Our Supreme criminal court has just judged two very similar cases (concerning the importation of a plane in Denmark to be used in Italy) with a very opposite verdict. The one punished the abuse of vat benefit (the zero vat rate existing in Denmark), the other considered this tax avoidance criminally irrelevant.
La sezione penale della Cassazione, a partire dalla nota pronuncia Gabbana (Cass. 12/7739), sta cercando di riordinare le idee sulla rilevanza o meno dell’abuso del diritto in campo penale tributario. La Corte, in particolare, nel tentativo di superare i (propri) precedenti sfavorevoli alla pubblica accusa, ha tracciato una linea di confine entro cui l’azione penale è esercitabile nei confronti dei contribuenti che, profittando delle falle del sistema tributario, adottano comportamenti tesi unicamente a conseguire un vantaggio fiscale. Ossia, in altre parole abusano dell’ordinamento eludendone il corretto funzionamento. In breve, in ossequio al principio di legalità (e conseguenti corollari di tassatività e determinatezza) che informa la materia penale, il S.c. ha escluso si possa trapiantare nell’ordinamento criminale la regola generale antielusiva elaborata in sede tributaria (dalla sezione civile della Cassazione). Gli alti magistrati hanno, insomma, preteso sussista (e risulti violata) una “specifica disposizione fiscale antielusiva”. Questa conclusione che in superficie pare discendere dall’ineluttabile applicazione dei richiamati principi costituzionali è, a ben vedere, frutto del (debole) appiglio sul quale, secondo il Supremo consesso, poggia la rilevanza penale dell’elusione. La normativa – qui sta il “cuore” della tesi della pronuncia Gabbana – sancisce la non punibilità del contribuente che si sia uniformato ai pareri del (soppresso) comitato antielusivo (cfr. art. 16 d.lgs. n. 74/2000). Donde, secondo i giudici di legittimità, la rilevanza penale dell’elusione che, però, resta, in quest’ottica, inevitabilmente delimitata alle materie sulle quali (un tempo) si poteva interpellare il Comitato, ossia i casi di elusione “tipizzati” dall’art. 37 e dall’art. 37-bis del decreto disciplinante l’accertamento delle imposte dirette. La soluzione – oltre che con lo spirito della riforma penale tributaria (la Relazione di accompagnamento inibiva espressamente l’interpretazione adottata dal S.c.) – appare del tutto irrazionale. In quest’ottica, infatti, soltanto l’elusione (tipica) è sanzionabile penalmente, mentre l’abuso perpetrato per aggirare altri tributi -l’iva ad esempio – non riveste alcun rilievo penale (a queste conclusioni, sia pure con argomentazioni diverse, è giunto anche il Prof. R. C. Guerra, nello studio elaborato per il Consiglio nazionale del Notariato, n. 261-2013/B, par. 9). Non stupisce, quindi, che con riguardo a casi di “abuso” in campo iva, i giudici di piazza Cavour non riescano a mettersi d’accordo. Proprio lo scorso marzo, infatti, la Cassazione non ha esitato a confermare il sequestro preventivo disposto per l’importazione di un velivolo in Danimarca (con iva ad “aliquota zero”) ma, di fatto, utilizzato (attraverso schermi societari) in Italia dal signor V.G (cfr. Cass. 14/11976). Il limite invalicabile (?) sancito dalla sentenza Gabbana, quindi, è stato oltrepassato con assoluta nonchalance. Tamquam non esset, si direbbe. E pensare che uno dei consiglieri (A.M. Andronio), era parte del collegio giudicante che, nel luglio 2013, aveva, all’opposto, ricordato che la condotta abusiva è penalmente rilevante a patto che sia stata violata una specifica norma antielusiva (cfr. Cass. 13/33187). Dissenting opinion o sindrome da “disordine giurisdizionale”? Mentre ancora il malcapitato signor V.G. se lo domanda, ecco che la Cassazione, a poche settimane di distanza, sforna una erudita pronuncia che assolve il signor T.F.N. dalle stesse identiche “accuse” ricevute dallo sfortunato signor V.G. Come se non bastasse la pronuncia, da un lato si ancora agli esiti della sentenza Gabbana, dall’altro richiama un precedente del 2009 (superato dalla pronuncia Gabbana), dove, sempre in relazione a un’analoga imputazione, il signor Rusca era riuscito a farla franca e a godersi impunemente il “suo” Piaggio P 180 importato in Danimarca (Cass. 09/14486, 14487 e 14488).
Resta, tuttavia, sullo sfondo, il problema – quello vero – dell’inidoneità dell’attuale impianto penale tributario a perseguire l’abuso: i reati qui delineati, infatti, sono “disegnati”, sotto il profilo “psicologico” (dolo specifico), per colpire soltanto l’evasione. Punto, quest’ultimo, su cui sinora si sono (inutilmente) battute le difese (si veda il motivo di ricorso del Prof. A. Stile rigettato da Cass. 14/8797), e che ha (a sorpresa) incontrato l’autorevole recentissimo avallo del p.m. Santamaria nel processo contro gli stilisti Dolce & Gabbana (cfr. A Mincuzzi, Dolce e Gabbana: il procuratore di Milano chiede l’assoluzione dall’accusa di evasione fiscale, ne il Sole 24-Ore, del 25 marzo 2014).
La stessa Agenzia delle entrate (costituitasi parte civile nel giudizio) non ha saputo fare di meglio che insistere sul fatto che il “dolo dell’evasione c’è stato” (cfr. A. Mincuzzi, Dolce e Gabbana verso l’assoluzione, ne Il Sole 24-Ore, 26 marzo 2014, pag. 38). Affermazione – lapsus che, tradisce, l’assenza (o meglio, l’irrilevanza) del dolo di elusione!
Legittimo domandarsi, a questo punto, se, nel penale, l’abuso del diritto stia prendendo il volo, oppure l’abbia appena perso.