Categorie: Diritto degli animali

Eutanasia animale e responsabilità veterinaria
Data: 18 Dic 2019
Autore: Manuela Giacomini

Our Law firm dealt with a case of euthanasia of an animal carried out by a veterinarian without the consent of the owners recently.

Only a veterinarian can practice euthanasia, and this practice is allowed only if it is unavoidable and in the interest of the health of the animal. Otherwise, the veterinarian could commit the crime provided by article 544 bis c.p. “animal killing”.

In civil proceedings, the veterinarian has a contractual responsibility and, therefore, if it does not perform the due service correctly he will be required to pay damages pursuant to art. 1217 c.c.

 

Di recente, abbiamo avuto modo di occuparci in via preliminare di un caso di eutanasia di un animale, effettuata da un veterinario senza il consenso dei proprietari.

Innanzitutto, si premette che, in base a quanto stabilito dall’ art. 34 del Codice deontologico della professione veterinaria stabilito dalla Federazione nazionale degli ordini dei veterinari italiani, l’eutanasia di un animale è atto esclusivamente medico veterinario, guidato dall’etica professionale del Medico Veterinario e può essere effettuata al fine di evitare all’animale paziente sofferenza psico-fisica e/o dolore inaccettabili oppure nei casi consentiti dalla legge.

Di conseguenza, l’eutanasia può essere praticata solamente da un medico veterinario se è inevitabile e nell’interesse degli animali, non del proprietario.

 

In particolare, l’eutanasia è ammessa solo se l’animale è:

  • di “comprovata aggressività e pericolosità” (caratteristica che richiede un iter burocratico specifico con diversi controlli da parte di veterinari della Asl i quali, dopo le segnalazioni di morsicatura o aggressione, devono sottoporre il cane a degli accertamenti relativi alle sue condizioni psicofisiche oltre a valutare la capacità dei proprietari di una corretta gestione dell’animale);
  • gravemente malato (deve trattarsi di malattia allo stato terminale);
  • incurabile: ovvero quando l’animale non mangia, non deambula, non respira, presenta dolori e sofferenze incurabili per le quali non è praticabile nessuna terapia medica.

La decisione finale spetta quindi al veterinario e non al proprietario il quale, se deliberatamente non cura l’animale e ne determina un peggioramento delle sue condizioni, potrebbe incorrere nel reato di maltrattamento animale ex art. 544 ter c.p.

Pertanto, se il veterinario ritiene che ci siano gli estremi effettivi per un’eutanasia, provvederà a parlarne col proprietario (ovvero colui a cui il microchip dell’animale è intestato) e gli farà firmare il consenso informato.

E’, infatti, importante tenere conto che l’uccisione ingiustificata di animali è un reato che trova disciplina all’art. 544-bis del Codice Penale il quale punisce qualsiasi uccisione di un animale provocata per crudeltà o senza necessità.

Pertanto, il veterinario può procedere alla soppressione solo se inevitabile e nell’interesse dell’animale.

Inoltre, ai sensi dell’art. 2 della Legge n. 281/91, in materia di “Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo”, non è consentita la soppressione degli animali randagi. Di conseguenza, i cani e i gatti presenti in canili/gattili e rifugi possono essere soppressi solo ed esclusivamente se gravemente malati, incurabili o di comprovata pericolosità.

Infine, il veterinario non può sopprimere un animale su richiesta del proprietario perché, ad esempio, l’animale è anziano o non vuole più badare ad esso. In tali casi infatti  rischierebbe di concorrere con quest’ultimo nel reato di cui sopra.

In merito al profilo civilistico della fattispecie, invece, si deve considerare preliminarmente che la responsabilità civile del veterinario è analoga a quella dei professionisti intellettuali e, quindi, si configura quando egli non esegua con diligenza e serietà il proprio lavoro, prescindendo dal risultato concreto.

L’obbligazione che sorge in capo ad un professionista non è quella di raggiungere il risultato che il cliente vuole ma fare di tutto perché questo obiettivo si possa raggiungere: per tale ragione si parla di responsabilità di mezzi e non di risultato, così rientrando nella disciplina di cui all’art. 2229 e seguenti c.c.

In particolare, l’art. 2263 c.c. prevede una discriminante a favore del medico veterinario qualora si trovi ad affrontare problematiche di speciale difficoltà, come nel caso in cui il veterinario si trovi ad effettuare un intervento d’urgenza oppure, più genericamente, a prestare il suo servizio in un caso di particolare complessità. In dette ipotesi egli risponderà solamente per dolo o colpa grave.

In concreto, se l’intervento è stato eseguito correttamente rispettando il “protocollo” scientifico in uso, e non vi sono stati errori, né leggerezze, né negligenze nella fase della preparazione (es. omissione di esami rilevanti, lettura errata dei risultati, eccessivo dosaggio dell’anestesia) né nel decorso post-operatorio (es. abbandono per la notte, monitoraggio incompleto, assenza di medicazioni, ma anche indicazioni sbagliate al proprietario prima delle dimissioni) il veterinario non potrà essere ritenuto responsabile della morte o dei danni arrecati all’animale.

Normalmente, il tipo di responsabilità di cui risponde il veterinario è di natura contrattuale e quindi il professionista sarà tenuto al risarcimento del danno ex art. 1217 c.c., qualora non esegua correttamente la prestazione dovuta, attuando una o più delle condotte sopra esemplificate.

Nelle obbligazioni imputabili a carico del veterinario rientrano senz’altro quelle derivanti dal Codice Deontologico, quale il già menzionato obbligo di rispettare i requisiti legali previsti per giustificare l’eutanasia dell’animale (art. 34) e, ancora, l’obbligo di fornire informazioni precise sulle condizioni di salute dell’animale, sui trattamenti necessari, precisando i rischi, i costi e i benefici dei possibili percorsi diagnostici e terapeutici adottabili (art. 32). Inoltre, i veterinari devono acquisire il consenso informato prima di intraprendere qualsiasi attività sul paziente (art. 33).

La circostanza che la natura della responsabilità sia, nella maggior parte dei casi, contrattuale, facilita processualmente l’onere gravante sul paziente/cliente che si assuma danneggiato, posto che, per provare giudizialmente i fatti che costituiscono il fondamento del suo diritto, dovrà soltanto dimostrare l’esistenza del rapporto giuridico preesistente, mentre spetterà invece al professionista fornire la prova che l’inadempimento dell’obbligazione non sia a lui imputabile, dando dimostrazione della propria diligenza.

In secondo luogo, i danni che il proprietario dell’animale può chiedere, sia di natura patrimoniale (valore dell’animale, cure pagate, ecc.) sia di natura extrapatrimoniale (danno morale, esistenziale subito dal proprietario medesimo a causa per esempio della morte del proprio animale), sono quelli prevedibili al tempo in cui è sorta l’obbligazione (art. 1225 c.c.) e il termine per agire giudizialmente per il risarcimento è di 10 anni dal verificarsi del danno.

Va infine precisato che, per la legge, il danneggiato non è l’animale ma l’umano (proprietario o detentore) che ha richiesto l’intervento, dal momento che, purtroppo, in Italia, gli animali sono ancora considerati alla stregua degli oggetti nonostante il Trattato di Lisbona, al suo art. 13, li abbia riconosciuti quali “esseri senzienti”.

 

Manuela Giacomini e Carlotta Pasanisi

 

 

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