Categorie: Generale

Le elezioni, i partiti e la democrazia europea
Data: 17 Ott 2022
Autore: Giuseppe Giacomini

La selezione qualitativa della classe politica è un tema fondamentale. Il reiterato ricorso a Governi tecnici ne è l’espressione, così come la crescente disaffezione al voto.

Essere un politico di buona qualità non è cosa semplice, soprattutto oggi.

Uno sguardo “alto” al nostro presente e al futuro non significa fare ragionamenti elitari e  lontani dalla vita quotidiana dei cittadini.

Non in un Paese evoluto, non in un Paese europeo.

Dall’esperienza Covid-19,all’immigrazione, all’inflazione, all’autonomia energetica ed alimentare, al conflitto ucraino, credo (quasi) tutti abbiano compreso che le decisioni fondamentali da cui tutto il resto deriva, carrello della spesa compreso, si prendono ad un livello superiore alla dimensione dei singoli Stati europei e che il sovranismo nazionale è  uno strumento inadatto a difendere il proprio interesse.

La dimensione europea, piaccia o meno, è il livello minimo cui rapportarsi per far valere le proprie ragioni nel mondo e la capacità nazionale di stare autorevolmente in quella sede non è una rinuncia alla propria sovranità a beneficio di un’entità estranea ma è il suo trasferimento (da Roma) al luogo ove la condividiamo coi nostri partners (Bruxelles) ed è il solo modo per garantirla in modo effettivo e non declamato.

Questa è una delle tante ragioni per cui la classe (non solo politica) responsabile di ciascun Paese deve necessariamente essere compatibile con la dimensione europea, competente per far valere le proprie ragioni in tale complicato contesto, affidabile  al livello del confronto coi propri partners, proattivo con gli alleati atlantici, determinato con competitors ed avversari.

Questo il motivo per cui il Premier Draghi era difficile da sostituire in questa fase. Ed il tema purtroppo non è solo la sua “agenda”, il tema è la sua competenza e credibilità europea ed internazionale. Non basta evocarne il nome per acquisirla.

Tutti siamo sostituibili in certe circostanze. Anche Churchill fu sostituito dagli inglesi, ma non a guerra in corso e non mentre l’esercito era  in drammatica ritirata sulla spiaggia di Dunkerque.

Tuttavia, sfiduciato il Governo, siamo andati al voto nelle condizioni note e con questa stravagante legge elettorale che ha determinato un esito chiaro ma inquinato dalla sua anomala natura: ricordo solo la quota maggioritaria a un turno (pensiamo alla Francia dove la Le Pen vincerebbe senza troppi problemi), gli accordi di coalizione fatti sulla base di proiezioni (valga il vantaggio “a tavolino” che ne è derivato per la Lega)   e l’assenza delle preferenze sui candidati designati dai Leaders dei Partiti sia nella parte maggioritaria sia in quella proporzionale.

Non è la fine della storia ed è meglio pensare da adesso ai rimedi per il prossimo futuro, sperando di averne il tempo. Vengo al punto.

La democrazia dell’Unione Europea fondata sul diritto e la ripartizione dei poteri (Rule of Law) è unica. Diversa dalle altre democrazie presenti al mondo (vedi USA ed India) e, ovviamente ,è tutt’altra cosa rispetto alle molte autocrazie ed alle dittature (vedi Russia e Cina).

Se pensiamo sia meglio per noi che ne siamo cittadini vivere in Europa conformemente alle sue leggi, dobbiamo evidentemente porci il problema di come migliorarne la coesione e capacità decisionale e non certo di come metterla in crisi violando la Rule of Law e le regole economiche fondamentali rafforzando la visione interstatale/confederale che, ad esempio, permette il diritto di veto a ciascun Paese membro in settori strategici, assumendo posture aggressive/ostili verso i partners, succubi verso gli alleati, deboli e arrendevoli verso competitors ed avversari. La sovranità europea è ben altra cosa.

Sappiamo tutti che la democrazia, e quella europea in particolare, comporta tempi e modi decisionali complicati e spesso inefficienti ma sappiamo anche che la democrazia è innanzitutto un metodo tarato sul rischio umano ed è fatta per ridurne la portata rispetto alla sempre possibile deriva verso fini contrari a determinati ed irrinunciabili valori sostanziali .

Non confondiamo l’efficienza del mezzo con la bontà dello scopo.

Certamente il metodo autocratico e/o dittatoriale è più efficiente nel perseguimento dei propri fini ma questo non basta a farcelo preferire. Per decenni Hitler e Stalin sono stati efficientissimi rispetto ai loro scopi ma direi che questo non chiude il discorso. Anche un metodo decisionale inefficiente diventa ottimo se serve a evitare simili risultati.

Oggi non abbiamo alle viste né Hitler né Stalin in giro per l’Europa (qualche emulo lo abbiamo ai nostri confini) ma questo non ci esime dal mantenere vivo un metodo che, anche tra 1000 anni ed in forme diverse e meno estreme, ne impedisca nuove manifestazioni.

Il tema è dunque quello di ridurre, non di eliminare, il tasso di “inefficienza” del metodo democratico nazionale ed europeo garantendo i nostri valori ed il nostro modello sociale ed economico che, con buona pace di Putin, resta il migliore ed è in ogni caso migliore di quello che lui ed i suoi alleati, anche domestici, sembrano considerare preferibile per le future generazioni.

Il tema è quello della capacità della complicata democrazia europea di manifestarsi correttamente ed efficacemente in modo omogeneo in tutti i Paesi membri attraverso regole comparabili sui Partiti e sulle leggi elettorali nazionali da cui sono selezionate e traggono vita le classi politiche destinate a fare l’Europa di domani. Non bastano Parlamentari europei di qualità a garantire buoni risultati se i loro Parlamenti e Governi nazionali esprimono per dolo, colpa o ignoranza visioni anti europee basate su egoismi privi di visione strategica.

La selezione e l’elezione della classe politica dirigente deve essere armonizzata e coerente rispetto ai valori e scopi fondamentali dell’Unione

Mi spiego.

A differenza dei nostri storici e insostituibili alleati americani non penso che la democrazia (europea o meno) sia esportabile “per forza”, penso vada promossa coll’esempio e con la moral suasion.

Sono invece convinto che il modello europeo debba essere garantito e “imposto” in seno all’Unione in tutti i Paesi membri, alcuni oggi recalcitranti, che lo hanno desiderato e condiviso consapevolmente al momento della loro adesione all’UE. Dall’Europa si può sempre uscire e non ci si resta, né ci si entra, per difendere un’identità culturale incompatibile con la sua Rule of Law. Il problema non è certo essere di destra o di sinistra, conservatori o progressisti. Il problema è quello di accettare o meno il set di valori fondamentali sanciti dai Trattati. Così come a livello nazionale il confine invalicabile per qualunque Partito è quello di riconoscersi nei valori comuni espressi dalla propria Carta Costituzionale.

Con le democrazie extra-europee l’approccio è diverso. Sono i nostri naturali alleati nella visione del mondo, non i nostri partners di una sovranità condivisa. Con loro dobbiamo concordare e armonizzare le linee economiche e geo-politiche da posizioni di parità che tengano conto (anche) dei nostri interessi. Il diritto di ciascun alleato di esprimersi  sulle altrui dinamiche democratiche non deve mai trasformarsi in ingerenza in tali dinamiche.

Quanto poi ai competitors e avversari, Paesi autocratici e dittatoriali, dobbiamo impedire ogni loro ingerenza e/o interferenza politica ed evitare la dipendenza economica, restando solo aperti al dialogo diplomatico e commerciale necessario per preservare la pace e il nostro stile di vita. Così come non è nostra missione interferire nelle loro vicende domestiche, è nostro dovere e diritto impedire di esserne condizionati.

Voglio chiarire il punto con un esempio molto concreto. Non vedo quale principio possa fondare una interferenza istituzionale (politica o militare) nelle dinamiche interne di un Paese autocratico ove esse si manifestino, pur sgradevolmente, solo all’interno della sua giurisdizione. Ai movimenti dei diritti civili e alla cultura spetta il compito di raggiungere le opinioni pubbliche di quei Paesi, non agli Stati democratici quello di rovesciare i loro governi.

Diverso il caso in cui tale violazione delle regole della Rule of Law colpisca uno Stato o un cittadino europeo. Il caso Regeni, esemplare per capire cosa intendo,  suggerisce di non permettere che un regime autoritario possa ledere la vita e la libertà di un cittadino europeo in violazione dei nostri standard democratici. Questa non è ingerenza, è protezione dei nostri valori.

Se un cittadino europeo non è gradito per le sue idee e/o attività politico-culturali può essere tollerabile che sia allontanato dal territorio di un regime anti democratico ma non che venga da esso imprigionato, torturato o ucciso.

Torniamo ora ai meccanismi della democrazia europea condivisa in seno all’UE.

E’ del tutto ovvio e naturale che in una Unione confederale (a maggior ragione se diverrà federale, magari a più velocità), ciascun cittadino sia estremamente e concretamente interessato alle elezioni nazionali di ciascuno Stato membro ed alla selezione della sua classe dirigente politica.

Che in Francia prevalga Macron o Le Pen può essere per un italiano anche più  importante della contesa Letta/Meloni. Chi di loro conterà in Europa condizionerà  direttamente nelle Istituzioni europee il destino di tutti i 27 Paesi membri. Qui non parliamo di interferenza o ingerenza, parliamo di legittimo diritto a fare quanto legalmente possibile in tutte le competizioni elettorali europee al pari di quanto facciamo nelle nostre elezioni domestiche.

Come i Partiti tedeschi o spagnoli selezionano i loro dirigenti e con quale tecnica legislativa eleggono i loro Parlamentari, è affare di tutti i 27 Paesi membri.

Non basta che una sola legge  (così come è)determini la tecnica di elezione dei Parlamentari europei

Ciò detto veniamo al punto : i Partiti europei e le Leggi elettorali nazionali di ciascun Paese membro.

Quanto ai Partiti politici, si tratta di una questione vecchissima ma del tutto rimossa dal dibattito sociale e politico.

La nostra Costituzione non è invecchiata se non nelle parti rimaste inattuate. Nello specifico mi riferisco all’art. 49 ed alla prevista Legge sui Partiti.

Tutti consideriamo normale che qualunque Società di persone e di capitali sia soggetta alle regole imposte dal Codice Civile e dalle Leggi speciali in materia, sia libera di operare le proprie scelte imprenditoriali ma debba avere un’atto costitutivo ed uno Statuto conforme alla legge e che per svolgere qualunque mestiere, anche il più “umile” sia richiesta una formazione specifica permanente.

Non pensiamo dunque che sia normale/necessario che una democrazia avanzata si doti di una Legge sulla trasparenza dei meccanismi di gestione di un Partito, sulla compatibilità del suo atto costitutivo e del suo Statuto con la Carta Costituzionale e con la Rule of Law europea, sull’obbligo di formare i propri dirigenti e candidati in misura  proporzionata al ruolo cui aspirano e per il quale competono, che sia opportuno/necessario ritornare ad un sistema di finanziamento (anche) pubblico della politica tale da garantirne l’ indipendenza possibile dal potere economico-finanziario, anche estero?

Ricordo in proposito che un solido riferimento normativo è agevole trovarlo nella vigente normativa europea sui Partiti presenti nel Parlamento europeo, normativa che al di là di improbabili paragoni con le legislazioni interne dei singoli Paesi membri, offre un parametro comune cui  tutti dovrebbero tendere.

Mi riferisco al Regolamento UE n. 1141/2014, integrato dal Regolamento UE n. 1046/2018, relativo allo “statuto e finanziamento dei partiti politici europei e delle fondazioni politiche europee” il quale, in estrema sintesi dispone che:

  • i Partiti debbano fare attività seria e documentata di formazione,
  • essi e le Fondazioni loro collegate debbano ricevere proporzionate risorse pubbliche iscritte al bilancio UE e sottoposte al relativo controllo
  • tale controllo contabile indipendente attiene la regolarità dei dati registrati e, quanto al merito, verifica esclusivamente la conformità delle spese ai fini statutari in un quadro generale condiviso il cui fine è quello di garantire il rispetto della democrazia fondata sullo Stato di Diritto nonché quello di accrescere il senso di fiducia in essa da parte dei cittadini europei.

Quanto alle Leggi elettorali è proprio l’astrusa Legge con la quale abbiamo da poco votato a suggerire la strada da percorrere per riformarla in un contesto compatibile col quadro europeo sul quale la Commissione europea ben potrebbe fornire  linee guida di base.

Mi pare ad esempio del tutto evidente che un sistema maggioritario ad un turno genera effetti anomali e che ove tale sistema venga adottato solo il doppio turno ne garantisce l’equità del risultato. Basti pensare alla nostra ottima legge sui Sindaci od a quella per le Presidenziali in Francia che, dopo un primo turno basato sulla propria preferenza in assoluto, al secondo turno induce gli elettori su una scelta definitiva binaria.

Né è proponibile un qualunque sistema che privi gli elettori del voto di preferenza tra candidati comunque già pre-selezionati dai Partiti.

Ove poi il sistema fosse in tutto od in parte proporzionale è ragionevole una soglia minima di sbarramento ed è anche ragionevole che la formazione di un Governo stabile sia favorita da un equilibrato premio di maggioranza. Ma ancor più di esso, la garanzia di stabilità dovrebbe fondarsi sull’istituto della “sfiducia costruttiva”. Non si fa cadere un Governo in corso di legislatura se non vi è da parte di chi lo chiede la prospettiva concreta di una maggioranza alternativa.

Questo, sui Partiti e sulla Legge elettorale nazionale, dovrebbe essere un lavoro da avviare e concludere in questa legislatura da parte delle maggiori e più responsabili forze politiche. Magari stimolando la Commissione europea ed il Parlamento UE affinchè formuli linee guida di base, non vincolanti ma autorevoli ed indipendenti . Un lavoro che non comporta oneri di bilancio e sarà prezioso per la qualità e rappresentanza della nostra democrazia.

 

Inutile osservare che tali normative di “armonizzazione politica”europea, ben lontane dal costituire un’interferenza nelle libere scelte programmatiche dei singoli Partiti e nelle possibili specificità proprie di ciascun Paese membro, dovrebbero offrire una base comune minima (standstill) nei criteri di formazione, selezione ed elezione del ceto politico europeo.

Pongo solamente due questioni per chiarire il punto:(i) tutti pensano che il proprio Partito dovrebbe esprimere la miglior classe dirigente, non credete sia opportuno garantire che anche il Partito avversario sia indirizzato in tal senso?  (ii) tutti pensano che le elezioni in Francia, Germania, Spagna o altro Paese membro potranno condizionare la nostra vita economica e politica, non credete sia opportuno che le Leggi elettorali nazionali, pur diverse, dovrebbero tutte garantire criteri di scelta dei candidati da parte degli elettori e la corretta rappresentanza/governabilità del sistema Paese?

Solo una selezione e competizione virtuosa può tendere verso un sistema dove la vittoria o la sconfitta elettorale determini dispiacere ma non allarme in chi perde e dove la competenza degli eletti e la loro compatibilità col quadro costituzionale ed europeo sia comunque garantita e non permetta avventure.

Dare senso concreto al voto utile e consapevole, progressista o conservatore che sia, questo è il problema alla base della democrazia europea e nazionale che dobbiamo migliorare per non doverla rimpiangere.

Dare senso al voto e garantirne l’utilità, riavvicina al valore più profondo della democrazia ed induce i cittadini e i Partiti ad esserne parte attiva.

Giuseppe M. Giacomini

Avvocato esperto in diritto UE

 

 

 

 

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