In this last year, our Law Firm has dealt with issues related to the incidence, in criminal matters, of facts related to Public permissions. We refer today to the tragic collapse of the Morandi Bridge, which affected and still affects the life of our beloved City of Genoa.
Il nostro Studio ha avuto modo, in questo ultimo e difficilissimo anno, di occuparsi di questioni relative all’incidenza, nel diritto penale, di fatti specificamente inerenti al tema delle concessioni. Ci si riferisce, in particolare, al tragico crollo del Ponte Morandi, che tanto ha colpito ed ancora condiziona la vita della nostra amata Genova, e ad una ulteriore, potenziale controversia anch’essa molto “ligure”, in quanto riguardante la concessione avente ad oggetto un’area demaniale destinata a fungere da porto turistico.
Senza volere tediare il lettore, è opportuno segnalare che la concessione è il provvedimento amministrativo con il quale vengono conferiti, a una o più persone, capacità, potestà o diritti, mediante trasferimento, sia a individui privati che a società commerciali, di poteri e funzioni proprî dello Stato o di altra Amministrazione per essi competente (es.: sfruttamento di miniere, esercizio di servizî telefonici o di altri pubblici esercizî, esazione di tributi, ecc.)(cfr. EnciclopediaTreccani).
L’idea alla base della emissione dei provvedimenti di concessione è che i privati possano sostituire lo Stato e la Pubblica Amministrazione nello svolgimento di funzioni e servizi finalizzati a perseguire interessi pubblici. Del resto, l’art. 1 comma 1 “ter” della Legge n. 241/1990 effettua una vera e propria equiparazione tra soggetti privati e Pubbliche Amministrazioni, allorquando statuisce che: “I soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative assicurano il rispetto dei criteri e dei principi di cui al comma 1, con un livello di garanzia non inferiore a quello cui sono tenute le pubbliche amministrazioni in forza delle disposizioni di cui alla presente legge”.
Il concetto, in base al quale la PA può essere sostituita dai privati (in ossequio al più generale principio di sussidiarietà di cui all’art. 118 della Costituzione), si sposa inevitabilmente con l’idea che i privati possano fornire un contributo di efficienza all’azione della PA.
Ed, infatti, la Direttiva 26/2/2014 n. 2014/23/UE (sulla aggiudicazione dei contratti in concessione), al considerando n. 3, afferma che: “i contratti di concessione rappresentano importanti strumenti nello sviluppo strutturale a lungo termine di infrastrutture e servizi strategici in quanto concorrono al miglioramento della concorrenza in seno al mercato interno, consentono di beneficiare delle competenze del settore privato e contribuiscono a conseguire efficienza e innovazione”.
Questa grande responsabilizzazione del privato, che si trova ad operare in maniera equiparata a quella della PA, trova un bilanciamento nel trasferimento da quest’ultima al concessionario del c.d. “rischio operativo”.
Sul punto, sempre la Direttiva 26/2/2014 n. 2014/23/UE, al considerando n. 18, afferma che: “La caratteristica principale di una concessione, ossia il diritto di gestire un lavoro o un servizio, implica sempre il trasferimento al concessionario di un rischio operativo di natura economica che comporta la possibilità di non riuscire a recuperare gli investimenti effettuati e i costi sostenuti per realizzare i lavori o i servizi aggiudicati in condizioni operative normali…”.
Si tratta, evidentemente, di un principio che è direttamente transitato nel nostro ordinamento nazionale e, precisamente, all’art. 165 del D.Lgs. n. 50/2016.
E’ proprio in questo contesto giuridico che si deve valutare come ed a quali condizioni l’attività del soggetto privato, concessionario di poteri e funzioni di spettanza della PA, possa essere incisa dal rischio operativo di natura economica (tipico del concessionario), tale da poter comportare il rischio del mancato recupero degli stessi investimenti effettuati.
Sul punto, è evidente che la giurisprudenza in materia antinfortunistica (stradale,sul lavoro…) nello statuire la rigorosa necessità di evitare economie in materia di prevenzione degli incidenti, deve applicarsi anche ai soggetti concessionari, quali che siano gli specifici settori di attività ai medesimi affidati dalla PA.
E’ chiaro che il sopra citato contesto normativo, in cui il privato concessionario gode del beneficio di essere equiparato (a determinati fini pubblicistici) alla stessa PA, deve essere declinato nel senso che l’efficienza tipica del soggetto privato, che opera per la PA, non possa essere in alcun modo snaturata e ridotta ad un mero perseguimento dell’utile di impresa.
Senza entrare nello specifico di quelli che potranno essere gli sviluppi del procedimento penale, avente ad oggetto il crollo del Ponte Morandi, è forse più opportuno calare nel concreto i principi sopra ricordati, trattando il caso di un altro disastro, di rilievo nazionale, che ha riguardato l’attività di un soggetto concessionario e le cui conseguenze giudiziarie sono già state abbondantemente metabolizzate.
Si tratta del disastro, che colpì la Val di Stava (nella Provincia di Trento) il 19/7/1985, consistito nell’inondazione di fango, determinata dal cedimento degli argini dei bacini di decantazione della miniera di Prestavel e che causò ben duecentosessantotto (268) morti.
La complessa vicenda giudiziaria, che ha riguardato questo disastro, ha condotto alla condanna, quali responsabili civili, anche dei soggetti concessionari che ebbero in gestione la miniera di Prestavel.
Sul punto, è bene lasciare la parola direttamente alla Suprema Corte di Cassazione che, con sentenza della IV Sezione Penale del 6/12/1990 (pubblicata in Foro Italiano, 1992, II, pag. 39), ha chiarito, in materia di predisposizione di adeguati sistemi antinfortunistici, che: “L’idonea progettazione di un bacino per la raccolta di sterili di miniera richiede la previsione e la messa in opera di idonei sistemi di controllo; a tal fine spettava ai costruttori mettere in condizione sia se stessi, sin dall’inizio, sia gli altri garanti succedutisi nel tempo di controllare adeguatamente i bacini avvalendosi di adeguata strumentazione, per cui, non avendolo fatto e non avendo i successivi garanti ovviato a quella omissione, l’originaria omissione dei costruttori, ingiustificabile alla luce dell’esperienza e della prudenza, comporta che anche ad essi debbano essere imputati gli effetti determinati da quell’omissione in epoca successiva”.
Alla luce di questa brevissima dissertazione sulla possibile responsabilità penale del soggetto concessionario, appare confermato come quest’ultimo, nel suo essere equiparato funzionalmente alla PA, risulti, se possibile, maggiormente responsabilizzato nella adozione delle necessarie misure antinfortunistiche, anche se tale azione possa porsi in contrasto con una gestione economicamente conveniente del rischio operativo tipico della concessione stessa.
Luca Robustelli