Categorie: Diritto Civile ed Internazionale

L’obbligatorietà della copertura assicurativa del professionista ci ricorda l’importanza della scelta delle condizioni di polizza.
Data: 19 Dic 2013
Autore: Serena Pagliosa

The goal of this article is to ensure that the utmost care is taken when choosing an insurance policy.  Particular attention should be paid to the “claims made” clauses, that cover claims made during the period of insurance coverage, irrespective of when the accident occurred (as the “loss occurrence” clauses do).

Come noto, con l’introduzione della legge 247/2012, dal mese di agosto 2013 (con termine ulteriormente prorogato per alcune categorie) è sorto l’obbligo per il professionista di munirsi di una polizza di assicurazione per la responsabilità civile, la quale garantisca il cliente per le ipotesi di inadempienza, negligenza, imprudenza ed imperizia eventualmente compiute nell’esercizio dell’attività professionale.

A seguito dell’introduzione di tale prescrizione, i vari Ordini professionali hanno iniziato lo studio di soluzioni assicurative “di base” da proporre ai singoli associati, alle quali ciascun professionista potrà liberamente scegliere di affiancare una propria polizza individuale, customizzata secondo le precipue esigenze emergenti dalla specifica attività svolta.

In via generale, i prodotti assicurativi di cui trattasi sono del tipo “All Risk” anche se, all’interno di tale categoria, possono distinguersi tra polizze c.d. “All inclusive”, tipiche dei prodotti di derivazione anglosassone e polizze a “compilazione specifica”, più frequenti in ambito nazionale, nelle quali il professionista può confezionare la polizza secondo specifiche prescrizioni, legate alle singole attività o funzioni svolte.

In tale contesto, particolare attenzione merita l’esame delle condizioni contrattuali riguardanti la validità e l’efficacia nel tempo della copertura assicurativa.

In particolare, il presente lavoro si prefigura lo scopo di valutare pregi e difetti della clausola “claims made”, ormai tanto diffusa da avere – nella prassi – comportato di fatto la abrogazione del regime tipico “loss occurrence” di cui all’art. 1971 c.c.

In via generale, le polizze loss occurrence seguono lo schema tipico del Codice Civile e coprono i sinistri verificatisi nel periodo di polizza, a prescindere dal momento in cui sia pervenuta all’assicurato la richiesta risarcitoria.

Diversamente, le polizze claims made manlevano l’assicurato dai sinistri che siano stati denunciati nel periodo di vigenza della polizza, a prescindere da quando sia avvenuta la condotta – attiva od omissiva – che li abbia generati.

Nella prassi assicurativa, poi, si è distinto tra le polizze claims made pure (le quali non prevedono limitazioni temporali alla propria “retroattività” rispetto alla stipulazione del contratto) e quelle impure (le quali prevedono la copertura per i soli sinistri denunziati in costanza di rapporto, purchè verificatisi in un preciso arco temporale antecedente al contratto, di norma non superiore ai due/tre anni).

Come si può agevolmente comprendere, l’incidenza di tale previsione sulla efficacia della copertura assicurativa è evidente e, in tale contesto, il professionista deve porre la massima attenzione in sede di valutazione dei prodotti presenti sul mercato.

Questo genere di coperture (le claims made) è stato introdotto sulla spinta delle Compagnie di assicurazioni, le quali – a sostegno della bontà di tali polizze – hanno evidenziato che, tramite la claims made si otterrebbe la massima certezza circa la validità temporale della copertura assicurativa, consentendo all’assicurato di non dover fornire la prova del momento esatto in cui il sinistro è avvenuto (il cui accertamento potrebbe non essere banale), essendo sufficiente la data in cui lo stesso sia stato denunciato.

Così operando, peraltro, i danni già in atto prima della conclusione della polizza ma non ancora denunciati e, quindi, potenzialmente ignorati dal professionista assicurato, risulterebbero coperti dall’assicurazione (diversamente da quanto accadrebbe nel regime tipico di cui all’art. 1917 c.c.). Secondo le Compagnie di assicurazioni, tali vantaggi “pareggerebbero il conto” con lo svantaggio, per il professionista assicurato, di non godere di alcuna di copertura a decorrere dalla estinzione della polizza (posto che, ciò che rileva è sempre la denuncia del sinistro e non il suo verificarsi), sia essa dovuta alla scelta dell’assicurato di cambiare compagnia, ovvero – per esempio – alla cessazione dell’attività professionale.

Tale preteso bilanciamento dei pro e dei contro della clausola claims made, tuttavia, in assenza di appositi accorgimenti a tutela dell’assicurato, rischia di essere solo “di facciata” e di esporre il professionista al rischio di non godere di alcuna copertura.

Quanto al presunto vantaggio, per l’assicurato, di non dover risalire al momento esatto in cui si è verificato il sinistro (essendo sufficiente la data di denuncia dello stesso), si consideri, tuttavia, che, in ogni caso, è piuttosto difficile ipotizzare un caso in cui il professionista non sia in grado di conoscere con precisione il momento in cui sia stato commesso un errore tale da giustificare una richiesta risarcitoria (la scadenza di un termine preclusivo per l’avvocato, l’esecuzione di un trattamento errato per un medico, il deposito di un progetto inadeguato da parte di un ingegnere, e così via). Più spesso la lamentata difficoltà – la quale consiglierebbe la conclusione di una polizza claims made – non consiste tanto nel risalire al momento in cui si è verificato il sinistro, quanto piuttosto al nesso causale tra il fatto e l’evento che ne consegue.

Ciò premesso, è altrettanto semplicistico ritenere che la clausola claims made renda irrilevante – sempre e comunque – la ricerca del momento in cui si è verificato il sinistro. Infatti, la maggior parte delle polizze claims made presenti sul mercato sono del tipo “impure”, ossia prevedono la copertura dei sinistri denunciati in costanza di polizza, purchè gli stessi si siano verificati in un preciso precedente arco temporale (di solito non superiore a 2 anni), così che la necessaria prova del momento esatto in cui si è verificato l’evento causativo del danno ritorna ad essere un requisito primario per ottenere la desiderata copertura assicurativa.

Peraltro, nella statistica giurisprudenziale si è notato che le compagnie di assicurazioni convenute in giudizio per un sinistro verificatosi in epoca anteriore alla sottoscrizione della polizza, ma rientrante in copertura in quanto denunciato nel periodo di validità del contratto, hanno spesso e volentieri eccepito che tale sinistro fosse conosciuto dal professionista assicurato, il quale l’avrebbe taciuto – dolosamente o colpevolmente – alla compagnia in sede di conclusione del contratto, con ciò determinando l’annullamento del contratto stesso ai sensi dell’art. 1892 c.c.

Ed ancora, la stipula di una assicurazione professionale claims made produce l’effetto di legare indissolubilmente il professionista alla compagnia: infatti l’assicurato, al fine di evitare pericolosi “buchi di copertura”, sarà obbligato a rinnovare la polizza anno dopo anno, senza possibilità di cambiare compagnia (nel qual caso, rischierebbe di non essere coperto né dalla compagnia precedente, né dalla nuova), creando così una situazione di evidente deviazione dai principi a tutela della concorrenza e del mercato, dettati anche a livello comunitario. Peraltro, sotto il medesimo profilo, le polizze claims made forzano il professionista a mantenere in essere la copertura assicurativa anche per il periodo successivo alla cessazione della propria attività, non essendo possibile escludere a priori l’ipotesi di ricevere una richiesta risarcitoria, relativa ad una attività risalente e, tuttavia, pervenuta all’assicurato successivamente alla cessazione della propria attività (per esempio, la proposizione di un atto di citazione nullo, rilevato dal Giudice con una sentenza resa a distanza di anni dall’introduzione del giudizio, con conseguente richiesta risarcitoria da parte del cliente).

Oltre a quanto sopra, si prenda l’ipotesi in cui la compagnia, ricevuta la richiesta di indennizzo, invochi il recesso dal contratto per sinistrosità dell’assicurato: da tale momento, il professionista sarebbe di fatto privo di ogni copertura assicurativa e, pertanto, dovrebbe gioco forza stipulare immediatamente una nuova polizza (la quale, evidentemente, per essere utile, dovrebbe prevedere la retroattività della copertura, ossia dovrebbe essere del tipo claims made “pura”, con ogni evidente conseguenza in merito all’ammontare del premio di polizza che, in tale caso, sarebbe richiesto all’assicurato).

Che la materia sia oltremodo complessa ed articolata è indirettamente dimostrato dal fatto che, ad oggi, la Corte di Cassazione si è pronunciata in merito alla validità della clausola claims made in due sole occasioni (sentenza 15 marzo 2005, n.ro 5624, il cui contenuto è stato ribadito con sentenza 22 marzo 2013, n.ro 7273), con cui il Giudice di legittimità ha qualificato la clausola come vessatoria – specie nella versione impura – statuendo, pertanto, che, in assenza specifica doppia sottoscrizione da parte dell’assicurato, la stessa deve essere ritenuta nulla.

Alla luce di tali considerazioni, non si vuole affatto negare tout court efficacia ed utilità pratica alle coperture assicurative claims made. Al contrario, si ritiene opportuno sollecitare l’attenzione del professionista in sede di valutazione delle condizioni di contratto proposte dalla compagnia, nel senso di tentare di customizzare la polizza secondo un dovuto bilanciamento dei pregi di tale previsione contrattuale con gli altrettanto evidenti rischi che la stessa (in assenza di garanzie circa la retroattività e la ultrattività della garanzia, il diritto di recesso della compagnia e così via) potrebbe purtroppo comportare.

 

 

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