Categorie: Diritto Penale

Le Sezioni Unite sul contraddittorio nell’appello ex art 52 d.lgs. n. 231/2001 avverso l’ordinanza applicativa della misura interdittiva nelle more revocata a seguito di condotte riparatorie
Data: 19 Dic 2018
Autore: Daniele Venturini

On the 27th September 2018, the Joined Chambers of the Italian Supreme Court established that – in the proceedings disciplined by Decree n. 231/2001 – the Company still has interest in appealing the Judge’s order which applied a precautionary measure, even when this measure has been withdrawn because of the repairing conducts made by the Company itself. 

Il 14/11/2018, le Sezioni Unite hanno depositato le motivazioni della sentenza n. 51515/2018, emessa il precedente 27/9/2018.

Le Sezioni Unite, con tale decisione, resa nell’ambito della disciplina di cui al D.Lgs. n. 231/2001, hanno affermato che: “l’appello avverso una misura interdittiva, che nelle more sia stata revocata a seguito delle condotte riparatorie ex art. 17 D. Lgs. 231/2001 poste in essere dalla società indagata, non può essere dichiarato inammissibile de plano, secondo la procedura prevista dall’art. 127, comma 9, c.p.p., ma, considerando che la revoca può implicare valutazioni di ordine discrezionale, deve essere deciso nell’udienza camerale e nel contraddittorio tra le parti, previamente avvisate”.

La predetta revoca, infatti, non determina automaticamente la sopravvenuta carenza di interesse all’impugnazione.

Prima di affrontare il caso sotteso alla decisione delle Sezioni Unite, nell’ambito del quale il nostro Studio ha partecipato alla difesa della Società coinvolta, si premette una sintetica ricostruzione del procedimento cautelare disciplinato dal D.Lgs. n. 231/2001.

Come noto, l’applicazione della misura cautelare interdittiva può essere richiesta dal Pubblico Ministero, ai sensi dell’art. 45 del D.Lgs. n. 231/2001, quando vi siano gravi indizi per ritenere la sussistenza della responsabilità dell’ente per un illecito amministrativo dipendente da reato e vi sono fondati e specifici elementi che fanno ritenere concreto il pericolo che vengano commessi illeciti della stessa indole di quello per cui si procede.

Sulla richiesta, il Giudice procedente provvede mediante ordinanza, previo, però, contraddittorio con l’Ente tramite udienza camerale ex artt. 47 del D.Lgs. n. 231/2001 e 127 c.p.p..

Sul punto, va precisato che l’art. 49 del D.Lgs. n. 231/2001 prevede la possibilità per l’Ente, in occasione del predetto contraddittorio, di chiedere la sospensione della misura cautelare eventualmente disposta, al fine di realizzare gli adempimenti cui la legge condiziona l’esclusione di sanzioni interdittive a norma dell’art. 17  del D.Lgs. n. 231/2001.

In tal caso, il giudice determina una somma di denaro a titolo di cauzione, dispone la sospensione della misura e indica il termine per la realizzazione delle condotte riparatorie di cui al medesimo art. 17 che, come noto, consistono in: a) risarcimento integrale del danno ed eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato; b) eliminazione delle carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi; c) messa a disposizione del profitto conseguito ai fini della confisca.

E’ evidente come si tratti di condotte che determinano per l’ente un costo importante in termini di risorse economiche e non solo.

Qualora l’ente, entro il termine stabilito dal giudice, ponga in essere tutti gli adempimenti richiesti, il giudice procedente revoca la misura cautelare e ordina la restituzione della somma depositata a titolo di cauzione.

Tornando al caso di specie, il Pubblico Ministero chiedeva l’applicazione nei confronti della Società – all’epoca indagata per l’illecito di cui all’art. 25 del D.Lgs. n. 231/2001 in relazione all’art. 321 c.p. –  della misura cautelare del divieto di contrarre con la pubblica amministrazione.

La Società contestava la sussistenza dei requisiti ex art. 45 del D.Lgs. n. 231/2001 e, in subordine, chiedeva la sospensione della misura cautelare eventualmente disposta, dichiarandosi disponibile a  porre in essere gli adempimenti ex art. 17 del D.Lgs. n. 231/2001.

Il Giudice applicava la misura cautelare del divieto di contrarre con la pubblica amministrazione per il periodo di un anno, ma sospendeva la stessa dando termine alla Società al fine di realizzare i predetti adempimenti.

A questo punto, la Società:

  • Adempieva tempestivamente a tutte le prescrizioni;
  • Presentava comunque appello ex art. 52 del D.Lgs. n. 231/01, deducendo l’originaria insussistenza dei gravi indizi dell’illecito amministrativo.

Nelle more del predetto appello, il Tribunale di Roma – Sezione Feriale disponeva la revoca della misura interdittiva, solamente sulla base del fatto che l’Ente, come detto, aveva realizzato le condotte riparatorie di cui all’art. 17 del D.Lgs. 231/2001.

Il Tribunale del Riesame di Roma, per l’effetto, dichiarava inammissibile de plano l’appello presentato in precedenza dalla Società, rilevando l’avvenuta revoca della misura cautelare e, quindi, la sopravvenuta mancanza di interesse in capo all’Ente.

Quest’ultimo, pertanto, avverso tale ordinanza proponeva ricorso per Cassazione sostenendo l’erronea applicazione dell’art. 127, comma 9 c.p.p. che, come noto, prevede che l’inammissibilità dell’atto introduttivo del procedimento possa essere anche dichiarato dal giudice senza compiere alcuna formalità, rilevando che:

  • Il Tribunale di Roma aveva disposto la revoca della misura interdittiva senza rilevare se ab origine sussistessero le condizioni legittimanti l’adozione della predetta misura;
  • L’annullamento del provvedimento interdittivo ex tunc avrebbe comportato la possibilità di ottenere la restituzione di quanto indebitamente versato ai sensi degli artt. 49 e 17 del D.Lgs. n. 231/2001.

La Sesta Sezione penale rimetteva il ricorso alle Sezioni Unite poiché rilevava che, sulla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione pronunciata nell’assenza del contraddittorio, vi era un evidente contrasto giurisprudenziale.

La predetta Sezione formulava il seguente quesito: “se l’appello avverso un’ordinanza applicativa di una misura interdittiva disposta a carico di una società possa essere dichiarato inammissibile anche senza formalità, ex art. 127 c.p.p., comma 9, dal tribunale che ritenga la sopravvenuta mancanza di interesse a seguito della revoca della misura stessa”.

Le Sezioni Unite – rilevando che  il Tribunale del Riesame di Roma, aveva dichiarato inammissibile de plano l’appello presentato in precedenza dalla Società, per la sopravvenuta mancanza di interesse in capo all’Ente – analizza il procedimento applicativo delle misure cautelari interdittive a carico degli enti che è stato descritto in precedenza. Ciò al fine di verificare la persistenza, o meno, in capo alla Società appellante, dell’interesse all’impugnazione ex art. 568, comma 4 c.p.p. a seguito della revoca della misura.

Le Sezioni Unite rilevano che:

  • L’art. 50, comma 1 del D.Lgs. n. 231/2001, prevede che la revoca delle misure cautelari possa conseguire – oltre che nel caso di avvenuta esecuzione delle condotte riparatorie – anche in quello in cui risulti la mancanza, originaria o sopravvenuta, dei presupposti applicativi;
  • L’intero sistema cautelare di cui al D.Lgs. n. 231/2001, afferente alle misure interdittive, si fonda su una tutela rafforzata del contraddittorio. Ed, infatti, l’interlocuzione tra l’ente e l’organo giudicante garantisce non solo finalità direttamente difensive ma consente altresì al giudice di “graduare la misura interdittiva adottata, nell’ottica di una inedita dinamica cautelare, permeabile rispetto all’adozione di condotte riparatorie, quale la scelta dell’ente di dotarsi di uno strumento organizzativo in grado di eliminare o ridurre il rischio di commissione di illeciti da parte della società”;
  • il contraddittorio con l’ente interessato, delineato dagli artt. 49 e 50 del D.Lgs. n. 231/2001, persegue altresì l’importante finalità di contemperare la soddisfazione delle esigenze cautelari con le rilevanti ricadute, sul piano economico-imprenditoriale ed occupazionale, che derivano dall’applicazione anche temporanea delle misure interdittive;
  • La richiesta di sospensione della misura che viene avanzata dall’ente, pertanto, non implica affatto la rinuncia a contestare la fondatezza della domanda cautelare. Ed, infatti, la disponibilità a porre in essere gli adempimenti richiesti può dipendere dell’ esigenza di scongiurare l’applicazione di misure interdittive, implicanti la stasi del ciclo produttivo e la paralisi dell’attività economica.

Ne deriva, evidentemente, che sospensione e revoca della misura sono evenienze che risultano del tutto compatibili con la perdurante attualità dell’interesse in capo alla società a coltivare l’appello cautelare, sia per contestare l’originaria legittimità del provvedimento, sia per ottenere la restituzione delle somme versate proprio al fine di ottenere la sospensione della misura, o per la rimozione di altre possibili conseguenze dannose.

Alla luce di quanto sopra, le Sezioni Unite precisano che, in un caso quale quello in esame, la declaratoria di inammissibilità dell’appello non possa essere pronunciata in esito a modelli procedimentali semplificati e, quindi, de plano, in considerazione delle specifiche conseguenze sostanziali derivanti in capo all’ente dalla misura interdittiva, pure revocata, per effetto del compimento delle condotte riparatore e, dunque, della sussistenza di un interesse giuridicamente rilevante alla decisione.

Ed, infatti, sussistono molteplici potenziali conseguenze, comunque ricollegabili alla misura interdittiva revocata che risultano idonee a fondare un perdurante interesse all’impugnazione.

A tale riguardo, la Corte ricorda che l’ente ha diritto alla restituzione della cauzione versata al momento della sospensione della misura cautelare. Medesime considerazioni si impongono in riferimento al fatto che l’Ente, per ottenere la sospensione/revoca della misura, è tenuto  al risarcimento del danno ed alla messa a disposizione del profitto conseguito.

In tali casi, evidentemente, devono essere svolti accertamenti di fatto di una certa complessità ed effettuate valutazioni di natura discrezionale.

Di talché la fissazione dell’udienza camerale, con avviso alle parti, garantisce il pieno esercizio del diritto al contradittorio sul quale si fonda l’intero sistema cautelare di cui al D.Lgs. n. 231/2001.

Alla luce di tali considerazioni le Sezioni Unite, concludendo con la fissazione del principio espresso in apertura del presente articolo, annullano l’ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale competente per il giudizio di appello, da celebrarsi previa fissazione dell’udienza camerale, con avviso alle parti.

Elodie Morino e Daniele Venturini

 

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