Categorie: Diritto Civile ed Internazionale

Il nuovo regime delle impugnazioni: verso l’immutabilità delle pronunce di primo grado
Data: 20 Set 2013
Autore: Serena Pagliosa

Since the introduction of law 134/2012, the Court of Appeal may, from the first audition, declare an appeal inadmissible if the probability of success of said appeal is low.
In practical terms, after a first and superficial review, the judge may decide that the appeal does not require further investigation.
Understandably, the law in question has been widely criticized by the Authors and the Associations of Attorneys in as much as it effectively limits a defendant’s constitutional right to a secondary level of justice.
New laws have also been introduced into the “Cassazione” Court with the intention of reducing the number of cases pending in front of the “Cassazione”. Also in this case the regulations are cause for concern and may excessively limit a defendant’s right to justice.
We will see over the next months how the judges react to these increased powers.

Nell’ottica, ormai sempre più stringente, di ridurre il numero dei procedimenti giudiziari pendenti e tentare, così, di alleggerire il carico dei Magistrati, l’ordinamento italiano ha introdotto negli ultimi anni alcune novità che non hanno mancato di sollevare polemiche, se non addirittura dubbi di legittimità costituzionale.
Si pensi, per esempio, all’introduzione dell’istituto della mediazione obbligatoria in alcune materie, al costante e progressivo aumento dell’ammontare del contributo unificato, al contributo unificato ”sanzionatorio” in sede di gravame e così via.
Tra le novità che hanno suscitato maggiori perplessità, merita particolare attenzione il nuovo regime delle impugnazioni, profondamente riformato nell’anno 2012, sulla scorta dell’introduzione, sia per il giudizio di appello che per quello di cassazione, oltre che di nuove disposizioni in merito alla modalità di “confezionamento” dell’atto di introduzione del giudizio, del “nuovo” concetto di “probabilità di accoglimento” del gravame dedotto.
In particolare, la legge 134/2012 (il noto Decreto Sviluppo 2012) ha introdotto l’ art. 348 bis cod. proc. civ., a tenore del quale “[…omissis…] l’impugnazione è dichiarata inammissibile dal giudice competente quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolta”.
Più nel dettaglio, in forza del successivo art. 348 ter cod. proc. civ., il Giudice, alla prima udienza di trattazione della causa e prima ancora di procedere al merito della stessa, qualora ritenesse che l’appello proposto non avrebbe – all’esito del giudizio (quindi a seguito di tutta l’attività difensiva prevista dal codice e, pertanto, generalmente, la discussione orale della causa, l’eventuale attività istruttoria ed il deposito delle memorie conclusionali e relative repliche) – una “ragionevole probabilità” di successo, potrebbe dichiararne l’immediata inammissibilità, privando così l’appellante della possibilità di trattare il merito stesso della vertenza. La valutazione rimessa al Giudice dell’appello consiste nel “riferimento a precedenti conformi”, così “ufficializzando” un sistema, di fatto, in voga già da tempo, in cui i principi di civil law che da sempre caratterizzano l’ordinamento italiano vengono affiancati dai principi di common law, vigenti, per esempio, nei paesi anglosassoni.
Come si può agevolmente comprendere fin dalla prima lettura della norma, ciò che maggiormente preoccupa la dottrina e gli operatori del diritto (gli Avvocati, in primis) consiste nell’estrema genericità del concetto di “ragionevole probabilità” di accoglimento dell’impugnazione e nell’eccessivo margine di apprezzamento attribuito al Giudice.
In pratica, ci si chiede, in base a quale parametro un appello potrà essere ritenuto “probabilmente accoglibile” o meno? Chi garantisce che la valutazione ad opera del Giudice d’appello sia equa e obiettiva? Chi garantisce che le varie Corti italiani adottino i medesimi criteri di valutazione? Ed ancora, più nel concreto, come può un Giudice valutare la questione prima ancora che le parti del giudizio abbiamo concluso le proprie difese, così come previste dal codice? Il tutto, senza considerare che, nella pratica, appare davvero poco realistico ipotizzare che, con il carico di lavoro cui sono sottoposti e, sostanzialmente, a “colpo d’occhio”, la Corte possa comprendere quali appelli siano “probabilmente” vittoriosi e quali no.
Le prime e, per adesso, sporadiche sentenze pronunciate in materia si sono poste su binari completamente contrapposti e, per tale ragione, non possono fornire un quadro sufficientemente chiaro della questione
In particolare, la Corte di Appello di Roma ha precisato che “l’appello non ha ragionevoli probabilità di accoglimento quando è prima facie infondato, così palesemente infondato da non meritare che siano destinate ad esso le energie del servizio giustizia, che non sono illimitate” – Corte di Appello di Roma, ordinanza del 25.1.2013, in La Nuova Procedura Civile, 2, 2013.Tale opinione è stata criticata in quanto, in primis, il concetto di “manifesta infondatezza” è più stringente di quello, qui analizzato, di “ragionevole probabilità di accoglimento”; in secundis, perché, quando il Legislatore ha voluto utilizzare il concetto di “manifesta infondatezza” (come per il giudizio di Cassazione, su cui torneremo nel prosieguo), l’ha fatto testualmente e la diversa dizione utilizzata nella stesura dell’art. 234 bis c.p.c. è indice del fatto che, al Giudice, è qui richiesto un esame di altro genere.
La Corte di Appello di Milano ha invece assimilato il concetto di “ragionevole probabilità” con quello di fumus boni iuris, ossia di “ragionevolezza del diritto”, comunemente utilizzato nei procedimenti cautelari. Gli Autori che hanno criticato tale pronuncia, hanno basato la propria opinione sull’argomento secondo cui la “probabilità dell’accoglimento” dell’appello, statuito dall’art. 348 bis c.p.c., è un quid pluris rispetto alla l’apparente verosimiglianza (ragionevolezza) del diritto vantato.
In una recente pronuncia (1041/2013), il Tribunale di Vasto ha affermato il concetto di “probabilità giurisprudenziale”, secondo cui l’inciso “ragionevole probabilità di accoglimento” andrebbe letto quale una in una sorta di probabilità ancorata ai precedenti giurisprudenziali formatisi in materia.
Anche in questo caso, la pronuncia non è stata esente da critiche, le più fondate delle quali fanno leva sul fatto che gli orientamenti giurisprudenziali non possono essere ritenuti statici ma, anzi, sono in continua evoluzione e l’introduzione del “precedente vincolante” nel sistema italiano, in assenza di strumenti idonei a contenerne la portata, potrebbe portare più dubbi che meriti.
Ciò che, invece, è fuor di dubbio è l’intento evidentemente deflattivo della norma, votata soprattutto a indurre le parti a rinunciare all’impugnazione, così vanificando, nella sostanza, il diritto al doppio grado di giudizio garantito dalla Costituzione.
Del resto, a conferma di quanto sopra, la parte che abbia proposto un appello ritenuto inammissibile potrà essere condannata al pagamento di un ulteriore contributo unificato (oltre a quello già versato per l’iscrizione della causa al ruolo), di medesimo importo, il quale, nella sostanza, costituisce una sorta di “sanzione”, introdotta nel tentativo di ridurre l’abuso allo strumento dell’appello.
Ad oggi e fintanto che non si sarà formato un solito e consolidato orientamento giurisprudenziale, il professionista incaricato di redigere l’atto di impugnazione non potrà che tentare di indicare nella memoria tutti gli elementi idonei, ivi compresi i precedenti conformi, a supportare il convincimento del Giudice che il gravame appaia, fin dalla prima lettura, “probabilmente accoglibile”.
In ogni caso, per quanto il lavoro di confezionamento dell’atto sia attento e scrupoloso, l’introduzione del filtro in appello, così rimesso alla valutazione discrezionale del Giudice (il quale potrebbe denegatamente anche utilizzare tale strumento per alleggerire il proprio carico di lavoro), rischia di vanificare ogni possibilità del cittadino di sottoporre al vaglio di un nuovo giudicante la pronuncia di primo grado.
Per quanto riguarda il giudizio di Cassazione, si segnala che, fin dal 2009, è stata prevista la inammissibilità del ricorso introduttivo ogni qualvolta il provvedimento impugnato (ad esempio, la sentenza della Corte di Appello) si è adeguato alla giurisprudenza della Corte ed il ricorso non alleghi motivi tali da suggerire un cambiamento di opinione ad opera della Cassazione.
Anche in questo caso, la riforma è stata oggetto di aspre critiche, soprattutto considerato che la norma trasforma un vizio di fondatezza (il ricorso che proponga soluzioni di diritto diverse da quelle della consolidata opinione giurisprudenziale sarebbe risultato infondato nel merito anche prima dell’introduzione della norma in esame) in vizio di ammissibilità e, quindi, in un vizio di rito, con tutto ciò che ne potrà conseguire, per esempio in punto di assoluta insanabilità dello stesso.
Nella pratica, successivamente al deposito del ricorso per Cassazione, la vertenza viene sottoposta al vaglio (c.d. “filtro”) di una apposita sezione, composta dallo stesso numero di membri delle sezioni ordinarie, la quale, riunita in camera di consiglio, prima ancora di analizzare la fondatezza del ricorso, dovrà valutare se, con la pronuncia impugnata, il giudice di merito abbia o meno deciso le questioni di diritto sottese alla vicenda in modo conforme ai precedenti giurisprudenziali della Cassazione e, in caso affermativo, dovrà dichiarare l’impugnazione inammissibile tout court.
Anche in questo caso, quindi, il lavoro di confezionamento del ricorso per cassazione dovrà essere oltremodo scrupoloso (anche alla luce delle novità introdotte dalla L. 134/2012, tuttavia non oggetto della presente trattazione), tentando di indicare, per ciascuno dei motivi dedotti, non solo le ragioni in forza delle quali il gravame risulti fondato ma, anche, che la propria tesi sia in linea con l’opinione precedentemente affermata dalla Corte.
Nuovamente, al pari di quanto evidenziato in relazione all’atto di appello, la possibilità di superare tale vaglio ed ottenere dalla Corte l’esame della fondatezza del ricorso (e quindi, delle proprie ragioni sostanziali) appare notevolmente ridimensionata, con ogni evidente nocumento a carico del cittadino.

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