Categorie: Diritto degli animali | Diritto Penale

La caccia abusiva può integrare il maltrattamento di animali
Data: 14 Mar 2016
Autore: Manuela Giacomini

Con la sentenza dell’8 aprile 2015 n. 17012, la prima sezione della Corte di Cassazione ha confermato a carico di due cacciatori abusivi il reato di cui all’art. 544 ter c.p. poiché, mediante l’utilizzo di trappole illegali per attività venatorie non autorizzate al fine di cacciare cinghiali, avevano causato il ferimento di un cane da caccia.
Nello specifico, i due cacciatori di frodo avevano costruito un’arma di tipo artigianale (una sorta di tubo-fucile) legata con un filo di ferro a un albero e munita di percussore che veniva azionato da una tagliola che scattava quando un cinghiale o qualsiasi altro animale urtava un filo di nylon teso a pochi centimetri da terra. Tale arma aveva però ferito un cane da caccia e il proprietario di questo, accortosi del ferimento, aveva così chiamato la Guardia Forestale che, nel corso di un appostamento, aveva fermato uno dei due cacciatori mentre l’altro era riuscito a darsi alla fuga.
Successivamente, veniva svolta una perquisizione domiciliare presso le abitazioni di questi due e gli agenti della Forestale avevano rinvenuto materiali compatibili con il tubo-fucile. Per questo motivo, in primo e in secondo grado gli venivano contestati i seguenti reati: detenzione e porto di un’arma da ritenersi clandestina costituita da un tubo-fucile capace di sparare cartucce con pallettoni calibro 12, fabbricazione di tale arma clandestina, maltrattamento di animali ex art. 544 ter c.p. per aver mediante il suddetto tubo-fucile cagionato lesioni al cane di proprietà del Sig. C.O.
Per tali reati venivano condannati in primo e secondo grado alla pena complessiva di anni 2 di reclusione ed euro 1.800,00 di multa ciascuno.
I due cacciatori di frodo, proponevano quindi ricorso davanti alla Corte di Cassazione contestando tutti e tre i capi di imputazione. Per quanto riguarda i primi due la Cassazione conferma quanto stabilito dalla Corte d’Appello visto che le richieste di entrambi andavano oltre il giudizio di legittimità. Sul terzo capo di imputazione, invece, la Cassazione argomenta ampliamente le motivazioni che giustificano l’applicazione dell’art. 544 ter c.p. al caso di specie. In particolare, la Corte richiama la sentenza n. 44822/2007 secondo la quale: “la fattispecie di maltrattamento di animali configura un reato a dolo specifico nel caso in cui la condotta lesiva dell’integrità e della vita dell’animale è tenuta per crudeltà, mentre configura un reato a dolo generico quando la condotta è tenuta senza necessità”. Ciò detto, per la Corte non è quindi rilevante in fatto che i due cacciatori avessero predisposto la trappola per catturare un cinghiale poiché, per come era stata costruita la trappola, era prevedibile che questa sarebbe potuta scattare anche al passaggio di un altro animale provocandone il ferimento o la morte ed essi ne avevano accettato il rischio.
Inoltre, il ferimento del cane non poteva nemmeno essere inquadrato nel reato ex art. 638 c.p. (“Uccisione o danneggiamento di animali altrui”), come richiesto dagli imputati, per la mancanza nel caso in esame dell’elemento soggettivo, ovvero la consapevolezza dell’altrui proprietà dell’animale.
Alla luce di quanto sopra, per i Giudici di legittimità risulta quindi evidente che procurare una lesione ad un animale, esercitando abusivamente la caccia, integra il reato di cui all’art. 544 ter c.p. “poiché è una forma di maltrattamenti ferire un animale senza che ve ne sia alcuna necessità” e tale reato non può essere assorbito dalle sanzioni che derivano dalla violazione delle norme sulla caccia “essendo la regolamentazione di tempi e modi dell’esercizio della caccia dettata ad altri fini (ecologici, protezione di alcune specie, controllo di animali nocivi), mentre i menzionati delitti sono stati introdotti a protezione del sentimento per gli animali”.

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