Il 9 maggio 2021 ricorre il 71° anniversario dalla Dichiarazione Schuman sull’Europa. L’allora Ministro degli Esteri francese Robert Schuman, uno dei padri fondatori dell’Europa, proponeva la creazione di una Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA),promossa da Francia e Germania ed alla quale aderirono Italia,Paesi Bassi,Belgio e Lussemburgo, che sarebbe stata istituita col Trattato di Parigi dell’aprile ’51 cui sarebbe seguito il Trattato di Roma, firmato il 25 marzo ’57, che diede vita alla Comunità Economica Europea (CEE).
Schuman partiva certamente da un fattore economico strategico ma lo fondava su una base ideale e politica affermando che la fusione delle produzioni di carbone e acciaio di Germania e Francia “storicamente rivali”, avrebbe fatto si che una nuova guerra tra loro sarebbe diventata un’ipotesi “non solo impensabile, ma materialmente impossibile” creando le basi per una potente unità di produzione aperta a tutti i paesi europei che vorranno aderirvi , gettando le fondamenta reali della loro unificazione economica e costituendo “il primo nucleo concreto di una Federazione europea indispensabile al mantenimento della pace”.
L’economia c’era in tutta la sua fondamentale importanza, ma la politica esercitava il proprio primato nel nome di finalità strategiche superiori che debbono orientarla al servizio di interessi generali e di lungo periodo.
Sappiamo che questo processo virtuoso si è arrestato da almeno 12 anni, che la dimensione economico-finanziaria sembra essere rimasta la sola dopo la crisi del 2008 e che oggi, di fronte alla tragica pandemia che ha colpito tutti, ma in modo asimmetrico, si è faticato a trovare in Europa strumenti solidali adeguati ad affrontarla insieme, rivitalizzando nei cittadini europei un sentimento comune di fronte alla storia.
Di chi è la colpa? Dell’economia, rimasta sola in campo con le sue regole “di mercato”, o della politica priva di visione e capacità di indirizzo?
Darsi una risposta non serve solo agli storici per ragionare sulle responsabilità che ci hanno condotto all’oggi, serve concretamente ora per capire quale futuro ci attende se non agiamo subito e per decidere come agire per guidarlo. Il Covid-19 non è la causa dei problemi, è il drammatico acceleratore che ci obbliga ad affrontarli.
La decisione resa dalla Corte Costituzionale Federale Tedesca il 21 aprile non concede malintesi, né ai tedeschi, né agli italiani (e ai francesi).
Dopo i segnali positivi del Next Generation EU e del Recovery è comunque necessario non “abbassare la guardia”.
Utile un breve excursus della storia recente in materia.
La massima giurisdizione della Repubblica Federale infatti era già stata investita da questioni non dissimili, attinenti i poteri della BCE in materia di operazioni di acquisto del debito sovrano degli Stati sui mercati secondari.
Ciò, ad esempio, era accaduto in relazione alle caratteristiche tecniche concernenti le “Operazioni definitive monetarie” (OMT) decise dal Board BCE il 6 settembre 2012 che potevano apparire in contrasto con gli art. 119,123 e 127 TFUE oltre che con alcune norme tecniche derivate dei Protocolli di SEBC e BCE.
Tale ipotizzato contrasto suscitava dubbi di compatibilità con la Costituzione Tedesca e, in tal senso, era stato presentato un ricorso diretto.
Nell’ occasione la Corte Costituzionale aveva sospeso il suo giudizio ed aveva correttamente formulato alla Corte UE gli opportuni quesiti interpretativi delle norme euro-unitarie rilevanti.
La sentenza della Corte UE era stata resa il 16 giugno 2015 (C-62/14) ed aveva fornito una interpretazione delle norme UE che portava alla conclusione che le decisioni OTM adottate da BCE erano del tutto conformi e legittime non essendo in contrasto con il diritto euro-unitario.
La Corte tedesca riprendeva quindi il giudizio nazionale e, con sentenza del 21 giugno 2016, si adeguava ai principi affermati in sede europea e dichiarava il programma OMT conforme anche alla Costituzione tedesca.
Successivamente la Corte tedesca era stata investita di un ricorso che sottoponeva a censura costituzionale i Programmi EAPP e PSPP varati nel 2015 dalla BCE e prorogati fino al 2019 (noti come Quantitative Easing, era Draghi).
La censura riguardava anche in questo caso la presunta violazione della normativa UE principale e derivata in materia e la conseguente violazione della Costituzione tedesca che, come d’altronde tutte le Costituzioni dei Paesi membri, non permette siano assunti impegni non previsti dai Trattati e dalle norme principali e derivate emanate legittimamente sulla base di essi ( il trasferimento di sovranità non può essere generico, generale e non definito per materie e modalità).
Ancora una volta, doverosamente, la Corte tedesca, il 18 luglio 2017, disponeva un rinvio interpretativo alla Corte UE sulla normativa euro-unitaria rilevante e la Corte di Giustizia rendeva la sua sentenza l’11 dicembre 2018 (C-493/17) affermando ancora una volta la conformità delle decisioni BCE oggetto di contestazione con i Trattati e le norme UE derivate.
Occorre obiettivamente osservare che questa sentenza della Corte di Giustizia non sembra particolarmente approfondita nell’indagine giuridico-economica e sembra più orientata ad un approccio “politico” volto a favorire un’interpretazione estensiva della natura monetaria ( legittima) degli interventi che la BCE è autorizzata (allo stato) a compiere. La Corte UE insomma, sembra voler giustificare gli effetti economico-fiscali ( non rientranti nei compiti della BCE), rivelatisi molto rilevanti, di tali azioni monetarie per il solo fatto che i vertici BCE le hanno definite di natura strettamente monetaria senza fornire la prova documentale di essersi concretamente preoccupati di evitare o limitare gli effetti economico-fiscali adottando misure tecniche utili a tale fine.
La Corte tedesca ha quindi ripreso il corso del suo giudizio nazionale, ma questa volta ha deciso di non dare attuazione alla sentenza della Corte UE sviluppando su questo punto traumatico e decisivo un’ampia parte della motivazione su cui si basa la sentenza del 5 maggio 2020.
Le decisioni della BCE oggetto del giudizio costituzionale sono risalenti e riguardano il Programma denominato EAPP del 22/1/15 ( ma già avviato nel 2014) ed il sotto-programma denominato PSPP deciso il 4/3/15 ed i loro successivi aggiornamenti fino al 2019. Semplificando, si tratta delle decisioni di acquisto di attività del settore pubblico su mercati secondari (QE). Il focus fattuale era rivolto alla Grecia ma è chiaro che, anche se l’Italia non viene nominata, il caso del nostro Paese e dei vantaggi che ne ha tratto era ben presente.
Dire che la sentenza riguarda solo questi Programmi passati e non il presente ed il futuro non mi pare affatto corretto. Il nuovo Programma 2020 denominato PEPP, che prevede interventi per 750 miliardi di EURO,raccogliendo sul mercato i relativi fondi, non è ovviamente analizzato ma dire che esso non è toccato dalla sentenza sarebbe francamente azzardato.
La Corte tedesca infatti, nel censurare i vecchi Programmi e nel definire i compiti della BCE e i doveri di controllo e azione del Parlamento, del Governo e della Bundesbank, individua in via generale i rigorosi limiti imposti dagli attuali Trattati allo spazio di manovra della BCE (e delle Istituzioni europee) in materia di interventi che possano incidere in modo rilevante sull’economia degli Stati membri e sulle loro politiche di bilancio. La BCE infatti ha esclusivamente poteri di intervento monetario ( controllo dell’inflazione nella zona Euro) che non possono estendersi all’economia degli Stati membri se non in quanto tale intervento squisitamente monetario determini automaticamente limitati effetti anche economici.
Nella sua dettagliata analisi, la Corte tedesca ricorda gli articoli del TFUE su cui si basa il suo ragionamento e, in particolare, analizza l’art. 123 comma 1 che delimita tassativamente la sfera di intervento della BCE e del Sistema delle Banche Centrali nell’acquisto di titoli del debito pubblico degli Stati, il divieto di acquisto diretto (sul mercato primario) di detti titoli e le relative norme derivate che regolano l’operato della BCE.
Un intervento della BCE, in buona sostanza, deve essere tale da non favorire un particolare Paese e deve quindi rispettare la ripartizione degli acquisti in proporzione al contributo di ciascuno Stato al capitale della BCE medesima, non deve incoraggiare l’indebitamento a scapito di sane politiche di bilancio, non può in nessun caso fornire la garanzia che le emissioni pubbliche saranno sottoscritte dalla BCE medesima che deve quindi acquistarle sul mercato secondario dopo che, per un certo periodo, gli operatori abilitati sul mercato primario abbiano accettato e quantificato il rischio del loro acquisto nel libero formarsi di un prezzo di mercato e senza la certezza che i titoli da loro acquistati avranno un sicuro compratore finale ad un prezzo noto.
Il Programma non può avere effetti sulle scelte di bilancio nazionali, né redistributivi di vasta portata a vantaggio di imprese e famiglie.
Ciò è incompatibile coi Trattati che, come detto, indicano la sola politica monetaria ( e non quella economico-fiscale) nelle competenze dell’Unione, specificando con forza che il rispetto di tali limiti deve essere soggetto al pieno ed effettivo controllo giudiziario.
La sentenza riconosce che un intervento di natura monetaria può avere quasi inevitabili effetti economici e, proprio per questo, chiarisce che, essendo in gioco il rispetto dei Trattati, il controllo, anche giurisdizionale, deve essere molto approfondito e rigoroso nell’analizzare le caratteristiche tecniche di ciascun Programma, il perseguimento delle finalità esclusivamente monetarie e la valutazione di ogni misura utile a garantire la marginalità degli effetti economico-fiscali che possono derivarne. Evitando attivamente che tali effetti siano addirittura quelli tacitamente voluti dietro la “copertura” di una (solo) dichiarata finalità monetaria.
In altre parole un controllo giurisdizionale effettuato a posteriori (dalla Corte di Giustizia europea)non può accontentarsi di mere dichiarazioni, anche autorevoli, che affermino la finalità monetaria del Programma, ma deve poter accedere a atti documentali tecnicamente precisi della BCE che dimostrino il concreto perseguimento di tale finalità legittima. Soprattutto nel caso in cui sia dimostrato che gli effetti concreti del Programma hanno avuto una ricaduta fortemente economica a “beneficio” di uno Stato membro favorendone l’indebitamento abnorme e scoraggiando buone politiche di bilancio.
Tra l’altro l’intervenire nell’economia degli Stati, osserva la sentenza, minerebbe anche la stessa indipendenza della BCE rispetto ad essi.
E qui viene il punto relativo al gravissimo conflitto che si è determinato con la Corte di Giustizia UE.
Conflitto che può minare l’equilibrio dell’UE e la reciproca fiducia tra i suoi membri che ne costituisce il fondamento: l’interpretazione del diritto euro-unitario è esclusiva competenza della Corte di Giustizia UE, i Giudici nazionali di ultima istanza, comprese le Corti Costituzionali, hanno l’obbligo di chiedere alla Corte UE tale interpretazione ove sia rilevante nel giudizio nazionale che stanno trattando, la sentenza interpretativa della Corte UE è vincolante in tutto il territorio del’Unione.
Ma in questo caso,afferma in estrema sintesi il massimo Giudice tedesco, la Corte UE è venuta meno al compito di vigilanza giurisdizionale effettiva sull’interpretazione ed applicazione del diritto euro-unitario e ha quindi reso una decisione che va oltre le sue competenze come definite dall’art.19 comma 1 del TUE.
La Corte UE infatti non avrebbe minimamente esaminato le decisioni BCE sulla base dei documenti interni che ne illustravano le ragioni monetarie sostanziali e i doverosi aggiustamenti tecnici atti a contenerne gli effetti economico-fiscali, accontentandosi della, del tutto apparente, definizione monetaria data dalla BCE e da Draghi personalmente nella sua qualità di Presidente. Omettendo così di riscontrarne la compatibilità con le norme euro-unitarie di riferimento che non consentono elusioni o omissioni, essendo preposte alla tutela di fondamentali principi Costituzionali degli Stati membri e dei loro meccanismi decisionali democratici.
Da lì la diffida al Parlamento, al Governo ed alla Bundesbank di astenersi da condotte “tolleranti” su materia tanto sensibile e l’invito a non partecipare a decisioni BCE in materia, senza aver valutato la documentazione tecnica di supporto a tali decisioni allo scopo di verificarne la reale natura sostanziale.
Non mi pare agevole sostenere che questi principi di carattere generale affermati dalla Corte Costituzionale tedesca valgano solo per i programmi BCE oggetto del giudizio e non, ad esempio, per decisioni assunte da altre Istituzioni europee (vedi Next Generation e Recovery). Consiglierei di non confidare in questa interpretazione restrittiva.
La situazione è dunque molto seria e deve essere affrontata e risolta con lucidità e spirito collaborativo, anche attraverso una modifica dei Trattati e delle competenze della BCE.
E’ vero che la sentenza della Corte tedesca non vincola giuridicamente né la BCE,né le Istituzioni UE.
Come ha ricordato la Corte di Giustizia nel suo Comunicato dell’8 maggio 2020, l’interpretazione del diritto UE è a lei riservata a prescindere (ovviamente) dal fatto che le sue sentenze piacciano o meno. Esatto al di là di ogni dubbio.
Resta tuttavia fermo il fatto che le Istituzioni tedesche sono obbligate a rispettare la sentenza della loro Corte Costituzionale e che, nel futuro, la Corte di Giustizia ( e ogni IstituzionieUE) dovrà preoccuparsi maggiormente di fondare le sue decisioni su motivazioni proporzionate alla rilevanza delle materie trattate anche in ambito economico e non solo nel sensibilissimo tema dei diritti fondamentali che, d’altronde, ha già dato luogo a conflitti non da poco tra le Corti Costituzionali nazionali (anche italiana) e le Corti sovranazionali (UE) ed internazionali (CEDU).
Se alcune regole non vanno, spetta al potere legislativo (la politica) cambiarle.
Il potere giudiziario, infatti, non è funzionale a riformare il futuro attraverso la legislazione e il governo necessari a tale fine, esso è tenuto a giudicare i fatti del presente sulla base delle regole esistenti, salvo un limitato ed invalicabile spazio interpretativo, che non può certo stravolgere, modificare,né ignorare nel decidere le controversie che gli vengono sottoposte.
Questa è la democrazia basata sulla Rule of Law.
Veniamo ora alla decisione resa il 21 aprile dalla Corte Costituzionale tedesca in relazione al Piano Europeo di Ripresa (Recovery).
Stavolta è andata bene, per il momento.
I rappresentanti del partito politico Afd (destra tedesca), avevano infatti presentato un ricorso urgente alla Corte di Karlsrue a fine marzo contro il Recovery chiedendo che ne fosse bloccata in via immediata e preventiva l’autorizzazione alla Commissione UE da parte della Germania a raccogliere fondi sul mercato per conto del’Unione, essendo impedito dalla Costituzione della Repubblica Federale un indebitamento le cui ricadute graverebbero sui contribuenti (anche) tedeschi.
Tale ricorso era stato giudicato ammissibile il 26 marzo e ciò aveva impedito dal Presidente della Repubblica Steinmeier di ratificare la legge di già approvata dal Bundestag che autorizzava il Recovery ( tutti i Parlamenti dei Paesi membri debbono approvare il Recovery affinchè esso diventi operativo).
La Corte Costituzionale, il 21 aprile, ha respinto la richiesta di una misura preliminare urgente rinviando ogni decisione alla sentenza sul merito che sarà presa in tempi non brevissimi.
La partita non è dunque chiusa ed il modo in cui l’Italia chiederà, riceverà e investirà i fondi avrà certamente grandissimo rilievo.
La questione resta pertanto attualissima e deve essere gestita sulla base dei Trattati esistenti con lucidità e spirito collaborativo, prestando molta attenzione alla natura e agli effetti giuridico-economici degli interventi emergenziali necessari in questo momento affinché sia consentito alla Germania di parteciparvi senza esserne impedita dalla propria corte Costituzionale.
Ciò detto,ricordando Schuman inviterei poi i Leaders ad aprire ufficialmente un tavolo per la riforma dei Trattati, allargato ai Paesi disponibili, per una loro modifica che, ferme le responsabilità e i debiti passati, inserisca precisi elementi di “solidarietà utile” europea all’azione della BCE ( confini tra politica monetaria ed economica da definire) e delle Istituzioni UE rafforzando i poteri del Parlamento europeo e potenziando il bilancio UE con risorse proprie proporzionate ( non solo all’emergenza ma,soprattutto) alle nuove dimensioni della politica e dell’economia globali.