Categorie: Diritto Penale

Responsabilità amministrativa degli enti: conferme della giurisprudenza su necessità della “colpa di organizzazione” e inammissibilità della costituzione di parte civile (“Processo Juventus”).
Data: 22 Giu 2023
Autore: Daniele Venturini

Nell’interessante rassegna relativa alla responsabilità amministrativa degli enti, si segnalano due decisioni che, tra aprile e maggio, hanno confermato alcuni importanti principi nei procedimenti de quo.

Si tratta, in particolare, della sentenza della Corte di Cassazione Penale n. 17006/2023, depositata in data 21/4/2023 e dell’ordinanza emessa, in data 10/5/2023, dal Giudice dell’Udienza Preliminare presso il Tribunale di Torino nel “Processo Juventus” (c.d. inchiesta “Prisma”).

Quanto alla prima decisione, la Corte di Cassazione, Sezione IV, era chiamata a pronunciarsi in tema di omicidio colposo aggravato dalla violazione della normativa anti-infortunistica ed alla connessa responsabilità amministrativa dell’ente ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001.

E, infatti, purtroppo, il lavoratore di un’azienda agricola del modenese aveva tragicamente perso la vita cadendo, attraverso un tombino, nel condotto fognario sottostante alle stalle e, stordito dai gas dei liquami, era stato travolto dal flusso degli stessi ed era annegato.

La difesa dell’ente, nel proprio ricorso avverso la sentenza della Corte di Appello di Bologna che lo aveva dichiarato responsabile ex art. 25 septies del D.Lgs. n. 231/2001, lamentava, per quanto qui di interesse, il vizio motivazionale in relazione alla ritenuta sussistenza del vantaggio che sarebbe stato conseguito dal medesimo ente e che costituisce un indispensabile presupposto per ritenere sussistente, nel caso concreto, l’oggettiva prevalenza delle esigenze di produzione e del profitto sulla tutela dei lavoratori.

La Corte di Cassazione, pur rigettando il ricorso, ha fornito un interessante ed utile riepilogo degli elementi costitutivi del tipo di responsabilità in parola.

La Corte, in particolare, dopo aver riconosciuto che la responsabilità degli enti si configura come modello che – coniugante i tratti degli ordinamenti penale ed amministrativo – costituisce un tertium genus compatibile con i principi costituzionali di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza e i criteri d’imputazione oggettiva della stessa, ha analizzato il modello in relazione ai reati colposi di evento in violazione della normativa anti-infortunistica.

In tale contesto, infatti, secondo il Giudice di Legittimità, la c.d. “colpa di organizzazione” deve essere concretamente ricollegata al rimprovero derivante dall’inottemperanza da parte dell’ente dell’obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione di quei reati idonei a fondare la responsabilità del medesimo ente, dovendo tali accorgimenti essere indicati in un documento che individui sia i rischi sia le misure per contrastare gli stessi.

Al fine di non svuotare di contenuto l’inserimento, tra i reati presupposto, dei delitti colposi posti in essere in violazione della normativa anti-infortunistica, la Corte ha osservato, in via interpretativa, che i citati criteri di imputazione oggettiva vadano riferiti alla condotta dell’agente e non all’evento, essendo possibile che egli violi consapevolmente la cautela o addirittura preveda l’evento, pur senza volerlo, per corrispondere ad istanze funzionali a strategie dell’ente.

In tal modo, secondo la Corte, si salva il rispetto del principio di colpevolezza in quanto può essere considerato responsabile (e, quindi, sanzionato) solo l’ente che si è giovato della predetta violazione.

Inoltre, sempre a rispetto del predetto principio, la Corte ha osservato come, per ritenere sussistente la responsabilità dell’ente, non sia sufficiente la mancanza o l’inidoneità o l’inefficace attuazione dei modelli di organizzazione, ma è necessario, appunto, dimostrare la “colpa di organizzazione” che costituisce la tipicità dell’illecito amministrativo ed ha reso possibile il compimento del reato della persona fisica (in capo alla quale sussiste una diversa “colpa”). L’illecito amministrativo, infatti, ha una struttura incentrata sul reato presupposto (che ne costituisce uno degli elementi costitutivi), rispetto al quale la relazione funzionale tra reo ed ente e la relazione teleologica tra reato ed ente, hanno la funzione di rafforzare il rapporto di immedesimazione organica e scongiurare che possa essere ricondotto all’ente un reato commesso da soggetto incardinato nell’organizzazione per fini estranei agli scopi della stessa.

Di talché, conclude la Corte, può affermarsi che l’ente risponda per fatto proprio, scongiurando addebiti di responsabilità oggettiva, quando sussiste una “colpa di organizzazione” consistente nel non avere predisposto accorgimenti preventivi idonei ad evitare la commissione di quel tipo di reati presupposto ed avente la stessa natura di elemento costitutivo del fatto tipico che la “colpa” assume nel reato commesso dalla persona fisica.

Tale “colpa di organizzazione” deve, quindi, essere dimostrata dall’Accusa unitamente agli altri elementi costitutivi dell’illecito amministrativo e, cioè, l’immedesimazione organica “rafforzata”, il reato presupposto ed il nesso causale tra quest’ultimo e la “colpa di organizzazione”.

A parere di chi scrive, quindi, la pronuncia riveste importanza per il fatto che la stessa potrà essere valorizzata in chiave difensiva favorevole alla difese degli enti: valorizzando il “principio di colpevolezza” e la “colpa di organizzazione”, infatti, eventuali comportamenti imprevedibili/inevitabili posti in essere da dirigenti/dipendenti, non potranno essere ascritti all’ente che non ha potuto in alcun modo impedirli.

Quanto, poi, all’ordinanza emessa, in data 10/5/2023, dal Giudice dell’Udienza Preliminare di Torino nel “Processo Juventus”, la stessa ha dichiarato inammissibili le costituzioni di parte civile proposte da alcuni azionisti nei confronti dell’Ente imputato ex D.Lgs. n. 231/2001.

L’ordinanza riveste un particolare interesse poiché, nel ripercorrere le pronunce di Legittimità che ritenevano inammissibile la costituzione di parte civile nei confronti dell’ente, ha elencato le ragioni poste alla base della propria scelta ed ha così preso le distanze da alcune recenti ordinanze di merito che, al contrario, avevano ammesso tale istituto.

Il GUP è partito dal fatto che – come riconosciuto dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 2251/2010 – la costituzione di parte civile nei confronti dell’ente imputato ex D.Lgs. n. 231/2001 non è in alcun modo prevista da quest’ultima normativa e tale mancanza, lungi dal costituire un’involontaria lacuna normativa, si pone in coerenza con altri aspetti confermativi della volontà del Legislatore di escluderne l’ammissibilità.

Innanzitutto, l’art. 27 del D.Lgs. n. 231/2001, nel disciplinare la responsabilità patrimoniale dell’ente, la limita all’obbligazione del pagamento della sanzione pecuniaria, senza in alcun modo menzionare le obbligazioni civili. Analogamente, il successivo art. 54, nel regolamentare il sequestro conservativo, limita quest’ultimo alla sola richiesta del Pubblico Ministero ed all’unico scopo di assicurare il pagamento della predetta sanzione pecuniaria (oltre che delle spese del procedimento e delle somme dovute all’erario); il GUP (riprendendo l’excursus della Corte di Cassazione) ricorda, infatti che, l’omologo istituto codicistico ex art. 316 c.p.p., prevede, invece, che il sequestro possa essere richiesto anche dalla parte civile a tutela delle obbligazioni civili dal reato. È, quindi, evidente la scelta consapevole del Legislatore.

Il GUP, poi, ripercorrendo la menzionata sentenza della Corte di Cassazione, ricorda come all’ente non siano applicabili gli artt. 185 c.p. e 74 c.p.p. nonostante la clausola generale di cui all’art. 34 del D.Lgs. n. 231/2001. Ed, infatti, il reato realizzato dai vertici aziendali o dai suoi dipendenti è, come visto, solo uno degli elementi costitutivi dell’illecito amministrativo da cui deriva la responsabilità dell’ente ed, evidentemente, tra i due non vi è alcuna identificazione/coincidenza.

Di talché, deve escludersi che all’ente possa applicarsi il combinato disposto ex artt. 185 c.p. e 74 c.p.p. che contengono un espresso riferimento al reato in senso “tecnico” e non all’illecito amministrativo.

L’ordinanza, poi, conviene con quella dottrina che non ravvisa alcun danno ulteriore derivante dall’illecito amministrativo, diverso da quello prodotto dal reato presupposto.

Da ultimo, poi, l’ordinanza condivide quanto già spiegato dalla Corte di Legittimità secondo cui, l’inammissibilità della costituzione di parte civile nei confronti dell’ente imputato ex D.Lgs. n. 231/2001, non costituirebbe una deroga al modello di processo ordinario in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione. Ciò in quanto, come detto, reato e illecito amministrativo sono due fattispecie distinte ed aventi elementi e presupposti diversi ed è, quindi, ragionevole che il Legislatore, a fronte di tali diversità, abbia ritenuto giustificata la scelta di escludere la costituzione di parte civile contro l’ente. La posizione del danneggiato, peraltro, è comunque garantita in quanto, oltre a poter tutelare immediatamente i propri interessi dinanzi al giudice civile, può citare il medesimo ente quale responsabile civile ex art. 83 c.p.p. nel giudizio che ha ad oggetto la responsabilità penale dell’autore del reato presupposto.

Per tutte tali ragioni sinteticamente riportate, il GUP ha ritenuto di aderire all’orientamento espresso dalla citata sentenza n. 2251/2010 della Corte di Cassazione, oltre che dalla successiva decisione n. 3786/2014, ed ha dichiarato inammissibili le costituzioni di parte civile contro l’ente imputato ex D.Lgs. n. 231/2001, così disattendendo, invece, quanto sostenuto dalla Corte di Assise di Taranto (ordinanza del 4/10/2014) e dal Tribunale di Trani (ordinanza del 7/5/2019) che avevano, invece, ammesso l’istituto contro l’ente.

 

 

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