Judgment of the Italian Supreme Court of January 20th 2017 has amended the precedent case law with regard to the relation between the company and his manager. Classifying such relation as a corporate relation, managers shall not be subject to employees’ protection in case of foreclosure, seizure or execution procedure.
Il 20 gennaio 2017, con sentenza n. 1545/2017, la Suprema Corte di Cassazione ha introdotto una nuova interpretazione, diametralmente opposta a quella precedente, ad un quesito a lungo dibattuto in giurisprudenza. Il quesito in oggetto su cui è stata chiamata ad esprimersi la Corte, risolvendo una questione di estrema rilevanza è il seguente: in caso di esecuzione forzata, il creditore pignorante può soddisfarsi interamente sugli emolumenti dell’amministratore di una società di capitali e non nella misura di 1/5 così come previsto per i lavoratori subordinati o parasubordinati?
Fin dagli anni ’80 la giurisprudenza si è dibattuta sulla questione, anche alla luce di una dottrina decisamente poco omogenea in materia.
Un tentativo di dare una soluzione al contrasto è stato compiuto dalla Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 10680/1994, la quale, qualificando il rapporto tra amministratore e società come rapporto di lavoro parasubordinato, applicava all’amministratore il limite di pignorabilità di un quinto dell’ammontare del compenso.
La recente interpretazione effettuata dai Giudici della Corte di Cassazione, tuttavia, ribalta completamente tale orientamento, inquadrando il rapporto tra società ed amministratore come organico alla società, circostanza che ha come diretta conseguenza il diritto del creditore di agire attraverso esecuzione forzata sull’intero emolumento percepito nella qualità di amministratore, senza incontrare alcun limite.
Tale recente orientamento, tuttavia, fa emergere diverse perplessità relativamente alla legittimità costituzionale di tale interpretazione.
In primis, infatti, non risulta condivisibile il presupposto su cui si fonda tale nuovo orientamento della Corte: come traspare a più riprese nel testo della sentenza, infatti, l’amministratore di società di capitali viene inteso come un soggetto che si trova in una situazione economica tale da autorizzare il creditore pignorante a procedere con l’esecuzione dell’intero compenso percepito.
È forse condivisibile quanto ritenuto dalla Corte nell’affermare che l’amministratore non si trovi in una situazione di debolezza contrattuale al pari di un lavoratore dipendente della società, tuttavia, la figura professionale dell’amministratore non può essere spogliata di ogni tutela in materia di pignoramento dei propri emolumenti che, in concreto, ben potrebbero costituire nell’unica forma di sostentamento dell’amministratore stesso. Si pensi al caso dell’amministratore di società di capitali il quale ricava tutto il proprio reddito da tale unica attività; e ciò, a maggior ragione, se si considera che nel panorama imprenditoriale italiano la piccola/media impresa rappresenta la più alta percentuale dell’attività produttiva. L’amministratore di società di capitali operante in tali realtà, non solo non sarebbe tutelato dai limiti previsti per i lavoratori subordinati e parasubordinati, ma rischierebbe di subire ingiustificati gravi pregiudizi alla sua stessa sopravvivenza.
L’interpretazione della questione data dalla Corte nella propria pronuncia, crea dunque un’evidente e ingiustificata disparità di trattamento tra chi, rivestendo una ruolo apicale all’interno di una società di capitali ma essendone dipendente (ad esempio il direttore generale), è tutelato dal limite di pignorabilità previsto dall’art 545 c.p.c., e chi, invece, riveste il ruolo esclusivo di amministratore della società medesima.
È quanto mai auspicabile che la Corte, in un futuro prossimo, riesamini la questione, al fine di evitare possibili contrasti con i principi della nostra Carta Costituzionale.