Categorie: Diritto Famiglia

La prova dell’addebito della separazione e uso della messaggistica di Whatsapp: tra onere della prova e diritto alla privacy
Data: 26 Lug 2023
Autore: Conte Giacomini Avvocati

L’art. 151 c.c. stabilisce che il Giudice, pronunciando sulla separazione, dichiara, ove ne sia richiesto, a quale dei due coniugi sia addebitabile l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri del matrimonio.

L’infedeltà del coniuge, che deve essere grave e ripetuta, rappresenta certamente il caso che si rinviene più spesso nella casistica  sottoposta al vaglio dei nostri Tribunali.

Avuto specifico riguardo alla violazione del dovere di fedeltà, la Corte di Cassazione ha più volte affermato che, sulla parte che richiede l’addebito della separazione all’altro coniuge, grava l’onere di  provare sia la contrarietà del comportamento del coniuge ai doveri che derivano dal matrimonio,  sia l’efficacia causale di questi comportamenti nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza stessa.

Adeguandosi alla crescente evoluzione tecnologica, ed al fatto che le conversazioni virtuali via chat sono ormai entrate nella vita quotidiana, la giurisprudenza sta valorizzando il notevole contributo che esse possono offrire, salvo precisa prova contraria, per allegare in giudizio fatti e circostanze che difficilmente potrebbero essere dimostrati in altro modo.

Non bisogna dimenticare che esse involgono spesso confidenze ed ammissioni spesso ristrette ai soli protagonisti della conversazione.

Tale aggiornamento interpretativo, peraltro, ha richiesto e richiede tuttora il superamento di svariate problematiche tecniche e pratiche, e non può prescindere da un’interpretazione aggiornata delle tradizionali norme di riferimento.

In tale contesto probatorio il Tribunale di Savona, con la sentenza dell’8 aprile 2022 n. 306, aderendo ad un filone già consolidato, ha ricondotto le conversazioni via sms,  mail e  chat all’ambito delle riproduzioni meccaniche, parificandole alle riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche, alle registrazioni fonografiche e ad ogni altra rappresentazione  meccanica di cui all’art. 2712 c.c.; in tal modo assumendo che anche tali documenti formano piena prova dei fatti e delle cose ivi rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità.

Bemvero, in questa specifica materia al disconoscimento viene attribuito dalla giurisprudenza, di legittimità e di merito, un effetto diverso rispetto a quello che riguarda le tradizionali scritture private.

Ed infatti, il “disconoscimento” che fa perdere la qualità di prova alle riproduzioni si cui si tratta, pur non essendo sottoposto ai limiti e alle modalità di cui all’art. 214 -215 c.p.c., deve tuttavia essere chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendosi concretizzare nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta (Tribunale di Milano – Sezione Specializzata delle Imprese n. 12287 del 04/11/2015,  Corte di Cassazione 2397/2022 e Sezioni Unite n. 3086/2022).

Il disconoscimento, inoltre, anche qualora venga espresso, non preclude al Giudice la facoltà di accertarne la rispondenza all’originale anche attraverso altri mezzi di prova, ivi, comprese le presunzioni, ovvero le prove testimoniali.

Già nella sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, n. 9884 del 11/05/2005, si era precisato che “la contestazione esclude il pieno valore probatorio della riproduzione meccanica, ove abbia per oggetto il rapporto di corrispondenza fra la realtà storica e la riproduzione meccanica (ovvero “la conformità” dei dati ai fatti ed alle cose rappresentate)” e stabilendo, nel contempo, che “ove contestazione vi sia stata, la riproduzione, pur perdendo il suo pieno valore probatorio, conserva tuttavia il minor valore di un semplice elemento di prova, che può essere integrato da ulteriori elementi”.

In oggi, grazie all’interpretazione offerta dai Giudici savonesi, si apre la strada per una valutazione “rafforzata” delle prove ricavate mediante conversazioni virtuali via chat.

Sotto il profilo tecnico e pratico ad uso degli operatori, la citata sentenza ricorda che, come per gli altri documenti telematici, anche la riproduzione delle schermate delle conversazioni deve essere trasferita su un formato .pdf non modificabile, così che esse possano considerarsi quale vera e propria riproduzione meccanica della messaggistica originale rientrante nella disciplina del sopra richiamato art. 2712 c.c. (sull’inefficacia delle trascrizioni di sms in formato “word” si veda anche Tribunale di Milano, Sez. Lavoro, 06.06.2017).

In conclusione, mentre a seguito del disconoscimento una scrittura privata è inutilizzabile, salvo il giudizio di verificazione, la riproduzione meccanica, alla quale viene in oggi parificata la conversazione via chat, pur perdendo pieno valore probatorio, residua quale elemento indiziante, che potrà essere tenuto in considerazione dal Magistrato se suffragato da altri strumenti probatori, per concorrere a motivare un convincimento nei confronti di colui contro il quale tale riproduzione viene prodotta.

In questo contesto si inserisce l’Ordinanza della Corte di Cassazione del 12 maggio 2023 n. 13121, la quale va ulteriormente oltre.

La vicenda processuale trae origine dal rigetto, da parte del Giudice di primo grado, della domanda di addebito proposta dal marito nei confronti della moglie per non aver dimostrato il nesso di causalità, ritenendo che le riproduzioni di conversazioni estrapolate dal telefono cellulare della moglie, senza il suo consenso e, pertanto, in violazione della sua privacy, erano state allegate illegittimamente in giudizio.

La Cassazione, chiamata a pronunciarsi definitivamente, oltre a confermare il consolidato principio in ordine alla ripartizione dell’onere probatorio in materia di addebito della separazione per violazione dell’ obbligo di fedeltà, ritiene legittimo l’utilizzo delle foto di conversazioni su whatsapp quale elemento di prova.

Nel caso di specie la Suprema Corte nel richiamare l’art. 24 , comma 2 della Costituzione (“la difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento)”, e l’art. 51 c.p., (“l”esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica Autorità, esclude la punibilità”), giunge alla conclusione che il consenso al trattamento dei dati personali non è richiesto quando è necessario ai fini dello svolgimento di investigazioni difensive, di cui alla Legge 397 del 7 dicembre 2000, o, comunque, per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria.

Tale orientamento si allinea, oltretutto, alle nuove regolamentazioni emanate dall’Autorità Garante in tema di trattamento dei dati per ragioni di esercizio del diritto di difesa in giudizio ( cfr. le regole deontologiche relative ai trattamenti di dati personali effettuati per svolgere investigazioni difensive o per fare valere o difendere un diritto in sede giudiziaria pubblicate ai sensi del D. Lgs del 10 agosto 2018 n. 101 e delibera n. 512/2018).

Nel caso di specie, le schermate delle conversazioni di whatsapp erano state utilizzate dal coniuge esclusivamente per far valere il diritto del Ricorrente nel giudizio di separazione, e, come tali, ammissibili e legittime.

Superato quindi anche il problema di circoscrivere i confini entro cui tutelare il diritto alla privacy in nome di un più ampio diritto alla difesa, le conversazioni estrapolate e/o riconducibili a messaggistica, mail e chat, entrano di pieno diritto quali elementi valutabili dal Giudice ai fini della formazione del proprio consenso, anche se disconosciute.

Si apre quindi una nuova stagione nella casistica delle prove suscettibili di orientare un giudizio in ambito di separazione; e si ritiene che le riproduzioni delle conversazioni via chat diventeranno sempre più un elemento utile e dal quale sarà difficile discostarsi in sede decisionale.

Avv. Elena Garzoglio

 

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