On April 6th, Italy adopted the European Directive 2011/93/EU, on combating the sexual abuse and sexual exploitation of children and child pornography, by the Legislative Decree 39/2014. The purpose of the Directive is to further coordinate and consolidate criminal laws of the European Members relating to sexual abuse and exploitation of children, child pornography and solicitation of children for sexual purposes. Therefore, it established minimum rules concerning the definition of such offenses and related penalties, and it introduced provisions to strengthen the prevention of such offenses and the protection of child victims . Furthermore, in order to avoid the possible risk of re-offending , the Directive contemplated the obligation for employers to acquire from the new employees their criminal certificate if they have to work with minors, so as to verify if these people have not been convicted for offenses under the Criminal Code regarding the protection of minors.
Il recentissimo DLgs 39/2014 (entrato in vigore il 6 aprile), recepisce, come sempre con qualche ritardo ed a seguito di procedura di infrazione avviata dalla Commissione UE contro l’Italia, la direttiva europea 2011/93/UE relativa alla lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile.
Se ve ne fosse bisogno, questo è un ulteriore esempio del fatto che l’Europa non è solo burocrazia, economia e moneta ma è anche tutela e qualità dei diritti attribuiti alle persone, soprattutto quelle più deboli.
La direttiva europea interviene in virtù del principio di sussidiarietà (articolo 5 del Trattato sull’Unione europea) il quale prevede che quando un obiettivo non può essere conseguito in maniera sufficiente dai singoli Stati membri, l’Unione può prendere iniziative per assicurare il coordinamento e lo standard minimo delle politiche nazionali.
In tale ottica, la direttiva stabilisce appunto standard minimi quanto alla definizione degli illeciti e delle sanzioni in materia di abuso e sfruttamento sessuale dei minori, pornografia minorile e adescamento di minori per scopi sessuali, obbligando gli Stati membri a prevedere per queste gravissime violazioni, sanzioni adeguate ed efficaci, anche di natura penale, all’interno del proprio ordinamento nazionale.
Essa introduce poi disposizioni il cui fine fondamentale è quello di rafforzare la prevenzione di questi illeciti e la protezione delle vittime.
L’Italia, nel recepire finalmente la direttiva, ha modificato gli articoli del nostro codice penale che disciplinano i reati di sfruttamento della prostituzione minorile, della pornografia minorile, della detenzione di materiale pornografico e del turismo sessuale minorile. Sono poi state aggiunte numerose aggravanti per adeguare la pena all’effettiva rilevanza penale delle condotte criminose realizzate.
Detto questo, al di là del perimetro strettamente penalistico e della doverosa finalità repressiva, il punto nuovo più significativo è quello che riguarda l’aspetto finalizzato alla prevenzione di queste condotte. Conformemente a quanto previsto dalla direttiva, il legislatore nazionale ha infatti introdotto (articolo 2 del DLgs) l’obbligo per il datore di lavoro, che intenda impiegare una persona, sia essa dipendente o prestatore di attività volontaria organizzata, che sia destinata ad avere contatti diretti e regolari con minori, di acquisirne il certificato penale al fine di verificare che detta persona non abbia riportato condanne per i reati previsti dal codice penale in materia di tutela dei minori e che non sia stata destinataria di sanzioni interdittive all’esercizio di attività che comportino questo tipo di contatti. L’obbligo si riferisce ai nuovi contratti e non ha portata retroattiva.
Il mancato adempimento di quest’obbligo da parte del datore di lavoro comporta l’applicazione a suo carico di una sanzione amministrativa pecuniaria corrispondente al pagamento di una somma da 10.000,00 a 15.000,00 euro.
Questa particolare disposizione sta suscitando, inutile dirlo, numerosi problemi interpretativi che hanno già dato luogo a due circolari del Ministero della Giustizia. Il Ministero ha infatti chiarito che l’obbligo di questo adempimento sorge soltanto ove il soggetto che intende avvalersi dell’opera di terzi stipuli con essi un vero e proprio contratto di lavoro in senso tecnico. Al di fuori di questo ambito, infatti, non potrebbe dirsi che il soggetto assuma la qualità di “datore di lavoro”, richiesta dalla normativa nella parte in cui indica il destinatario della sanzione pecuniaria. L’obbligo non ricadrebbe quindi sugli enti e le associazioni di volontariato, poiché esse esplicano un’attività che sarebbe estranea ai confini del rapporto di lavoro. Egualmente quest’obbligo non graverebbe con riferimento ai rapporti di “lavoro domestico” (babysitter, colf, collaboratrici domestiche) in ragione del fatto che in questi casi sussisterebbe una relazione già,per sua natura, strettamente fiduciaria.
Allo stesso modo, anche i soggetti che prestano la propria opera presso le associazioni sportive dilettantistiche (istruttori e tecnici compresi), con i quali non si sia configurato un rapporto di lavoro autonomo o subordinato, non rientrerebbero in quest’obbligo.
Con la seconda circolare poi il Ministero ha voluto evitare “inconvenienti organizzativi” riconoscendo al datore di lavoro, una volta fatta la richiesta al casellario giudiziale, la possibilità di procedere all’impiego del lavoratore “anche soltanto mediante l’acquisizione di una dichiarazione del lavoratore sostitutiva di certificazione” con cui quest’ultimo attesti l’assenza di condanne a suo carico per reati contro i minori.
Salvo la necessità,ovvia, della chiarezza,questi criteri interpretativi resi “a caldo” non convincono del tutto e sembrano depotenziare una disposizione che, per la sua funzione preventiva, appare particolarmente efficace.
Resta il fatto che grazie all’Unione europea il tema è oggi sempre più all’attenzione delle pubbliche opinioni nazionali al fine una seria repressione di questo orribile fenomeno criminale, anche transnazionale.