Categorie: Diritto Penale

Il diritto penale al tempo del “corona virus”.
Data: 19 Mar 2020
Autore: Giuseppe Giacomini

Premessa.

La storia del diritto del penale e quella dei fenomeni epidemici si sono incrociate molte volte e continuano, purtroppo, ad incrociarsi anche oggi. Si pensi a quanto è avvenuto a Milano nel 1630, quando la peste imperversava nella città lombarda e già le autorità cittadine istruivano un processo penale (ovviamente, inquisitorio) per scoprire, far confessare i presunti colpevoli del contagio ed, infine, eseguire la loro condanna a morte (v. la “Storia della colonna infame” di Alessandro Manzoni, ma anche “La fabbrica della peste” di Franco Cordero). Dopo 390 anni, la ricerca del cosiddetto “paziente zero” di Codogno sembra un po’ riecheggiare quelle lontane vicende processuali.
1.1Strumenti ordinari del nostro codice penale in materia di fenomeni epidemici.

Il Codice Rocco, fin dalla sua entrata in vigore nel 1930 (quindi, esattamente tre secoli dopo i fatti di Milano sopra ricordati), prevede due fattispecie di reato in materia di contagio epidemico, una dolosa e l’altra colposa.
L’art. 438, comma 1 c.p., punisce chiunque cagioni un’epidemia,mediante la diffusione di germi patogeni, con la pena dell’ergastolo. Trattasi di reato di pericolo a dolo generico che non richiede la specifica volontà di arrecare danno ma solo la consapevolezza che tale danno può realizzarsi.

Giova soffermarsi sulla condotta, per segnalare che il contagio deve avvenire mediante “diffusione di germi patogeni”, ossia mediante una qualsiasi condotta volta a diffondere in maniera efficiente i germi patogeni in un luogo pubblico od aperto al pubblico in cui sia possibile infettare qualcuno. Si pensi al terrorista che libera una sostanza satura di germi patogeni nel tunnel di una stazione della metropolitana. Peraltro, anche il corpo stesso dell’attentatore (suicida) può essere un veicolo, a seguito di “auto-inoculazione” dei germi patogeni, per infettare gli altri.

L’art. 438, comma 2 c.p., puniva con la pena di morte il procurato contagio se dallo stesso era derivata la morte di più persone (ma, com’è noto, la pena di morte è stata abolita nel 1944).

Quanto all’art. 452 c.p., lo stesso è, come detto, il “pendant” colposo del reato di epidemia di cui all’art. 438 c.p., quindi, è punito molto meno severamente ed è, ovviamente, fondato sui principi generali della colpa di cui all’art. 43 c.p. (ossia, colpa generica consistente in negligenza, imprudenza ed imperizia, ovvero, colpa specifica da inosservanza di regolamenti, ordini, discipline etc.).
Giova qui segnalare che, in determinati casi, in cui la persona

ha certezza fattuale e giuridica di essere infettiva (o di poterlo essere) ed espone gli altri al contagio, determinando la trasmissione dell’epidemia a questi ultimi, potrebbe astrattamente rispondere del reato di cui all’art. 452 c.p., se non addirittura dell’ipotesi dolosa prevista dall’art.438. E questo proprio sulla base della considerazione che il corpo umano può essere un contenitore/vettore di germi patogeni in danno di altri esseri umani.

Strumenti straordinari di tutela della salute pubblica introdotti per frenare la propagazione del “corona virus”.
Come noto, oramai, il Decreto del Presidente del Consiglio del 8/3/2020, ha individuato una cosiddetta “zona rossa”, comprensiva delle aree del Paese più colpite da focolai di corona virus (Lombardia ed alcune province di Piemonte, Veneto, Emilia Romagna e Marche), in cui, al fine di contrastare la diffusione di tale virus, ha previsto l’obbligo, in capo alla popolazione, di restare a casa, salva la sussistenza di comprovati motivi oggettivi.
Con Direttiva, sempre del 8/3/2020, il Ministero dell’Interno ha “ancorato” la sanzione per la violazione di tale obbligo alla vigenza dell’art. 650 c.p. che, come noto, prevede la contravvenzione di “Inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità” e prevede che chiunque non osservi un provvedimento legalmente dato dall’Autorità, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica o d’ordine pubblico o d’igiene, venga punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a 206 Euro. Ovviamente, si tratta di reato oblazionabile (ossia, che può essere ridotto ad illecito amministrativo, se si paga la metà dell’ammenda prevista, ai sensi dell’art. 162 “bis” c.p.).
La clausola di esclusione, ossia il meccanismo in base al quale non si applica il reato di cui all’art. 650 c.p. se il fatto costituisce più grave reato, consente, nel caso in questione (ossia, nel caso della circolazione creando il rischio di infettare qualcuno con il “corona virus”), di lasciare spazio applicativo proprio al reato di epidemia colposa di cui all’art. 452 c.p. (o anche nella forma dolosa come descritta sopra) qualora il contagio si inneschi realmente. Successivamente, in data 9/3/2020, con un nuovo Decreto del Presidente del Consiglio, il divieto di uscire di casa, se non per comprovate esigenze, è stato esteso a tutto il territorio nazionale.

Le linee guida della Procura di Genova.
In data 16/3/2020, la Procura di Genova, nelle persone del Procuratore Capo Dott. Francesco Cozzi e del Procuratore Aggiunto Dott. Paolo D’Ovidio, ha redatto una sintetica circolare interpretativa dei Decreti emanati nell’ultimo mese (23/2/2020, 8/3/2020, 9/3/2020 ed 11/3/2020).
Ciò, scrivono i Pubblici Ministeri, è stato reso necessario dalle numerose denunce pervenute alla predetta Procura, in relazione alle ipotesi di reato di Inosservanza dei Provvedimenti dell’Autorità ex art. 650 c.p., Falsità ideologica del Privato ex art. 483 c.p. e Falsa Attestazione del Privato ex art. 495 c.p.
Nel predetto documento, è stato anzitutto chiarito che sia consentito uscire:

  1. dalla propria abitazione ma all’interno della propria zona di residenza (quartiere/circoscrizione), per soddisfare esigenze legate all’attività motoria ed all’acquisto di beni;
  2. dalla propria abitazione e dalla propria zona di residenza (quartiere/circoscrizione), per comprovate esigenze di lavoro, salute e necessità/assistenza.

Qualora un soggetto che si trova al di fuori della propria abitazione/zona di residenza non sia in grado giustificare la propria presenza in loco per una delle ragioni di cui sopra, egli verrà denunciato per il reato di cui all’art. 650 c.p.
In tema di reati contro la pubblica fede – ferma restando la configurabilità del predetto reato ex art. 650 c.p. – viene precisato che:

  • le false dichiarazioni aventi ad oggetto l’identità, lo stato o altre qualità del soggetto che le rilascia, integrano il reato di Falsa Attestazione del Privato ex art. 495 c.p. Sul punto, segnaliamo che la giurisprudenza genovese qualifica pacificamente residenza e domicilio come “qualità” della persona (Cfr. Tribunale di Genova, sentenze dei giorni 9/11/2017 e 30/10/207): ne consegue che eventuali falsità sul punto, potranno essere perseguite ai sensi dell’art. 495 c.p.;
  • le giustificazioni fornite dal soggetto in relazione alla propria presenza al di fuori dell’abitazione/zona di residenza e rivelatesi poi false, non possono integrare il reato di Falsità ideologica del Privato ex art. 483 c.p. per mancanza di uno degli elementi costitutivi richiesti dalla norma. In particolare, la giustificazione/dichiarazione resa dal medesimo soggetto “controllato” non può essere considerata un atto finalizzato a “provare la verità dei fatti esposti”.

Conclusioni.
La vicenda è ancora in piena evoluzione e, adesso, l’attenzione è tutta focalizzata sul contenimento del contagio e sulle conseguenti strategie adottate dalle Autorità sanitarie. Resta il fatto che, a 390 anni dalla peste di Milano, gli atteggiamenti umani in materia di contagio epidemico appaiono oggi, come allora, caratterizzati da uno specifico interesse (seppur qualitativamente diverso) da parte del diritto penale.

Avv.ti Giuseppe M. Giacomini , Luca Robustelli , Daniele Venturini

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