Categorie: Diritto Civile ed Internazionale

Indicazione geografica protetta: un importante risultato dello Studio Conte&Giacomini nel settore del Diritto Agroalimentare
Data: 18 Dic 2017
Autore: Serena Pagliosa

Recentely our law firm has achieved an important ruling from the national Judge on behalf a quality certification company for the agricultural-food sector, related the violation from a company of the production specification of a PGI (Protected Geographical Indication) certification.

Recentemente il nostro Studio ha ottenuto un’importante sentenza in un procedimento per conto di una società per la certificazione della qualità nell’agroalimentare, relativamente alla violazione, da parte di una azienda, dei requisiti di produzione della certificazione I.G.P. (Indicazione Geografica Protetta).

La vicenda trae origine da una problematica di natura agroalimentare sempre più avvertita a livello europeo, consistente nella necessità di avviare una politica comunitaria a tutela dei prodotti tipici dei Paesi membri dell’Unione. Tale tutela si sostanzia, principalmente, nel rispetto di determinati requisiti di produzione stabiliti dal Regolamento UE 1151/2012 sui “regimi di qualità dei prodotti agricoli” e dai disciplinari di produzione predisposti dai consorzi che hanno presentato domanda di registrazione del prodotto. In particolare, ogni disciplinare di produzione deve contenere, ai sensi dell’art. 7 del sopra citato Regolamento UE, tra le altre cose “la descrizione del metodo di ottenimento del prodotto e, se del caso, dei metodi locali, leali e costanti nonché informazioni relative al confezionamento”.

Nel caso di specie il nostro Studio, incaricato dalla difesa della società di certificazione, si occupava di elaborare una difesa tesa a dimostrare la legittimità dell’operato della propria assistita la quale, a seguito di un’ispezione presso un’azienda agricola impegnata nella produzione di limoni, rilevava una violazione del Disciplinare di Produzione consistente nell’utilizzo di pali in zinco quando, invece, il disciplinare di produzione vigente prevedeva l’utilizzo esclusivo di “impalcature in legno, preferibilmente di castagno…”, indispensabile requisito ai fini dell’utilizzo della denominazione I.G.P.

Si instaurava, pertanto, un contenzioso ove la predetta azienda tendeva a dimostrare la legittimità delle condotte poste in essere; tali argomentazioni traevano origine da una perizia di parte depositata dalla stessa Azienda Agricola nella quale si sosteneva che l’utilizzo di pali in zinco non interferirebbe con il ciclo biologico della pianta di limone e dal fatto che il recente regolamento UE 1523/2017 avrebbe apportato delle modifiche al Disciplinare di Produzione prevedendo la possibilità di utilizzare oltre al legno “altri materiali ecocompatibili con le esigenze di tutela paesaggistica”.

La difesa è stata fin da subito finalizzata, da un punto di vista procedurale, a chiarire la natura della segnalazione effettuata dalla nostra assistita, che si sostanzia in un mero atto privato non idoneo ad incidere direttamente sulla sfera giuridica dei soggetti segnalati; l’unico soggetto, infatti, legittimato ad applicare sanzioni, quali la sospensione dell’utilizzo della denominazione I.G.P., è infatti il MIPAAF (Ministero delle politiche agricole, ambientali e forestali) il quale, come abbiamo avuto modo di dimostrare, perviene alle proprie conclusioni in esito ad una autonoma istruttoria.

Da un punto di vista squisitamente di merito venivano sviluppati diversi ragionamenti tesi ad evidenziare come la condotta dell’azienda agricola creasse una evidente distorsione della concorrenza in quanto, avendo una notevole riduzione dei costi dovuta all’utilizzo di pali di zinco anziché di legno, la medesima acquisiva un vantaggio competitivo a danno delle altre aziende concorrenti che utilizzano la denominazione IGP “Limoni Costa d’Amalfi”.

In esito al procedimento, accogliendo le argomentazioni sollevate dalla nostra difesa, il Tribunale giudicante dichiarava l’inammissibilità dell’azione ex adverso proposta, rilevando la carenza di legittimazione passiva della nostra assistita nell’instaurato procedimento.

La questione affrontata, seppur con taluni aspetti pratici riferibili solamente al caso concreto, lascia intendere come la problematica delle certificazioni sulla qualità dei prodotti e servizi sia più che mai attuale; infatti negli ultimi anni si è assistito con sempre maggiore frequenza al “boom” dei prodotti bio, ecosostenibili e “a chilometro zero” con la progressiva tendenza degli operatori del settore enogastronomico ad ottenere certificazioni che contraddistinguano la qualità dei propri prodotti, spesso senza rispettare i requisiti indispensabili per poter vantare di tali denominazioni.

Tale tendenza, da un punto di vista giuridico, porterà ad una sempre maggiore richiesta di consulenza e assistenza legale per quegli operatori che sono costretti a districarsi tra normative e regolamenti in continuo divenire, a livello nazionale ed europeo, al fine di imprimere un quid pluris ai propri prodotti ed a essere competitivi in un mercato sempre più esigente e concorrenziale, ove la provenienza del prodotto da un determinato territorio è diventata ormai sinonimo di qualità.

 

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