The indication of a lower labor cost than that established by the tender regulations as not to be lowered does not in itself lead to the anomaly of the offer, this profile has to be necessarily assessed in the context of a specific adequacy check.
Nor can the binding nature of the labor cost derive from the clause of the call for tenders which provides the application of the sector contract, as there is no obligation for the tender participant (and future contractor) to absorb all outgoing personnel, or to respect specifics conditions in the event of absorption, except for the mandatory minimum wages.
Interessante pronuncia del TAR Valle d’Aosta sulla portata del divieto di ribasso del costo del lavoro contenuto nella disciplina di gara per l’appalto del servizio di pulizia.
Come noto, il vigente Codice degli appalti (D.Lgs. n. 50/2016) stabilisce all’art. 23, comma 16, che “Per i contratti relativi a lavori, servizi e forniture, il costo del lavoro è determinato annualmente, in apposite tabelle, dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali sulla base dei valori economici definiti dalla contrattazione collettiva nazionale tra le organizzazioni sindacali e le organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentativi, delle norme in materia previdenziale ed assistenziale, dei diversi settori merceologici e delle differenti aree territoriali” e che “nei contratti di lavori e servizi la stazione appaltante, al fine di determinare l’importo posto a base di gara, individua nei documenti posti a base di gara i costi della manodopera sulla base di quanto previsto nel presente comma”.
Nella fattispecie sottoposta all’attenzione del Tribunale Amministrativo della Valle d’Aosta il disciplinare di gara aveva disposto che il costo del lavoro non fosse soggetto a ribasso e la Società ricorrente lo aveva invece ribassato in sede di offerta con conseguente esclusione dalla gara.
Nell’accogliere il ricorso contro la suddetta esclusione, il TAR ha dichiarato l’impossibilità di ritenere ex se anomala un’offerta che indichi un costo della manodopera inferiore a quello indicato dalla Stazione appaltante, poiché tale ribasso deve necessariamente essere valutato nell’ambito di un’apposita procedura di verifica di congruità.
In adesione all’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, l’adito Giudice ha statuito che le Tabelle Ministeriali dalle quali il dato del costo della manodopera era stato ricavato “esprimono un costo del lavoro medio, ricostruito su basi statistiche, per cui esse non rappresentano un limite inderogabile per gli operatori economici partecipanti a procedure di affidamento di contratti pubblici, ma solo un parametro di valutazione della congruità dell’offerta, con la conseguenza che lo scostamento da esse, specie se di lieve entità, non legittima di per sé un giudizio di anomalia”.
Dunque i costi medi della manodopera riportati nelle tabelle ministeriali svolgono pura funzione indicativa e ben possono essere abbattuti in sede di offerta purché si riesca a giustificarne la sostenibilità in sede di verifica dell’anomalia. Tutte le variabili endogene possono invece subire scostamenti sulla base dei parametri concreti e attuali che riflettono la specificità della situazione aziendale: non così, invece, per i minimi salariali della contrattazione collettiva nazionale – ossia la paga base tabellare, corrispondente agli elementi retributivi annui, ovvero i minimi conglobati, che corrispondono a variabili esogene alla strutturazione aziendale della singola impresa – che non ammettono giustificativi in deroga.
Tale regola non subisce eccezioni neppure in caso di riassorbimento del personale uscente da parte del nuovo aggiudicatario e conseguente applicazione del CCNL di settore ai sensi dell’art. 50 del Codice dei contratti pubblici.
Le clausole sociali in questione non possono infatti far insorgere in capo all’affidatario del servizio l’obbligo di assorbire necessariamente il personale uscente impiegato nella precedente gestione, ma neppure di applicare al personale eventualmente riassorbito uno specifico trattamento, fatto salvo il rispetto di quanto previsto dai CCNL di settore.
Anche in questo caso confermando un orientamento consolidato, il TAR Valle d’Aosta ribadisce che le clausole sociali vanno interpretate “conformemente ai principi nazionali e dell’Unione europea in materia di libertà di iniziativa imprenditoriale e di concorrenza, risultando altrimenti lesiva dei richiamati principi nel senso di scoraggiare la partecipazione alla gara e di limitare eccessivamente la platea dei partecipanti”.
Ne segue che l’obbligo di riassorbimento dei lavoratori previsto dalla legge di gara deve essere armonizzato e reso compatibile con l’organizzazione d’impresa prescelta dall’imprenditore subentrante.
In proposito non può che farsi rinvio alle Linee guida ANAC n. 13 del 12 febbraio 2019 ove si è chiarito che l’applicazione della clausola sociale “non comporta un indiscriminato e generalizzato dovere di assorbimento del personale utilizzato dall’impresa uscente, dovendo tale obbligo essere armonizzato con l’organizzazione aziendale prescelta dal nuovo affidatario. Il riassorbimento del personale è imponibile nella misura e nei limiti in cui sia compatibile con il fabbisogno richiesto dall’esecuzione del nuovo contratto e con la pianificazione e l’organizzazione definita dal nuovo assuntore. Tale principio è applicabile a prescindere dalla fonte che regola l’obbligo di inserimento della clausola sociale (contratto collettivo, Codice dei contratti pubblici)”.
Al riguardo un richiamo merita altresì il parere del Consiglio di Stato, Commissione speciale, n. 2703/2018 del 21 novembre 2018, reso sulle Linee guida citate, che ha precisato che la prescrizione delle clausole sociali non può che avvenire nei rispetto dei principi di “libertà di iniziativa economica privata” di cui all’art. 41 Cost e di “libertà di impresa”, di cui all’art. 16 della Carta di Nizza.
Roberto Damonte ed Elisa Moro – Studio Damonte