Del percorso che ha condotto alla rielezione di Sergio Mattarella al Quirinale, non stupisce né la durata,né i conflitti che l’hanno accompagnata.
Ogni elezione alla massima carica dello Stato è stata lunga e sofferta.
Quello che stupisce è che lo sia stata questa volta, in una situazione tanto particolare da rendere chiaro, ben prima del “fischio di inizio”, che le soluzioni erano soltanto due: Mattarella Presidente e Draghi Premier, oppure Draghi Presidente e Premier da “inventare”.
Era piuttosto ovvio che la prima ipotesi fosse la migliore, nella premessa che Draghi sia in questa fase insostituibile alla guida del Governo poiché nessun’altro (tecnico o politico) può garantirne la durata fino alla scadenza naturale della legislatura nel 2023.
Ovviamente vi era anche una terza ipotesi: che al Quirinale potesse essere eletta una personalità diversa (uomo o donna poco rileva) e che il sistema italiano implodesse, travolgendo il Governo e portando inevitabilmente alle elezioni immediate ed alla nostra uscita dall’indispensabile ombrello politico ed economico europeo.
La valutazione dei nostri Leader politici va dunque misurata su questo parametro ed è difficile avere dei dubbi su chi abbia saputo fare buona politica e chi cattiva. Colui che nell’agosto 2019 dichiarò di aver visto che “qualcosa si era rotto” nel Governo “giallo –verde”, senza essersi accorto che il 16 luglio, designata dal Consiglio UE il 2, Ursula Von der Leyen era stata eletta dal Parlamento UE Presidente della Commissione europea e che il 3 luglio David Sassoli era stato eletto Presidente del Parlamento UE ( entrambi votati in termini decisivi dagli Europarlamentari 5 Stelle), non poteva certo essere accreditato quale Statista/King maker. I voti bisogna saperli prendere, non v’è dubbio, ma soprattutto occorre saperli utilizzare e mantenere per governare su un obiettivo strategico. Non sempre le due doti coincidono.
Il basso istinto di alcuni (guadagnare i mesi che mancano alla pensione) ed il nobile istinto (spero) dei più, convergevano pertanto naturalmente e virtuosamente verso il risultato migliore e necessario: la Presidenza bis di Sergio Mattarella.
Non aver visto ciò che era chiarissimo ed essere arrivati a tale risultato nel peggiore dei modi, mettendone a rischio l’effetto positivo, è il problema su cui ragionare.
Destra e sinistra esistono eccome, questa destra e questa sinistra non esistono più da tempo.
La scelta europea sta infatti a monte ed è la massima scelta politica, direi pre-politica, dalla quale dipende il modo in cui destra e sinistra (e centro?) si ri-costruiscono.
A chi si occupa di Europa questo era chiaro almeno dal ’92. Il Trattato di Maastricht poneva anche quel tema che Tangentopoli (restata nei confini giudiziari)non avrebbe chiarito e risolto in termini politico-economici.
La centralità dell’Europa non è stata compresa dai cittadini e dai politici che,comunque, non avevano interesse a parlarne. Troppo complicato e scomodo spiegarne la necessità assoluta nel nuovo mondo globale ed i sacrifici di medio periodo che avrebbero preceduto i vantaggi strategici per i cittadini europei.
Oggi, nelle emergenze macroscopiche del nostro tempo, tutti (o quasi) lo hanno capito, anche coloro che a buon diritto non sono esperti di economia e geo-politica.
Il dialogo con gli USA, il confronto duro con la Russia e la competizione con la Cina sono evidenti e tutti sono consapevoli che gli sviluppi e l’esito toccano il portafoglio delle persone e delle imprese.
La Germania ha finalmente scelto di essere europea in un’Europa non germanizzata ( non era scontato).
La Francia ridefinisce il suo ruolo e trova nell’Italia il naturale punto di equilibrio per un governo trilaterale del Continente. Il Trattato del Quirinale firmato nel novembre 2021 da Macròn e Draghi sotto lo sguardo di Mattarella ne è plastica testimonianza. Credo che Macròn ci sia grato per aver eletto Mattarella e consolidato il Governo in carica nel mentre si accinge al confronto (anche) con due destre improbabili sul piano europeo ed in lite tra loro (Le Pen e Zemmour).
Gli USA che non hanno mai auspicato un’Europa tedesca e che dell’Europa hanno tuttavia assoluto bisogno, vedono oggi la soluzione del complesso problema che li ha tenuti a lungo in sospeso.
L’Italia ha la grande occasione di condividere la leadership di un’Europa sovrana che, forte della sua cultura dei diritti (Rule of Law europea) e dello Stato sociale, fondi su tali valori la propria politica economica, estera e di difesa comune affrancandosi il più possibile dal “ricatto” energetico e produttivo dei suoi grandi competitor. Ad esempio non regalando la Russia all’alleanza con la Cina ma convincendola che non potrà essere europea in forza del ricatto ma piuttosto per le ragioni della storia e nella condivisione dei nostri valori fondamentali. Analogo metodo con la Turchia e con chiunque intenda esserci alleato ed amico.
Arriviamo ora alle cose di casa nostra.
Le prossime elezioni andranno affrontate sapendo che i fondi europei non sono scontati e sono parametrati al 2026, che il patto di stabilità va modificato, che il debito europeo deve essere definito strutturalmente per la realizzazione dei grandi progetti di interesse comune, che la fiscalità anche diretta deve essere armonizzata, che la politica estera e di difesa comune è un’emergenza.
I Partiti europei in contesa dovranno dirci cosa ne pensano esattamente, “da destra e da sinistra”.
Parlare ora di nuovi criteri per l’elezione del Capo dello Stato (tra l’altro senza contestualizzare il dibattito al tema, assai complesso, dei poteri che gli sono propri) mi pare sia una distrazione prematura.
La legge elettorale è invece attualissima per promuovere e favorire questo percorso di chiarimento sui “fondamentali”.
Il maggioritario, in sé ottimo, non mi pare realistico in questa fase di graduale ricostruzione delle identità politiche. Da favorire ed accompagnare.
Il proporzionale sembra più funzionale ed utile allo scopo. Dotato di una ragionevole soglia di sbarramento e, soprattutto, accompagnato dall’obbligo di dichiarare prima del voto il progetto di alleanza di governo e dall’obbligo di sfiducia costruttiva (porre la sfiducia a un Governo purchè si sia in grado di proporne un altro). Oltre al vincolo di mandato per scongiurare i trasformismi.
Senza entrare in dettagli vorrei dire che la polifonia dei 5 Stelle e soprattutto l’insanabile rottura strategica dell’attuale centro-destra, già da molto tempo nelle cose ed oggi emersa, apre prospettive molto interessanti anche per le prossime elezioni amministrative, soprattutto a Genova, grande Città europea.
Sarò bene ragionarci per governare un futuro di cui possiamo essere protagonisti.
L’articolo è stato pubblicato sul Secolo XIX dell’1.2.2022