Il tema della riforma Cartabia è troppo “politico” per non scaldare gli animi e, a maggior ragione, è indispensabile partire da alcuni dati semplici e oggettivi che aiutino l’opinione pubblica a capire di cosa si sta parlando e su cosa è ragionevole dividersi e, si spera, trovare una mediazione tecnicamente plausibile.
Intanto sia chiaro che il “nervo scoperto” non riguarda la riforma generale della giustizia civile e penale ma un punto specifico e fondamentale che attiene il solo processo penale.
Su questo aspetto è fondamentale una prima premessa.
L’Europa è altamente sensibile a come sono strutturati e gestiti i sistemi giudiziari dei Paesi membri e certamente lo è anche per i sistemi giudiziari penali.
E’ nota l’attenzione rivolta ad alcuni Stati UE che hanno attuato riforme che sembrano ledere gravemente la Rule of Law europea in materia di diritti ed indipendenza del potere giudiziario dal potere esecutivo “politico”.
Sul punto, la Commissione ha addirittura deciso di portare tali Stati di fronte alla Corte di Giustizia UE.
E’ anche noto, tuttavia, che il problema di condizionare l’erogazione dei fondi del Recovery/Next Generation EU al rispetto di tali principi, richiederebbe un’approccio troppo creativo rispetto al quadro giuridico esistente. La Commissione UE ne è ben consapevole ed è per questo che stigmatizza esplicitamente tali situazioni nel suo Rule of Law Report 2021, pubblicato il 20 luglio scorso,e chiede interventi normativi che collochino il rispetto dei principi dello Stato di diritto al livello di precondizione per accedere ai fondi europei.
E’ dunque vero che l’Europa è estremamente sensibile (giustamente) ai temi dello Stato di diritto e della giustizia penale ma non è (purtroppo) vero che i fondi del Next Generation UE dipendano oggi da tale aspetto.
In ambito penale rileva tuttavia ricordare che le frodi in materia di fondi europei saranno perseguite dalla Procura europea (EPPO), operativa dal primo giugno scorso e che nel suo Report 2021 la Commissione UE sottolinea come “ la effettività dei sistemi giuridici nazionali analizzati, sarà il fattore chiave per assicurare che i casi criminali di competenza della Procura europea saranno portati a conclusione e sanzioni concrete saranno applicate”.
Resta tuttavia fermo che, ad oggi, l’erogazione dei fondi europei è in qualche misura condizionata alla sola riforma del processo civile. E ne è chiara la ragione. E’ il processo civile infatti che incide più direttamente sull’economia di un Paese ed è ad esso che l’Europa guarda con più immediata attenzione preoccupata del fatto che l’efficienza di un sistema giudiziario nazionale civile e amministrativo sia capace di offrire risposte proporzionate ai tempi che i rapporti economici richiedono.
La seconda premessa attiene, in ambito penale, la natura della prescrizione e quella della improcedibilità di cui parla la riforma Cartabia in grado di appello e di Cassazione (ove il processo non si concluda nei tempi previsti).
La prescrizione dei reati, nell’ordinamento italiano (in altri ordinamenti europei non è così), ha natura sostanziale ed è collocata nel Codice penale (artt. 157/161 C.p.).
Le attuali condizioni di procedibilità, al contrario, hanno natura processuale e sono collocate nel Codice di procedura penale (artt. 336/346 C.p.p.).
Le conseguenze pratiche di tale differenza non sono da poco. Ed infatti una norma di natura sostanziale, ove più favorevole all’accusato si applica al suo caso a prescindere dal momento, anteriore o successivo, in cui il fatto/reato è stato commesso. Se, al contrario, è meno favorevole, è escluso che essa possa avere un effetto retroattivo. In breve, all’accusato si applica sempre e solo la norma vigente a lui più favorevole dal momento in cui ha commesso l’illecito al momento in cui viene giudicato ( favor rei).
Al contrario, una norma di natura processuale si applica sempre nel momento stesso in cui entra in vigore, che giovi o meno all’accusato ed a prescindere dal momento in cui il reato è stato commesso. Non si vede dunque come possa affermarsi serenamente che l’introduzione, certamente a favore dell’accusato, dell’improcedibilità eventualmente maturata nel grado di appello o in Cassazione potrebbe avere effetto solo a partire da una certa data ovvero essere limitata ai soli processi per fatti nuovi, ad esempio commessi successivamente alla sua entrata in vigore.
Tutti gli operatori del diritto penale sanno bene che la distinzione tra norma sostanziale e norma processuale, non regge di fronte al principio del favor rei e sanno perfettamente che sia la Corte EDU, sia la Corte UE hanno da tempo chiarito che a decidere non è la collocazione formale di una norma nell’ambito sostanziale od in quello processuale che ciascun ordinamento nazionale resta libero di decidere, ma è la portata sanzionatoria effettiva di tale norma secondo i principi dell’ordinamento europeo e della CEDU. In parole semplici, se una norma definita dall’ordinamento nazionale come processuale o addirittura amministrativa, ha effetti diretti particolarmente gravosi per l’accusato, tale norma avrà comunque la natura di norma penale sostanziale e sarà soggetta alla regola del favor rei anche con effetto retroattivo. Sulla valutazione concreta delle norme con effetto gravemente sanzionatorio a prescindere dalla loro definizione nazionale ricordo, per tutte, le sentenze Menarini c. Italia del 27/9/11 e Grande Stevens c. Italia del 4/3/14 della Corte EDU nonché Tetra Laval del 15/2/05 e KME dell’8/12/11 della Corte UE.
Né può dimenticarsi la c.d. “ saga Taricco” in Corte UE (transitata anche in Corte Costituzionale) nell’affrontare il tema della prescrizione e dell’effettività/deterrenza/proporzionalità delle sanzioni, da bilanciare coi principi della ragionevole durata del processo e del favor rei.
E’ chiaro dunque che il legislatore penale deve porsi il problema dell’accelerazione dei processi, ma tale obiettivo non può essere raggiunto né rendendo eterna la prescrizione, né condannando a morte quasi certa i processi per reati gravi tra cui inevitabilmente si collocano i reati economici e corruttivi di competenza della Procura europea.
Detto questo mi domando se, in questa fase, alla riforma Bonafede del 2019 ed a quella Cartabia non fosse preferibile la riforma Orlando del 2017 che allungava ragionevolmente la prescrizione ed i casi di sospensione della medesima senza rendere potenzialmente eterni i processi e senza introdurre ipotesi di improcedibilità di cui non è agevole comprendere natura ed effetti.
Soprattutto, non tiriamo in ballo l’Europa nel proporre tesi piuttosto estreme che certamente non la coinvolgono.