al verificarsi di emergenze di rilievo nazionale connesse con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo che in ragione della loro intensità o estensione debbono, con immediatezza d’intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo (art. 7, comma 1, lett. c, D.Lgs. n. 1/2018).
La proclamazione dello stato di emergenza compete esclusivamente al Consiglio dei Ministri, previa valutazione della ricorrenza dei presupposti da parte del Dipartimento della Protezione Civile, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, formulata anche dietro specifica richiesta del Presidente della Regione o Provincia autonoma interessata agli eventi calamitosi e comunque acquisitane l’intesa, fissandone la durata e determinandone l’estensione territoriale con riferimento alla natura e alla qualità degli eventi.
Si tratta di un atto avente natura amministrativa, la cui principale caratteristica risiede nella possibilità di emanare, ai sensi del successivo art. 25 D.Lgs. 1/2018, ordinanze extra ordinem, da adottarsi in deroga ad ogni disposizione vigente, nei limiti e con le modalità indicati nella stessa deliberazione dello stato di emergenza, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico e delle norme dell’Unione europea.
Altro elemento che accompagna sempre la dichiarazione dello stato di emergenza è lo stanziamento di specifiche risorse economiche destinate a finanziare agli interventi urgenti. Tali risorse vengono attinte dal Fondo destinato alle emergenze nazionali che può essere progressivamente incrementato nel corso della durata dello stato di emergenza.
Risulta, pertanto, del tutto evidente l’ampiezza e la portata del potere, caratterizzato da larghissima discrezionalità, di emanare ordinanze in deroga a qualsiasi disposizione di legge, potere che per espressa previsione del D.Lgs. n. 1/2018 spetta al Presidente del Consiglio dei ministri che esercita, salvo diversa previsione con la deliberazione dello stato di emergenza di all’art. 24, per il tramite del Capo del Dipartimento della Protezione Civile.
Così come concepito e strutturato, lo stato di emergenza è stato, quindi, storicamente pensato in funzione di porre rimedio a calamità naturali come terremoti, alluvioni, frane, esondazioni, comunque caratterizzate dalla delimitazione temporale e spaziale.
Il recente ricorso a tale strumento per fronteggiare emergenze di ben altra natura e portata, si pensi alla pandemia da Covid-19 e da ultimo la già citata emergenza migranti, ha dato vita ad ampi dibattiti sulla legittimità di siffatti provvedimenti, sollevando non poche perplessità circa le anomalie che si sono registrate a cominciare, ad esempio, dalla durata stessa dell’emergenza.
Così come accaduto con i decreti leggi, che da strumenti aventi natura del tutto eccezionale sono diventati prassi comune a tutti gli esecutivi che si succedono velocemente nel tempo, vi è pertanto il rischio, quantomeno potenziale, di un abuso di tale strumento che da stato di emergenza possa trasformarsi in uno stato d’eccezione, con una conseguente, continua proliferazione di provvedimenti normativi di rango secondario.
In conclusione, a giudizio di chi scrive, è, pertanto, auspicabile che si dia vita ad una riforma costituzione volta all’introduzione dello stato di emergenza, analogamente a quanto previsto da molti paesi europei, con una chiara e precisa definizione degli ambiti applicativi e, soprattutto, dei limiti entro i quali possa essere legittimamente esercitato tale potere straordinario, nel rigoroso rispetto delle libertà costituzionali e dei principi di proporzionalità e ragionevolezza.
Alla prossima emergenza.
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