Along the lines of Confitarma’s crusade against nonUE shipowners, Italian Inland Revenue, when ships are not operated from the Community, started to deny tax advantages granted by the Italian international Registry.
Prima di arrivare al cuore della notizia è indispensabile una breve premessa.
Da anni Confitarma ha preso di mira le “incursioni” degli armatori extra UE nel mercato dei trasporti effettuati all’interno di uno stesso Stato membro (c.d. “cabotaggio”). Il diritto delle compagnie di navigazione europee di operare (indisturbate) sulle “nostre” tratte interne (corollario della libera prestazione dei servizi di cabotaggio imposta dall’Europa agli Stati membri) è, infatti, “tollerato”, a patto però che dietro gli operatori comunitari non si celino armatori extracomunitari.
Secondo quanto riportato dalla stampa specializzata, la potente associazione ha inteso contrastare “una concorrenza sleale giocata sul mercato del trasporto via mare di prodotti raffinati per conto soprattutto di Eni, il principale caricatore e noleggiatore attivo sui traffici di cabotaggio in Italia” (così Ship2Shore del 23 novembre 2016). La crociata di Confitarma ha ricevuto il sigillo ministeriale proprio a luglio di quest’anno. Con propria circolare il MIT ha, infatti, diramato la dichiarazione tipo che ogni comandante dovrà compilare indicando (fra l’altro) chi sia il responsabile della gestione commerciale della nave e dove ha sede. L’obiettivo è chiaro: verificare la “genuinità” comunitaria dell’armatore e, in caso negativo, impedirgli l’accesso al mercato del cabotaggio “liberalizzato”.
Ciò detto eccovi, sul fronte fiscale, la novità. Sull’onda della denuncia di Confitarma, l’Agenzia delle entrate ha iniziato una vera e propria caccia agli armatori extra UE, “rei” (secondo l’Erario) di offrire, attraverso la costituzione di soggetti giuridici solo “formalmente” comunitari, servizi di cabotaggio (in Italia), e che, pertanto, accederebbero in modo illegittimo al regime di favore accordato dal registro internazionale italiano (“Registro internazionale”).
In buona sostanza il Fisco italiano, ritenendo (erroneamente) di poter contestare (peraltro in vece del Ministero dei Trasporti) la “genuinità europea” dell’armatore e, quindi la mancanza dei requisiti prescritti dal regolamento comunitario, nega tutti i vantaggi fiscali e contributivi incassati dal “finto” europeo con l’iscrizione (del naviglio) nel Registro internazionale attraverso un soggetto comunitario “di comodo”.
Ora, se la battaglia navale scatenata Confitarma appare, in linea teorica, fondata (occorrerebbe, comunque, analizzare le singole posizioni degli armatori extraUE cooptati da Eni per verificarlo in concreto), quella condotta, sul versante fiscale, dall’Agenzia risulta, piuttosto, una sua “fantasiosa declinazione. I requisiti richiesti per l’accesso al Registro internazionale italiano non possono essere, infatti, quelli stessi che occorrono per esercitare liberamente i servizi di cabotaggio negli Stati membri. E ciò per il (semplice) motivo che l’iscrizione nel Registro internazionale italiano ammette, in via eccezionale, a effettuare servizi di cabotaggio con limiti stringenti (che lo differenziano, appunto, dal regime di libera prestazione) e, comunque, sotto condizione di arruolare equipaggio italiano (o comunitario).
L’Agenzia, comunque, ben difficilmente cambierà idea. Una tempesta perfetta rischia, pertanto, di spazzare via la flotta “italiana” delle compagnie di navigazione extra UE.
Legali ai posti di combattimento!
Nicolò Raggi