Categorie: Diritto Tributario

Lugano addio?
Data: 27 Mag 2015
Autore: Avv. Nicolò Raggi

L’operazione voluntary disclosure non obbliga (formalmente) al rimpatrio fisico degli investimenti esteri non dichiarati. L’attuale regime di tassazione, tuttavia designa (di fatto) le banche italiane quale meta più semplice per i patrimoni in attesa di destinazione.

La Svizzera, come noto, è leader mondiale nella gestione patrimoniale transfrontaliera. I numeri degli asset in gestione, infatti, superano quelli della Gran Bretagna e delle Isole del Canale, distaccando di gran lunga altre piazze finanziarie come Hong Kong, Singapore e il Lussemburgo (fonte Finma). Ecco perché le banche dei 4 cantoni, anche per evitare il possibile ripetersi dell’aggressione (fruttuosamente) effettuata dagli Stati Uniti alle loro casse, hanno virato verso un rapido adeguamento agli standard internazionali raccomandati dall’OCSE. Le Autorità svizzere, infatti, vogliono perpetuare ciò che per tradizione costituisce la spina imprenditoriale del Paese: l’attività bancaria (latu sensu). Gli intermediari elvetici, quindi, sono stati convinti del fatto che assumere il mandato di investire i capitali non dichiarati al Fisco, è un “modello commerciale superato”. La svolta (epocale) verso la rinuncia alla tradizionale discrezione della piazza elvetica (dai trattati “Rubik” in avanti) non si è, tuttavia, mai tradotta nel tradimento della clientela estera. Per i risparmiatori italiani giunti al “bivio” della voluntary disclosure, ciò è dimostrato, da ultimo, dal fatto che, salvo non siano loro stessi a farlo “spontaneamente”, nessuna informativa verrà fornita dalle banche svizzere al Fisco romano prima del 1° gennaio 2014 (annualità, come noto, per la quale sono ancora aperti i termini per effettuare una regolare dichiarazione). Ragione di più per restarne clienti. Tuttavia, a falsare l’ineguagliabile concorrenza elvetica (i rendimenti delle gestioni svizzere superano, mediamente, i nostri), vi ha pensato il nostro legislatore.

Coloro che, infatti, decidessero di non abbandonare il suolo svizzero, si esporranno a una difficile e complessa autoliquidazione “analitica” (situazione, peraltro, inevitabile per il 2014). Non esiste, infatti, per le sostanze affidate in gestione a un intermediario non residente, un regime analogo a quello riservato alle “banche” italiane. Non è un caso, quindi, che già alcuni istituti di credito oltre confine, stiano mettendo a punto dei prodotti finanziari in grado di neutralizzare l’ostacolo fiscale sfruttando i vantaggi riservati ai soli investimenti assicurativi (cfr. art. 26-ter d.p.r. n. 600/73). Impedimento, quest’ultimo, che non pare, fra l’altro esattamente compatibile con le libertà garantite dall’ordinamento comunitario (cfr. art. 63 TFUE). Ci si aspetta, dunque, che il nostro legislatore si adegui e abbandoni campanilismi di dubbia liceità.
Anche in tale prospettiva, i contribuenti ormai convinti a saltare il fosso e autodenunciarsi, potrebbero decidere di non abbandonare la bella Lugano e suoi familiari “sportelli”.

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