Categorie: Diritto Unione Europea e Antitrust

La Legge 10.10.90 n. 287 ed il nuovo art. 21bis introdotto dal DL n.138/2011
Data: 16 Gen 2013
Autore: Giuseppe Giacomini

La legge antitrust introdotta ormai da venti anni nel nostro ordinamento nazionale e la contestuale istituzione di una Authority (AGCM) preposta alla tutela della concorrenza secondo le regole del diritto comunitario che,peraltro, si era dotato di uno strumento normativo in tale ambito fin dal lontano 1962 (Reg.CEE n.17/62)[1], ha rappresentato una vera rivoluzione culturale nel nostro paese.

E’ ben noto come l’Italia non avesse (e non abbia, tutt’oggi) una solida cultura pro-concorrenziale quale strumento utile allo scopo di ottimizzare le performances di una economia di mercato finalizzata alla  innovazione costante della qualità dei prodotti e dei servizi , al miglior rapporto qualità/prezzo, alla meritocrazia individuale ed imprenditoriale quale strumento di crescita economica e sociale,alla tutela del consumatore ed al suo diritto ad una informazione chiara, completa e leale,ad un pluralismo  economico inteso come base e complemento della democrazia politica moderna.

Poiché,poi, appariva evidente che la piena apertura dei mercati internazionali e le nuove tecnologie, andavano determinando esigenze dimensionali delle imprese, specie di quelle esposte alla concorrenza internazionale in settori non “di nicchia”, commisurate al mercato globale, la tutela della concorrenza si rendeva viepiù necessaria al fine di contrastare comportamenti abusivi da parte dei grandi gruppi dominanti in regime di oligopolio o, a maggior ragione, di monopolio, intese/cartelli  finalizzati a restringere strumentalmente la concorrenza( ad esempio limitando l’accesso a determinate innovazioni tecnologiche o condizionando i prezzi in danno dei consumatori), attività di lobbying volte a influenzare asimmetricamente e/o indebitamente le scelte legislative specie di natura fiscale/parafiscale o in materia di sussidi pubblici.

Tutto ciò in una nuova fase storica in cui si percepiva non tanto un depotenziamento delle funzioni statuali, quanto piuttosto la necessità di una loro radicale modificazione parametrata ai cambiamenti intervenuti nella realtà.

Da un lato,gli Stati nazionali e le loro emanazioni devono uscire sempre più dalla logica dell’intervento diretto nell’economia e devono, per ciò stesso, collocarsi in una posizione “di garanzia” per il rispetto delle regole di mercato concorrenziale entro le quali gli operatori privati debbono muoversi, dall’altro, cedono parte della loro sovranità a beneficio di dimensioni sovranazionali commisurate alla competizione globale.

L’Authority Antitrust, chiamata a garantire il rispetto delle regole di mercato a livello nazionale anche applicando il diritto comunitario della concorrenza, è un fondamentale esempio di tale duplice cambiamento ed esprime non solo la nuova dimensione dei fenomeni economici e della loro regolazione giuridica ma anche una rivoluzione culturale cui è impossibile sottrarsi, piaccia o meno.

E’ noto che, fino a questa svolta ed anche negli anni immediatamente successivi, non solo l’establishment economico ma anche il sistema giuridico interno manifestavano esplicita prudenza/diffidenza verso le tematiche della libera concorrenza.

Il diritto privato privilegiava i profili negoziali e appariva orientato ad interpretare le norme codicistiche in materia più al fine di limitare la concorrenza che a quello di favorirla.

Così pure il diritto amministrativo ed una certa consolidata visione dirigistica che vedeva l’intervento pubblico come il più adatto al perseguimento delle plurime finalità sottese all’art. 41 Cost.(libertà economica e utilità sociale della medesima).

In questa tradizione culturale e giuridica, la nuova Authority , quale interlocutore privilegiato del Governo e del Parlamento attraverso i poteri consultivi e di segnalazione conferitile (art. 21 e 22), ha fin da subito assolto ad un ruolo di “moral suasion” sui processi di modernizzazione normativa coerenti al contesto europeo.

Ruolo fortemente incoraggiato dopo la modifica del Titolo V della Costituzione (L. Cost. 18 ottobre 2001 n. 3) che nel novellato art. 117 ha introdotto la “tutela della concorrenza” fra le materie di competenza esclusiva dello Stato. La libera concorrenza trova quindi una base costituzionale e diviene un valore fondamentale positivo alla cui tutela l’azione dei pubblici poteri deve tendere in materia economica, rappresentando al contempo un limite alla potestà legislativa dello Stato e delle Regioni. L’evoluzione della giurisprudenza  Costituzionale a partire dal 2007 è indicativa di tale nuovo approccio.

La L. n. 287/90 ha dunque l’ indubbia funzione di tutelare un valore costituzionalmente protetto, corrispondente all’interesse pubblico/utilità sociale previsti all’art. 41 Cost. e coerente con il contesto europeo di cui la libera concorrenza e le regole del suo corretto esplicarsi rappresentano forse il più antico e solido pilastro.

In proposito,a livello UE, dopo lo storico Regolamento CEE del 1962, il vigente quadro normativo di applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del Trattato (oggi artt. 101 e 102 TFUE) è dato dal Regolamento CE n. 1/2003 ( e dalla Comunicazione della Commissione 2004/C 101/04 ).

Premesso che, come noto, l’Authority europea antitrust è la Commissione, è opportuno innanzitutto ricordare che il Regolamento CE n. 1/2003 prevede ampi ambiti di cooperazione fra la Commissione e le giurisdizioni nazionali (art.15) oltre a garantire in modo particolarmente forte ed “anticipato”l’uniformità interpretativa ed applicativa del diritto europeo in questa materia (art. 16).

L’art. 15 prevede infatti che:

–         nell’applicazione degli artt.(oggi) 101 e 102 TFUE, le giurisdizioni nazionali possono chiedere alla Commissione ogni informazione/opinione relativa all’applicazione delle regole di concorrenza,

–         gli Stati membri devono trasmettere alla Commissione copia delle sentenze rese dalle giurisdizioni nazionali competenti a pronunciarsi in materia,

–         le autorità garanti nazionali possono presentare osservazioni scritte alle rispettive giurisdizioni nazionali investite del tema e, ove autorizzate dal giudice, anche osservazioni orali,

–         del pari, la Commissione può presentare osservazioni scritte nanti i giudici nazionali e , se autorizzata dal giudice, osservazioni orali,

–         in tal caso sia l’autorità nazionale antitrust, sia la Commissione, hanno diritto ad avere tutti i documenti necessari alla valutazione del caso,

–         gli Stati membri sono liberi di conferire alle loro autorità nazionali “i più ampi poteri di presentare osservazioni dinanzi alle giurisdizioni” di pertinenza.

L’art. 16 dispone quindi che:

–         le giurisdizioni nazionali nei casi sottoposti al loro esame ,non possono discostarsi dalla eventuale decisione che sia già stata assunta dalla Commissione ,

–         ove vi sia un procedimento pendente a livello UE,esse debbono poi valutare l’opportunità di sospendere i procedimenti da esse avviati,

–         le autorità garanti nazionali “non possono” prendere decisioni in contrasto con quelle prese dalla Commissione.

Da ultimo è fondamentale sottolineare, per un completo inquadramento della materia, che l’art.258 TFUE dispone che la Commissione può portare uno Stato membro nanti la Corte di giustizia quando reputi che esso abbia mancato ad uno degli obblighi derivanti dai Trattati (non solo in materia di concorrenza), dopo avere emesso un parere motivato, aver posto lo Stato in condizione di presentare osservazioni ed aver constatato che lo Stato medesimo, nel termine fissato, non si conforma al parere.

Il sintetico inquadramento sistematico che precede, appare oggi particolarmente rilevante posto che l’AGCM ha recentemente ,e per la prima volta, utilizzato i nuovi poteri che le sono conferiti dall’art. 21bis avendo impugnato nanti il TAR Lazio (funzionalmente competente in materia) gli atti amministrativi che istituiscono i “costi minimi” nel settore dell’autotrasporto nel presupposto che tali “costi minimi” diano luogo ad un regime di tariffe minime inderogabili dalle quali discende una grave violazione delle regole di concorrenza in danno del libero mercato e degli utenti senza che sussistano effettive giustificazioni in deroga (quali la sicurezza),se non strumentalmente invocate.

Nell’ambito della vertenza in atto (il nostro studio è interveniente “ad adiuvandum” nell’interesse di Roquette Italia spa, stabilimento italiano della multinazionale francese Roquette Fréres ), vengono sollevate da talune associazioni dell’autotrasporto, numerose questioni.

Fra esse appaiono strategiche le seguenti tematiche complementari:

  1. la legittimazione di AGCM ad essere parte attrice di un giudizio amministrativo senza avere un interesse “diretto” e “proprio” ad ottenere l’annullamento/revoca dei provvedimenti amministrativi impugnati dei quali non è essa la destinataria né diretta,né indiretta,
  2. l’assenza di una base costituzionale che giustifichi un tale inedito potere che l’art.21bis conferisce alla AGCM quale autorità di garanzia sulla concorrenza ed il mercato, di impugnare in tale veste davanti al giudice amministrativo ogni atto che essa ritenga lesivo in materia. Sia pure dopo aver esperito una procedura (simile a quella comunitaria) consistente nell’emanazione di un parere motivato, contraddittorio con l’autorità amministrativa di cui si contesta l’atto e mancato adeguamento al parere medesimo.

Quanto al primo punto, per quanto,come dirò oltre, non sia a mio avviso essenziale, merita essere ricordato che il diritto all’esercizio dell’azione giurisdizionale ha subìto molti e crescenti ampliamenti nel corso degli anni sia ad opera della giurisprudenza, sia per intervento del legislatore.

I c.d. “interessi diffusi” ovvero “interessi adespoti” ne costituiscono l’espressione quali situazioni giuridiche non strettamente riferibili ad uno specifico soggetto individuato/individuabile, bensì ad una generalità indistinta di soggetti/entità interessati ad una tutela giurisdizionale di determinati beni/valori giuridicamente riconosciuti come meritevoli di protezione nel generale interesse della collettività.

Si pensi a:

–         associazioni ambientaliste e al loro diritto ad intervenire nei pertinenti giudizi ex art. 18 L.n.349/86,

–         qualunque cittadino, abilitato ad impugnare in materia elettorale (DPR 570/60 per le elezioni comunali; D.Lgs.104/2010 per elezioni comunali,provinciali,regionali ed europee),

–         Codice del consumo (D.Lgs.n.206/2005),

–         azione di classe nei confronti della PA (D.Lgs.n.189/2009),

–         legittimazione ad agire delle associazioni di categoria prevista dalla L.180/2011, art.4 (Norme per la tutela della libertà d’impresa. Statuto delle imprese).

Quanto poi ai maggiori poteri conferiti all’AGCM nel corso degli anni, è opportuno ricordare che il loro ampliamento è stato costante e significativo:

–         repressione delle pratiche commerciali scorrette, della pubblicità ingannevole [2] e tutela amministrativa contro le clausole vessatorie inserite nei contratti con i consumatori (D. Lgs. n. 146/2007),

–         parere obbligatorio in vista di Disegni di legge e Regolamenti che introducono restrizioni all’accesso ed all’esercizio di attività economiche (D.L. n.201/2011, art.34),

–         nonché rispetto a Regolamenti relativi ad attività economiche per le quali permane il mantenimento di un atto di assenso preventivo (D.L. n.1/2012, art.1),

–         parere vincolante sulle analisi di mercato trasmesse dalle PA relativa alla sussistenza delle condizioni che legittimano il permanere delle società partecipate che svolgono servizi di interesse generale anche di natura economica (D.L.n. 95/2012, art.4 co.3),

–         potere di segnalare alla Presidenza del Consiglio dei Ministri eventuali restrizioni della concorrenza al fine di adottare le opportune misure (D.L. n.1/2012, art.4).

Ciò detto, sembra chiaro che il nuovo e più pregnante potere conferito dall’art. 21bis rappresenta un coerente passo avanti rispetto al riconoscimento della concorrenza quale valore costituzionale esplicitato nel novellato art. 117 Cost.

Si garantisce infatti la piena effettività di tale valore attraverso una tutela “anticipata” affidata all’organo indipendente preposto a garantirne la corretta manifestazione in conformità ai principi comunitari dei quali costituisce fondamentale espressione. Ed una tale previsione appare del tutto conforme agli artt. 10 e 120 della Cost. oltre che all’art. 4 TUE ed all’obbligo di rispettare le norme internazionali sottoscritte e di garantire l’obbligo di leale collaborazione nei confronti dell’Europa e dei principi giuridici che ne incarnano i valori storici fondamentali.

In questo senso non può esservi dubbio che la “fair competition” costituisca uno di questi valori e che la garanzia effettiva e pronta della sua corretta attuazione trovi nelle norme dei Trattati e nella carta Costituzionale una base giuridica adeguata.

Né ritengo che una tale prerogativa imponga di fondare la sua legittimazione  nell’evoluzione giurisprudenziale e normativa che legittima l’azione giurisdizionale a beneficio di soggetti/entità non direttamente investiti dall’atto amministrativo impugnato ma siano meri portatori dei c.d. interessi diffusi o adesposti che possono essere colpiti da tale atto.

Il tema qui in esame mi appare,invero, profondamente diverso.

L’AGCM non necessita di assimilazioni normative o giurisprudenziali alle associazioni dei consumatori o ai singoli cittadini in materia elettorale. Essa è un organo  indipendente dello Stato ( così come la Commissione è organo  indipendente della UE).L’art. 21bis non introduce alcuno strappo alla riserva di giurisdizione essendo l’AGCM una autorità amministrativa (così come lo è la Commissione)e non certo un giudice straordinario o speciale. Ad essa viene affidata la tutela della concorrenza e del mercato in via preventiva ed anticipata per volontà del legislatore nazionale e conformemente al diritto europeo che ne afferma la natura fondante per lo stesso ordine pubblico economico dell’UE  lasciando liberi gli Stati di dotarsi ,sul punto,di normative nazionali più stringenti dello standard inderogabile imposto dal diritto europeo, ad essa non viene conferito alcun potere giurisdizionale straordinario o speciale che necessiti di una espressa base costituzionale ( si veda l’art. 112 Cost. per quanto attiene il PM o l’art. 103 Cost. per quanto attiene la Corte dei conti),ad essa  viene unicamente dato un (ben diverso)diritto di ricorso al giudice amministrativo competente, ove ne sussistano i presupposti per materia e nel rispetto di una precisa procedura amministrativa pre-contenziosa.

Così è, d’altronde, nello speculare ambito comunitario ove la Commissione, organo amministrativo indipendente, esperita la fase pre-contenziosa, ha diritto di ricorso al giudice che,nella fattispecie,è la Corte di giustizia.

Né deve ulteriormente dimenticarsi che al di là degli strumenti di consultazione che il TAR potrà utilizzare verso la Commissione UE secondo l’art. 15 TFUE, esso potrà sempre e comunque avvalersi dello strumento del rinvio pregiudiziale  alla Corte di giustizia ex art. 267 TFUE per il caso in cui l’interpretazione del diritto europeo si renda necessaria ai fini della decisione del caso nazionale introdotto dall’AGCM.

Il controllo giurisdizionale è dunque intatto e nessun potere in tal senso viene attribuito dall’art. 21bis ad AGCM.

Certo, ma è altro discorso, trattasi di novità che pur perfettamente inserita nel sistema vigente, ne allarga la prospettiva ed impone all’interprete una visione sempre meno “domestica” del diritto dell’economia…e non solo.



[1] Trattasi del primo regolamento di applicazione degli articoli 85 e 86 del Trattato (oggi artt. 101 e 102 TFUE).

[2] La competenza AGCM in tema di “pubblicità ingannevole” risale al 1992 (decreto legislativo 74/92 di attuazione della direttiva comunitaria84/450/CEE) ampliato con la “pubblicità comparativa” nel 2000 (anche in questo caso decreto legislativo n. 67/2000 per attuazione direttiva comunitaria 97/55/CE, che modifica la direttiva 84/450/CEE).

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