The impact of the anti-contagion emergency legislation on commercial lease relationships.
Nella presente digressione, si intende evidenziare, senza pretese di esaustività, quali siano le strade di tutela giuridica in materia di rapporti di locazione commerciale all’esito dei provvedimenti governativi per il contenimento del contagio da Covid-19, che hanno inciso sull’equilibrio delle prestazioni contrattuali, segnatamente sull’obbligo del conduttore/affittuario di pagare i canoni pattuiti, in presenza di un’oggettiva crisi dell’attività economica.
In this digression, it is intended to highlight, without claiming to be exhaustive, which are the ways of legal protection in the matter of commercial lease relationships following the outcome of the government measures to contain the infection from Covid-19, which have affected the balance contractual services, in particular on the obligation of the tenant / tenant to pay the agreed rents, in the presence of an objective crisis in economic activity.
Come noto, molte attività commerciali (c.d. non essenziali) hanno subito un obbligo legale di sospensione, totale o parziale, imposto nei diversi articoli della “normativa anticontagio” emanata dal Governo tramite i numerosi DPCM susseguitisi da febbraio 2020, con un ovvio impatto economico sulla produttività di dette attività.
Da un lato, al fine di contenere gli effetti negativi derivanti dalle misure di prevenzione e contenimento connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19, è stato previsto un credito d’imposta a favore dei soggetti esercenti attività d’impresa, arte o professione, con ricavi o compensi non superiori a 5 milioni di euro nel periodo d’imposta precedente al 2020, nella misura del 60 per cento dell’ammontare mensile del canone di locazione, di leasing o di concessione di immobili ad uso non abitativo destinati allo svolgimento dell’attività industriale, commerciale, artigianale, agricola, di interesse turistico o all’esercizio abituale e professionale dell’attività di lavoro autonomo (art. 28 D.L. n. 34/2020).
Dall’altro, con portata più generale, l’art. 3 comma 6 bis del D.L. n. 6/20, introdotto dal Decreto Cura Italia, ha previsto che “il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223, della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”. La norma sembra imporre al Giudice, che abbia accertato il rispetto a cura del debitore delle misure di contenimento imposte dalla normativa di emergenza, una valutazione atta all’esclusione della responsabilità nell’adempimento delle obbligazioni a suo carico. Siffatta valutazione porterebbe ad escludere, in punto di diritto, sia il presupposto sia la condizione dell’azione di risoluzione contrattuale, tali essendo l’imputabilità e la non scarsa importanza dell’inadempimento, secondo quanto disposto dagli artt. 1218 e 1455 c.c.
La Giurisprudenza di Merito, in questa contingenza, si è trovata quasi immediatamente a dover dirimere vertenze afferenti l’impossibilità dei conduttori titolari di attività commerciali, sospese o limitate, a corrispondere i canoni locativi pattuiti sulla base di un sinallagma contrattuale non più attuale.
Le soluzioni a cui le Corti sono ad oggi pervenute, in via di quasi integrale unanimità, concludono per il riconoscimento del diritto del conduttore ad ottenere una proporzionata riduzione dell’importo dei canoni di locazione pattuiti, così respingendo le convalide di sfratto per morosità proposte dai proprietari locatori, sulla scorta del seguente argomento giuridico.
Ed infatti si è riconosciuto che la chiusura forzata di un’attività commerciale disposta dalla Legge costituisce un factum principis, ossia un provvedimento che impedisce il compimento di una prestazione contrattuale per causa non imputabile al debitore. La fattispecie che si realizza corrisponde, pertanto, ad una sopravvenuta impossibilità parziale e temporanea della prestazione, data dall’impossibilità per il conduttore di avvantaggiarsi della prestazione principale ad esso spettante in forza del contratto di affitto, ossia l’utilizzo dei locali condotti in locazione per l’esercizio dell’attività temporaneamente impedita, benché sia rimasto titolare del diritto alla mera detenzione. Identificata la sussistenza di un’impossibilità parziale e temporanea, che comporta l’applicazione del combinato disposto ex artt. 1256 e 1464 c.c., il riflesso sull’obbligo di corrispondere il canone sarà dunque quello di subire, ex art. 1464 c.c., un’equa riduzione, destinata tuttavia a cessare nel momento in cui la prestazione del conduttore potrà tornare ad essere compiutamente eseguita.
Il dovere delle parti di addivenire a nuove trattative, al fine di riportare l’equilibrio negoziale entro l’alea normale del contratto, deriva a suo volta dall’obbligo generale di buona fede che le parti devono osservare e che, applicato ai contratti, ne determina integrativamente il contenuto o gli effetti (art. 1374 c.c.) e deve, ad un tempo, orientarne l’interpretazione (art. 1366 c.c.) e l’esecuzione (art. 1375), nel rispetto del principio secondo cui ciascuno dei contraenti è tenuto a salvaguardare l’interesse dell’altro, se ciò̀ non comporti un apprezzabile sacrificio dell’interesse proprio.
Infine, per completezza si ricorda che la soluzione sopra prospettata non esclude gli ulteriori rimedi previsti dal codice civile della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta (art. 1467 c.c.) o del recesso per gravi motivi, che tuttavia provocherebbero la conclusione del rapporto contrattuale.
Avv. Carlotta Pasanisi