Categorie: Diritto Unione Europea e Antitrust

Fiscalità per le Autority Portuali (Aiuti di Stato) e concessioni di spiagge ( Direttiva Bolkestein): confrontarsi con l’Europa.
Data: 09 Dic 2020
Autore: Giuseppe Giacomini

Sono due problemi vecchi che arrivano “al pettine”

Cominciamo dal primo.

La querelle relativa al regime fiscale delle Autority Portuali, come ormai sanno anche i non addetti ai lavori, è strettamente legata al sensibilissimo tema europeo della concorrenza e degli aiuti di Stato la cui base giuridica,come si usa dire, è costituita dagli art. 107 e segg. del Trattato sul Funzionamento della UE (TFUE).

In parole semplici, gli Stati membri, in via generale, non possono elargire aiuti diretti né indiretti (anche attraverso agevolazioni fiscali) alle imprese nazionali, favorendone talune e falsando o minacciando di falsare la concorrenza sul mercato interno dell’UE.

La prima domanda da porsi è dunque se le Autority Portuali siano imprese secondo il diritto europeo o se vi siano regole speciali a loro destinate, essendo chiaro che ogni agevolazione fiscale, di per sé, può costituire un aiuto ed essendo anche chiaro che il mercato dei porti è un mercato di rilevanza europea, così come affermò per il porto di Genova la storica sentenza resa dalla Corte Ue il 10 dicembre 1991nella causa Siderurgica Gabrielli-Merci Convenzionali sul monopolio del lavoro, allora riservato alle Compagnie portuali (trattata dal nostro Studio).

Senza andare troppo indietro nel tempo, è bene ricordare la Comunicazione della Commissione del 19 luglio 2016 in materia di aiuti di Stato (2016/C 262/01) ed il suo punto 215, ove la Commissione testualmente affermò che anche il finanziamento delle infrastrutture portuali è idoneo ad incidere sulla concorrenza intraUE ma che tali investimenti rientrano nei “compiti svolti dallo Stato nell’esercizio dei suoi pubblici poteri” e che quindi tali investimenti “non sono soggetti al controllo in materia di aiuti di Stato” così come tutte le funzioni che non abbiano un “carattere economico”.

Nel tempo questa linea non si è modificata, anzi. Le misure approvate dalla Commissione nel maggio 2017 a favore dei porti, ne sono ulteriore conferma.

Anche la Corte di Giustizia UE si è mossa su questa linea.

A titolo di esempio richiamo la sentenza del 10 settembre 2014 nella causa Haralambidis, relativa al ruolo dei Presidenti della Autority portuali (trattata dal nostro Studio), ove la Corte ha affermato che almeno una parte delle attività delle Autority è caratterizzata dall’esercizio di pubblici poteri e non ha natura economica.

A questo punto, sinteticissimo, del ragionamento, occorre porsi la domanda centrale. La questione che ci contrappone al punto di vista della DG competition è se gli oneri concessori che vengono pagati quale corrispettivo della occupazione di aree del demanio marittimo/portuale, oneri che vengono riscossi dalle Autority, costituiscano o meno il compenso di una attività di impresa.

Francamente la cosa mi pare molto dubbia, considerato che le Autority sono certamente espressione formale e sostanziale dello Stato e che, in tale veste, sono deputate al rilascio di dette concessioni secondo rigorosi criteri pubblicistici e sono quindi delegate a garantire il pagamento dei canoni dovuti  e il corretto uso imprenditoriale delle aree da parte delle imprese concessionarie ( che legittimamente le occupano ed utilizzano) senza che l’Autority renda alcun servizio commerciale accessorio né ai concessionari, né ai terzi.

Come la Commissione sostiene, certamente le Autorities sono tassabili se e quando agiscano “in a private capacity” (p. 17 della lettera della Commissione al’Italia del 3/4/18) ma non è altrettanto scontato che lo siano quando, invece, adempiono alla  missione pubblicistica (anche penalmente protetta) di affidare le concessioni e vigilare su di esse, riscuotendo i canoni che garantiscono il rispetto del loro corretto uso da parte dell’impresa concessionaria cui, pena la revoca, è imposto il perseguimento (anche) di un interesse generale dell’economia portuale.

Credo proprio ci sia ancora spazio per una ragionevole mediazione.

Quanto al secondo.

La Bolkestein è una Direttiva UE del 2006 che l’Italia ha costantemente eluso generando forte irritazione nelle Istituzioni europee.

La Corte di Giustizia, con sentenza del 14/7/16 ( C-458/14 e C-67/15) si è pronunciata sul tema censurando la legislazione nazionale che prorogava indebitamente la durata delle concessioni sottraendole alla messa in gara.

Come ho già ricordato su questo stesso giornale, la sentenza della Corte lascia tuttavia molti spiragli utili soprattutto ove fa chiaramente intendere che l’applicazione della Direttiva è assolutamente cogente solo per il caso in cui esista “un interesse transfrontaliero certo” delle concessioni in esame e nel caso in cui le risorse naturali siano scarse.

Proclamarsi avversari della Bolkestein,peraltro oggi criticata dal suo stesso autore, serve a poco. Anche in questo caso occorre muoversi come da due anni suggerisco.

Pensare che ogni tipologia di concessione possa essere prorogata senza limiti è, alla fine, stupido ed illusorio. La stessa Autority italiana (AGCM) ha richiamato il Governo ancora il 1° luglio di questo orribile anno.

Molto meglio attivarsi per tornare alla Corte di Giustizia con un nuovo caso pregiudiziale meglio documentato e “mirato” che potrebbe condurre ad una sentenza che escluda le piccole concessioni (la maggioranza delle spiagge italiane) dalla tagliola della Direttiva, magari in attesa che venga riformata.

Sarebbe certo molto utile per l’Italia imparare come si sta in Europa e come si esercita a Bruxelles la sovranità nazionale in seno a quella europea.

(L’articolo è stato pubblicato sul Secolo XIX – edizione del 8/12/2020)

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