Categorie: Diritto Civile ed Internazionale

Possibilità di adottare la figlia della compagna all’interno di una coppia omosessuale: parere favorevole da parte del Tribunale dei Minori di Roma
Data: 29 Feb 2016
Autore: Manuela Giacomini

Il 29/10/2015 è stato accolto dal Tribunale per i Minorenni di Roma, un ricorso ex art. 44, c. 1, lettera d) L. 184/83, come modificata dalla L. 149/2001, proposto da una donna, che chiedeva di disporsi nei propri confronti l’adozione della figlia della compagna con cui questa aveva intrapreso dal febbraio 2009 una relazione sentimentale.

Fin dai primi anni, infatti, la ricorrente e la sua compagna avevano sentito il desiderio di avere un figlio e dopo aver riflettuto a lungo sulla realizzazione del progetto di genitorialità, nell’ottobre 2012, entrambe si erano recate in Belgio per sottoporsi alle pratiche di procreazione assistita, decidendo che a portare avanti la procreazione biologica sarebbe stata la più giovane delle due.

La ricorrente aveva seguito lo stato di gravidanza della compagna con affetto e dedizione, vivendo anche lei l’attesa con animo commosso e proteso all’evento e, dopo la nascita della bambina, essa aveva instaurato con la minore un rapporto affettivo così forte da eguagliare quello materno, diventando così una figura così importante per la bimba da essere riconosciuta da quest’ultima come mamma.

Ciò detto, la ricorrente chiedeva, alla luce dei rapporti instaurati e consolidati con la minore, di poterla adottare ai sensi dell’art. 44, c. 1, lettera d) L. 184/83, come modificata dalla L. 149/2001.

Il Tribunale incaricava quindi il competente Servizio Sociale di redigere una relazione sulle condizioni di vita delle due donne, sul loro rapporto con la bambina e sulle figure familiari di supporto, al fine di valutare la rispondenza o meno della richiesta di adozione all’interesse superiore della minore.

Inoltre, il Collegio, stante la non lunga durata del periodo di convivenza e la tenera età della minore, decideva di conferire una consulenza tecnica per verificare ulteriormente la qualità delle relazioni familiari.

Terminato l’esame peritale, il procedimento veniva trasmesso al P.M.M. per il parere.

Tuttavia, il P.M.M. esprimeva parere negativo all’accoglimento del ricorso “perché nel caso di specie manca il presupposto ineludibile della norma indicata, costituito da una situazione di abbandono e manca la nomina del curatore speciale al minore, ravvisandosi conflitto di interesse tra la madre della piccola e la figlia medesima”.

Il Collegio ha però ritenuto che il ricorso meritasse di essere accolto.

A giudizio del Collegio, infatti, nella nostra normativa di settore non vi è alcun divieto per la persona singola, qualsiasi sia il suo orientamento sessuale, ad adottare.

A tal proposito, il Legislatore ha previsto, accanto all’adozione legittimante che richiede che ad adottare siano due persone unite dal matrimonio riconosciuto dall’ordinamento italiano, un’altra ipotesi di adozione denominata “adozione in casi particolari”, disciplinata dal Titolo IV della L. 4/5/1983 n. 184 (come modificata dalla legge 28/3/2001 n. 149) agli arti. 44 – 57.

Questa forma di adozione, che mira a realizzare l’interesse superiore del minore ad una famiglia in quattro specifiche ipotesi, può essere proposta anche da una persona singola ai sensi del combinato disposto dell’art. 44 lett. d) e art. 7 della L. 184/83 (e successive modifiche) e nessuna limitazione è prevista, né espressamente né in via interpretativa, con riferimento all’orientamento sessuale dell’adottante.

L’art. 44, L. n. 184/1983 prevede quanto segue:

“1. I minori possono essere adottati anche quando non ricorrono le condizioni di cui al comma 1 dell’articolo 7:da persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, quando il minore sia orfano, di padre e di madre; dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio, anche adottivo dell’altro coniuge; quando il minore si trovi nelle condizioni indicate dall’articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992,n. 104,e sia orfano di padre, e di madre; d) quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo.2. L’adozione, nei casi indicati nel comma l, è consentita anche in presenza di figli legittimi.3. Nei casi di cui alle lettere a), c), e d) del comma 1 l’adozione è consentita, oltre che ai coniugi, anche a chi non è coniugato. Se l’adottante è persona coniugata e non separata, l’adozione può essere tuttavia disposta solo a seguito di richiesta da parte di entrambi i coniugi.4. Nei casi di cui alle lettere a) e d) del I comma l’età dell’adottante deve superare di almeno diciotto anni quella di coloro che egli intende adottare”.

L’adozione “in casi particolari”, disciplinata dal citato articolo, risponde all’intenzione del Legislatore di voler favorire il consolidamento dei rapporti tra il minore e i parenti o le persone che già si prendono cura del minore stesso, prevedendo la possibilità di un’adozione con effetti più limitati rispetto a quella legittimante, ma con presupposti meno rigorosi. Viene data in tal modo rilevanza giuridica a tutte quelle situazioni in cui, pur essendo preminente la finalità di proteggere il minore, mancano le condizioni che consentono l’adozione con effetti legittimanti di un soggetto minore di età.

La ratio legis trova una espressa manifestazione nell’art. 57, n. 2, laddove impone al Tribunale di verificare se l’adozione ex art. 44 L. 184/83 “realizza il preminente interesse del minore”.

Nella fattispecie in esame, prevista dalla lettera d) del comma 1 del citato articolo, il minore può essere adottato, anche quando non ricorrono le condizioni per l’adozione legittimante, quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo.

Il P.M.M. ha espresso parere negativo poiché riteneva che mancasse il presupposto (a suo dire ineludibile) della norma costituito da “una situazione di abbandono” mentre il Collegio ha ritenuto, invece, che la norma è molto chiara e inequivoca nel richiedere come presupposto l’impossibilità dell’affidamento preadottivo e non una situazione di abbandono.

A giudizio del Collegio, infatti, il P.M.M. ha seguito un’interpretazione estremamente restrittiva della norma poiché la giurisprudenza di merito ha dato all’articolo in questione un’interpretazione più ampia, riconoscendo che l’impossibilità di affidamento preadottivo può essere una impossibilità non solo di fatto, che consente di realizzare l’interesse preminente di minori in stato di abbandono ma non collocabili in affidamento preadottivo, bensì anche una impossibilità di diritto, che permette di tutelare l’interesse di minori (anche non in stato di abbandono), attraverso il riconoscimento giuridico di rapporti di genitorialità più compiuti e completi.

Per quanto riguarda poi la richiesta presentata dal P.M.M. di nomina di un curatore speciale per la minore, il Collegio non ha ritenuto di accoglierla poiché detta nomina presuppone un conflitto di interessi della madre nei confronti della figlia minore che non è ravvisabile nella fattispecie in oggetto. Al contrario, infatti, la madre risulta l’unica rappresentante legale della minore in grado di esprimere per conto suo il consenso così come previsto dall’art. 46 della Legge che regola le adozioni in casi particolari.

Alla luce di quanto sopra, il Collegio ha quindi ritenuto che l’art. 44, comma 1, lett. d) consente alla ricorrente di adottare la minore purché, in fatto, l’adozione risponda al preminente interesse della minore medesima.

Inoltre, non può ostare all’adozione della minore da parte della ricorrente la circostanza che la madre non è, ai sensi dell’ordinamento italiano, coniugata con la ricorrente. Invero, un rapporto di coniugio tra il genitore dell’adottando e l’adottante è previsto solo dall’art. 44, c. 1, lett. b), e non anche dall’art. 44, c. 1, lett. d), che trova applicazione nella fattispecie de qua e se il Legislatore avesse voluto estendere tale presupposto anche all’art. 44, c.1, lett. d) lo avrebbe fatto espressamente.

Peraltro, il criterio dell’imitatio naturae, in virtù del quale l’adozione dovrebbe rispecchiare il modello dominante della famiglia tradizionale unita dal vincolo del matrimonio, aveva già subito un ridimensionamento con la sentenza della Corte Costituzionale n. 145/1969 dove veniva precisato che, con riferimento agli artt. 3, 29 e 30 Cost., queste disposizioni “non vincolano l’adozione dei minori al criterio dell’imitatio naturae”, esprimendo, invero, una mera indicazione di preferenza per l’adozione da parte di una coppia di coniugi, sulla scorta dell’esigenza di garantire al minore la stabilità necessaria sotto il profilo educativo ed affettivo. A parere della Corte quindi, ciò che occorre valutare in via prioritaria è l’interesse del minore e, di conseguenza, la famiglia deve possedere i caratteri dell’adeguatezza sulla base dell’interesse del minore.

Ne consegue che, ad avviso del Collegio, l’adozione ex art. 44, comma 1, lett. d) può essere disposta a favore del convivente del genitore dell’adottando, ricorrendone gli altri presupposti di legge.

Tale conclusione, secondo il Collegio, non può non applicarsi anche ai conviventi del medesimo sesso poiché l’art. 44, c.1, lett. d) non discrimina tra le coppie conviventi eterosessuali o omossessuali e, infatti, una lettura della norma volta ad escludere coppie omossessuali dalla possibilità di ricorrere alla adozione ex art. 44, c. 1, lett. d) sarebbe in palese contrasto non solo con la lettera della legge ma anche con la sua ratio.

Peraltro, una lettura in tal senso non sarebbe solamente contraria alla ratio legis ma anche al dato costituzionale nonché ai principi di cui alla Convenzione Europea sui Diritti Umani e le Libertà Fondamentali (cd. CEDU), di cui l’Italia è parte poiché essa si porrebbe in contrasto con l’art. 14 in combinato disposto con l’art. 8 della CEDU.

Alla luce delle motivazioni svolte, sarebbe quindi illegittimo respingere la domanda sottoposta dalla ricorrente solo ed esclusivamente a motivo del suo orientamento sessuale.

Nel caso di specie, non si può non tenere conto delle situazioni che sono da tempo esistenti e cristallizzate: la minore è nata e cresciuta con la madre e la sua compagna, madre biologica, instaurando con loro un legame inscindibile che, a prescindere da qualsiasi “classificazione giuridica”, non ha nulla di diverso rispetto a un vero e proprio vincolo genitoriale. Pertanto, negare alla bambina i diritti e i vantaggi che derivano da questo rapporto costituirebbe certamente una scelta non corrispondente all’interesse della minore, che, come indicato dalla Corte Costituzionale stessa e dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, occorre sempre valutare in concreto.

Nella fattispecie in oggetto non si tratta, infatti, di concedere un diritto ex novo, creando una situazione prima inesistente, ma di garantire la copertura giuridica di una situazione di fatto già esistente da anni, nell’esclusivo interesse di una bambina che da sempre è stata allevata da due donne e che essa stessa riconosce come riferimenti affettivi primari al punto tale da chiamare entrambe “mamma”.

In conclusione, l’art. 44, c.1, lett. d) della L. 184/83 costituisce da sempre l’apposito strumento, configurandosi come una “porta aperta” sui cambiamenti che la nostra società ci propone con una velocità e una continuità tale che il Legislatore fatica a tenere dietro, anche per la sua atavica resistenza al cambiamento, ma cui il Giudice minorile non può restare indifferente, se in ogni suo provvedimento deve, effettivamente, garantire l’interesse superiore del minore.

Seguici sui Social

Iscriviti alla Newsletter

Genova, it

Indirizzo
Viale Padre Santo 5/11B
Genova, Italia 16123
Contatti
T. +39 010 83 15 280
F. +39 010 83 15 285
segreteria@contegiacomini.net

Milano, it

Indirizzo
Via Sant'Andrea 3
Milano, Italia 20121

Roma, it

Indirizzo
Via del Babuino 51
Roma, Italia 00187