Categorie: Diritto Unione Europea e Antitrust

La Corte di giustizia dell’Unione europea in materia di SOA: le conclusioni dell’Avvocato generale Villalòn in causa C-593/13
Data: 13 Mag 2015
Autore: Serena Pagliosa

On March 10th, the Advocate General Pedro Cruz Villalòn presented his opinions on the case brought before the Court by the Council of State with the partial judgment no. 5213 of October 29th 2013. The judgment was issued in the proceeding instituted by the companies RINA Spa, SOA RINA Spa and RINA Services SpA, assisted by the firm Conte & Giacomini, against the Italian legislation of SOA (DPR 507/2010), that requires such bodies to have their registered offices on the Italian territory.

Villalon concluded that article 16 of the Directive 2006/123/EC of the European Parliament and of the Council of 12 December 2006 on services in the internal market must be interpreted in contrast to national legislation which impose companies (SOA) that want to certify to have their registered office in thememberState where they want to certify.

Il 10 marzo scorso, l’Avvocato generale della Corte di giustizia dell’Unione europea, Pedro Cruz Villalòn ha espresso il proprio parere motivato in merito alle questioni di diritto dell’Unione europea, sollevate dai giudici del Consiglio di Stato con la sentenza parziale n. 5213 del 29.10.2013.

La pronuncia era stata emessa nell’ambito del giudizio instaurato dalle società RINA S.p.a., SOA RINA S.p.a. e RINA Services S.p.a., assistite dai legali dello studio Conte & Giacomini e Damonte, avverso la normativa italiana in materia di SOA (società organismi di attestazione), nella parte in cui (art. 64 del D.P.R. n. 207/2010) impone alle società che vogliano svolgere i propri servizi in Italia di stabilirvi la sede legale.

Già in precedenza, con la sentenza del 12.12.2013 (in causa C-327/12, Ministero dello Sviluppo economico e Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture contro SOA Nazionale Costruttori), la Cortedi giustizia si era occupata della compatibilità con il diritto dell’Unione europea della disciplina contenuta nel D.P.R. n. 207 del 5 ottobre 2010[1], relativa a tali imprese “tipicamente” italiane (le SOA), che si occupano della qualificazione relativa alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, nella parte in cui il D.P.R. (art. 70 commi 4 e 5) prevede che le medesime applichino tariffe minime obbligatorie per i servizi forniti.

Con tale pronuncia, i giudici dell’Unione europea avevano “salvato” la citata normativa, sulla base della considerazione secondo cui, pur creando una restrizione allo stabilimento delle imprese di un altro Stato membro che volessero offrire il servizio nel nostro Paese chiedendo onorari inferiori, la disciplina era tuttavia idonea a garantire la buona qualità dei servizi di attestazione e quindi la realizzazione dell’interesse pubblico di tutela dei destinatari dei medesimi.

Richiamando il contenuto di tale pronuncia, l’Avvocato generale (che aveva presentato il proprio parere motivato anche in quel caso) ha affrontato la questione posta dal Consiglio di Stato, relativa alla possibilità di applicare alle SOA la deroga alla libertà di stabilimento, di cui all’art. 51 TFUE (contemplata anche dall’articolo 2 paragrafo 2, lett. i della direttiva 2006/123/CE del 12 dicembre 2006 relativa ai servizi nel mercato interno, cd. direttiva servizi), escludendo che l’attività di attestazione svolta da tali organismi configuri una partecipazione diretta e specifica all’esercizio di pubblici poteri (punti 17 e 18 delle conclusioni).

Dopo aver formulato, quindi, una risposta negativa in merito al secondo quesito posto dal Consiglio di Stato, Villalòn ha concentrato la propri analisi sulla direttiva servizi, ritenuta applicabile ratione materiae, per “determinare fino a che punto l’ostacolo all’esercizio delle suddette libertà fondamentali [di stabilimento e di prestazione dei servizi]” rappresentato dal requisito della residenza/sede legae, pacificamente ritenuto discriminatorio dalla Corte alla luce del diritto primario, “trovi giustificazione nel caso presente” (punto 2).

Nel paragrafo relativo all’individuazione della libertà fondamentale interessata (punti 25 e ss.), l’Avvocato generale ha evidenziato che ciò che la normativa nazionale sulla sede “ostacola è la prestazione di servizi da parte di una società stabilita in un altro Stato membro, senza aver potuto tuttavia limitare la libertà di tale società di stabilirsi in tale altro Stato membro”.

E pertanto l’Avvocato generale, dopo aver richiamato la sentenza della Corte (Commissione/Italia, C‑279/00) in cui è stato statuito che «il requisito in base al quale le imprese (…) devono avere la sede legale o una dipendenza nel territorio nazionale è direttamente in contrasto con la libera prestazione dei servizi in quanto rende impossibile la prestazione, in tale Stato membro, di servizi da parte delle imprese stabilite in altri Stati», ha analizzato (punti 34 e ss.) l’obbligo controverso alla luce dei requisiti vietati di cui all’articolo 16 della direttiva servizi (capo relativo alla “libera circolazione dei servizi”).

Tra i requisiti espressamente vietati di cui all’art. 16, paragrafo 2, vi è l’obbligo per il prestatore di essere stabilito sul territorio nazionale, requisito da ritenersi apertamente discriminatorio, come viene pertanto definito quello imposto alle SOA dal D.P.R. 207/2010.

In ultimo, al paragrafo 4 delle proprie conclusioni (punti 42 e ss.), l’Avvocato generale  analizza le giustificazioni fornite dal governo italiano in merito all’adozione del provvedimento controverso ed esclude che tale caso rientri nelle deroghe previste all’art. 16 paragrafi 1 e 3 (tra cui sono ricomprese esigenze di ordine pubblico e di pubblica sicurezza) affermando che comunque “esistono mezzi meno restrittivi” per conseguire l’obiettivo, invocato dallo Stato italiano, dell’esigenza di tutela dei destinatari dei servizi.

In conclusione,  Villalon afferma quindi che “L’articolo 16 della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, deve essere interpretato nel senso che osta ad una disposizione nazionale come quella controversa nella presente causa, la quale impone ad una società che intenda prestare servizi di attestazione di avere la propria sede legale nello Stato membro di destinazione”.



[1]Regolamento di esecuzione e attuazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante “ Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle Direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE”.

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