Categorie: Diritto Penale | Diritto Unione Europea e Antitrust

La prescrizione penale, la sentenza Taricco della Corte Ue ed il recente rinvio da parte della corte Costituzionale alla corte di Giustizia
Data: 25 Set 2017
Autore: Giuseppe Giacomini

The” Taricco” Judgement pronounced by the EU Court of Justice and the Italian national legislation laying down absolute limitation periods which may give rise to impunity in respect of offences. The potential contrast with the Italian criminal legislation and the recent referral for a preliminary ruling by the Italian  Constitutional Court to the EU Court of Justice

Il tema della prescrizione in materia penale è di grande attualità sia sul piano del diritto interno, con la recentissima riforma introdotta dalla L. 23/6/17 n.103, sia per le ricadute che la sentenza Taricco, resa dalla Corte di Giustizia UE l’8/9/15, ha determinato e potrà ulteriormente determinare nelle pronunce dei giudici nazionali..

Come anche analizzato in altro articolo della nostra Rivista, la ricordata L. n.103/17 ha apportato rilevanti modifiche, sotto numerosi profili, al codice penale al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario. Quanto al c.p. uno dei temi profondamente toccati, ai punti da 10 a 14 della legge, è proprio quello della prescrizione sia con riferimento alla decorrenza del termine, sia alla sospensione del corso della medesima, sia all’interruzione, sia agli effetti che la sospensione e l’interruzione determinano.

Per quanto si dirà in appresso è subito opportuno rimarcare che la Legge in questione, al punto 15 specifica che “le disposizioni di cui ai commi da 10 a 14 si applicano ai fatti commessi dopo la data di entrata in vigore della presente legge”.

Questa premessa è quanto mai utile per capire quale sia la natura dei rilevantissimi problemi che, sul piano penalistico, si sono determinati a seguito della citata sentenza 8/9/ 15 della Corte di Giustizia UE, Grande sezione, nella causa C-105/14, nota come Taricco, originata da rinvio pregiudiziale del Tribunale penale di Como.

La questione che ha caratteristiche di estrema praticità e che interessa anche vicende trattate dal nostro Studio, è molto nota agli addetti ai lavori e può sintetizzarsi come segue.

La Corte di Giustizia ha affermato, in buona sostanza, che:

  • Una normativa nazionale in materia di prescrizione del reato come quella prevista dal c.p. italiano (ovviamente si parla della normativa in essere prima della recentissima riforma), comportando un possibile prolungamento del termine di prescrizione solamente per un quarto della sua durata iniziale, nell’ambito di procedimenti penali riguardanti frodi gravi in materia di IVA, sarebbe idonea a pregiudicare gli obblighi imposti agli Stati membri dall’ordinamento europeo per il fatto che impedirebbe di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero rilevante di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea.
  • Il Giudice nazionale deve quindi disapplicare tali disposizioni nazionali in quanto hanno l’effetto di impedire allo Stato membro interessato di rispettare gli obblighi impostigli dall’ordinamento comunitario (art. 325, par. 1 e 2, TFUE)

In poche e semplici parole la Corte di Giustizia ha ritenuto che il termine prescrizionale previsto dall’ordinamento italiano sia troppo breve per garantire che i reati di frode grave in materia di IVA (trattasi, come noto, di imposta europea)  siano effettivamente sanzionati e ha affermato che, essendo la materia della prescrizione di natura processuale e non di natura sostanziale, il giudice nazionale è obbligato a disapplicare la norma nazionale contrastante anche con effetto retroattivo e ad individuare quindi un termine prescrizionale più lungo a prescindere dal momento in cui l’illecito sia stato commesso.

Qualunque giurista esperto della materia penale, e non solo, non può non provare un certo disagio di fronte a tale affermazione della Corte UE.

Ed infatti, tra i problemi che questa importante sentenza ha generato, voglio qui sottolinearne almeno tre, davvero non da poco.

Il primo attinente al fatto che un trattamento prescrizionale settoriale e di sfavore riferibile ai soli reati che ledono beni di pertinenza comunitaria (quale è l’IVA) potrebbero porre seri problemi di costituzionalità.

Il secondo è che non pare agevolmente praticabile lasciare al giudice la discrezionalità a decidere quali siano i casi in cui un regime prescrizionale più lungo possa/debba essere applicato e quale sia il regime prescrizionale da scegliere (il principio di determinatezza e tassatività impone che sia la Legge a definire tali ipotesi)

Il terzo, che è poi il più importante, concerne il fatto che un diverso e più sfavorevole termine di prescrizione che venisse applicato a condotte consumate antecedentemente e soggette, in allora, ad un regime più favorevole dal punto di vista dell’imputato, renderebbe retroattiva in peius una disposizione sanzionatoria che al momento della commissione del reato non era prevista dal nostro ordinamento.

Si sottolinea subito che il corto circuito giuridico sopra accennato nasce dal fatto che nel mentre la Corte di Giustizia definisce di natura processuale la materia della prescrizione (si consideri che tale natura è peraltro affermata anche da altri ordinamenti penali di Paesi membri), al contrario, come ben noto, nell’ordinamento italiano la materia della prescrizione ha natura sostanziale e si colloca infatti non nel c.p.p. ma bensì nel c.p.

Per i non addetti ai lavori è bene ricordare che, mentre una norma di natura processuale è operativa dal momento in cui entra in vigore anche per fatti consumati anteriormente, al contrario una norma di diritto sostanziale, ove peggiorativa per l’imputato, non può che essere applicata per fatti successivi e non può quindi avere natura retroattiva.

Ciò detto, dopo la sentenza Taricco vi sono state numerose pronunce dei giudici italiani che, non senza imbarazzi, hanno tentato di darvi attuazione( o di eluderne la portata). È infatti pacifico che le sentenze della Corte UE sono direttamente efficaci e vincolanti per tutti i giudici nazionali.

Non mi soffermo su queste pronunce essendo lo scopo della presente nota quello di attirare l’attenzione sul fatto che taluni giudici nazionali (Corte d’Appello di Milano con ordinanza 18 settembre 2015 e Corte di Cassazione con ordinanza 8 luglio 2016), cogliendo l’insuperabilità dei punti critici sopra accennati, hanno opportunamente sollevato questioni di legittimità costituzionale proprio in relazione alle tematiche in questione con particolare riferimento alla irretroattività di una norma penale meno favorevole oltreché al principio di determinatezza e tassatività delle condotte penalmente sanzionabili attraverso il meccanismo delineato dalla Corte di giustizia nella sentenza Taricco, in ragione del quale verrebbe delegato al giudice il compito di definire quali siano i  casi in cui una frode deve ritenersi grave e di decidere in quali circostanze si possa ritenere che ricorra un numero così considerevole di casi di impunità tale da imporre la disapplicazione della normativa italiana vigente in materia di prescrizione.

E’ rimarchevole il fatto che di fronte ai quesiti posti alla sua attenzione e ben consapevole degli obblighi che il diritto europeo e le sentenze della Corte UE creano per i giudici nazionali, la Corte Costituzionale ha deciso di pronunciare ordinanza di rinvio pregiudiziale interpretativo alla Corte di Giustizia ex art. 267 TFUE. Prima di entrare nel merito si noti che questo è uno dei casi, fino a oggi piuttosto rari, in cui un rinvio pregiudiziale viene disposto dalla Corte Costituzionale nell’ambito di un giudizio incidentale.

Prima di entrare brevemente nel merito delle fondamentali questioni di diritto sul tappeto, anticipo che questo storico giudizio incidentale davanti alla Corte UE è rubricato al numero C-42/17 e che all’udienza del 18 luglio 2017 l’Avvocato Generale della Corte Yves Bot ha rassegnato le sue conclusioni. E’ ragionevole prevedere che avremo la sentenza (attesissima) entro l’anno.

Ciò detto, l’ordinanza numero 24/2017 della Corte Costituzionale, costituisce davvero un trattato di diritto relativamente ai temi sollevati dalla sentenza Taricco. La Corte Costituzionale infatti approfondisce i profili della irretroattività di una misura penale peggiorativa, della determinatezza che deve avere una normativa la quale comporti effetti sfavorevoli sul piano della punibilità penale nonché il tema davvero centrale della natura sostanziale che la prescrizione ha nel nostro ordinamento penale.

In queste premesse, preso atto della circostanza che il giudice nazionale è certamente vincolato all’applicazione della prevalente normativa europea, osserva la Corte che: “non è invece possibile che il diritto dell’Unione fissi un obiettivo di risultato al giudice penale e che, in difetto di una normativa che predefinisca analiticamente casi e condizioni, quest’ultimo sia tenuto a raggiungerlo con qualunque mezzo rinvenuto nell’ordinamento.” Continua poi la Corte affermando che: “è necessario chiedersi se la Corte di Giustizia abbia ritenuto che il giudice nazionale debba dare applicazione alla regola anche quando essa confligge con un principio cardine dell’ordinamento italiano.”

Merita anche essere citata una sottile affermazione di natura “politica” ove nell’ordinanza si legge che è pur vero che i rapporti tra Unione e Stati membri sono definiti in forza del principio di leale cooperazione ma che, in ogni caso, “ciò comporta che le parti siano unite nella diversità. Non vi sarebbe rispetto se le ragioni dell’unità pretendessero di cancellare il nucleo stesso dei valori su cui si regge lo Stato membro. E non vi sarebbe neppure se la difesa della diversità eccedesse quel nucleo giungendo ad ostacolare la costruzione del futuro di pace, fondato su valori comuni, di cui parla il preambolo della Carta di Nizza.”

Non è davvero da poco la natura del problema che la Corte di Giustizia è chiamata ad affrontare e risolvere su richiesta della nostra Corte Costituzionale.

Conosceremo presto l’esito, ma fin d’ora, da europeista convinto e da Avvocato abituato da decenni a discutere casi legali davanti alla Corte del Lussemburgo, non posso non sottolineare che la Corte di Giustizia rappresenta il massimo livello di competenza giuridica che l’Europa è in condizione di esprimere. Questo insuperabile, indiscusso livello di eccellenza non mi sembra peraltro sia stato ad oggi raggiunto nel settore penale. Questo settore, infatti è relativamente recente per quanto attiene gli effetti che il diritto dell’Unione può esplicarvi e i Giudici e gli Avvocati generali della Corte non provengono da una formazione giuridica di matrice penalistica che, a mio avviso, impone un approccio del tutto  particolare al fine di evitare che una nozione uniforme doverosamente creata in ambito europeo possa avere delle ricadute incompatibili con fondamentali diritti riconosciuti dalla Carta di Nizza e dalla CEDU,oltre che dalle Carte Costituzionali degli Stati membri.

Mi spiego andando al concreto: come già detto la natura della prescrizione è prevista come processuale in taluni ordinamenti europei e come sostanziale in altri (tra cui il nostro). Secondo un percorso consolidato in altri ambiti, in questi casi spetta all’ordinamento europeo e alla Corte di Giustizia individuare una definizione uniforme di un medesimo istituto che abbia, a livello nazionale, contenuti e natura differenti da paese a paese. Al di fuori dell’ambito penale questo percorso è relativamente semplice ma allorché si tratta di diritti fondamentali della persona che incidono sulla sua stessa libertà, non può essere ignorato che il pur necessario percorso di armonizzazione, se non opportunamente approfondito, potrebbe generare conseguenze addirittura aberranti soprattutto se si pretendesse, come in questo caso, di applicare la nuova nozione europea con effetti retroattivi.

È la questione centrale sul tappeto e non mancherà certamente l’occasione di dovervi ritornare.

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