Una lettura ragionata della recentissima pronuncia della Corte di Giustizia (Sent. 20 aprile 2023 in causa C-348/22, AGCM/Comune di Ginosa e altri) non lascia dubbi.
L’Italia ha perso per propria colpa e la politica ha raccontato agli operatori balneari una storia diversa da quella reale, illudendoli che la soluzione da loro auspicata sarebbe stata raggiunta.
E’ una storia chiara dal 2009 allorché la Commissione europea aprì la prima procedura di infrazione contro l’Italia per la mancata attuazione della c.d. Bolkestein ( Direttiva 2006/123/CE) eludendone le disposizioni attraverso il meccanismo delle proroghe.
La cosa più sgradevole fu poi il fatto che, per ottenere la chiusura di tale procedura, la Bolkestein fu finalmente recepita col D.Lvo n.59/2010 ma in concreto non è mai stata attuata. Anzi. Si è proseguito in crescendo col sistema delle proroghe, a partire dalla Legge di bilancio n. 145/18 che addirittura ne estendeva la durata per 15 anni, fino al 31 dicembre 2033.
Ovvio che a Bruxelles la cosa non sia piaciuta.
Ancor più perché, nel frattempo, la Corte di Giustizia si era espressa (nel 2016) con una pronuncia che confermava l’applicabilità della Bolkestein al demanio marittimo ed alle spiagge turistico-ricreative (Sent. 14 luglio 2016 in causa C-458/14, Promoimpresa). Importante segnalare che, in ogni caso, questa decisione lasciava margini per una diversa, futura interpretazione ove un nuovo quesito sottoposto alla Corte da un Giudice nazionale remittente fosse stato diverso.
Ne parlai diffusamente in allora, anche su questo giornale, ricordando che spesso quella “sbagliata” (rispetto al risultato voluto) non è la risposta ad una domanda ma lo è la domanda stessa. La Corte di Giustizia è un Giudice di puro diritto che interpreta la normativa unionale rilevante per la decisione del caso rispondendo rigorosamente ed esclusivamente al quesito che il Giudice nazionale formula sulla base dei fatti che lui stesso descrive e che sono oggetto del caso che deve decidere.
Senza entrare in dettagli tecnici, dalla lettura della sentenza Promoimpresa appariva ragionevole intendere che se un nuovo rinvio pregiudiziale interpretativo fosse stato formulato con riferimento a una piccola/micro impresa balneare (sono la maggioranza), la Corte europea avrebbe potuto limitare l’ambito di applicabilità della Bolkestein e del suo art.12
Chiaro che a monte di questo nuovo rinvio pregiudiziale interpretativo si rendeva (fin da allora) necessaria una seria mappatura, basata su criteri economici solidi e indipendenti, che evidenziasse nel settore in questione, le spiagge turistiche, l’esistenza di mercati diversi e non sostituibili, le piccole/micro imprese e la grandi, tali da giustificare un differente approccio giuridico in riferimento a due profili fondamentali (i) quello della “scarsità delle risorse” e della loro contendibilità concorrenziale e (ii) quello dell’ “interesse transfrontaliero certo”.
Tanto per capire, le rigorose regole europee in materia di concorrenza e di aiuti di Stato non si applicano sempre e non nello stesso modo a situazioni solo apparentemente simili. Il porto di Genova ha “rilevanza europea”, quello di Camogli no. Sono entrambi porti ma i loro “mercati” sono diversi. Gli aiuti di Stato “de minimis” sono certamente “aiuti” ma ad essi non si applicano le regole ordinarie.
Tutto ciò non è stato fatto per anni nella illusoria fiducia che il problema sarebbe stato risolto politicamente. Neppure la folle e risalente storia delle “quote latte”, finita malamente ma dimenticata dai più, insegnava qualcosa.
Nel mentre una nuova procedura di infrazione è stata aperta dalla Commissione UE, vediamo ora in sintesi cosa dispone la sentenza europea del 20 aprile scorso considerato che, con grande sprezzo del pericolo, il rinvio pregiudiziale su cui tale sentenza si fonda non è stato originato da un caso nazionale quale quello sopra auspicato e che nessuna idonea mappatura è stata finora conclusa (solo col Governo Draghi, che qualcosa di Europa capisce, si è deciso di farla):
- la Bolkestein si applica inesorabilmente anche alle concessioni di occupazione del demanio marittimo che non presentano un interesse transfrontaliero certo (punto 41)
- la scarsità delle risorse e delle concessioni disponibili può essere valutata a livello nazionale con regole oggettive e di carattere generale cui può essere combinato un approccio concreto su base comunale che si fondi su tali regole oggettive e generali (punti da 43 a 49)
- la Direttiva è stata approvata dal Consiglio con un percorso legislativo corretto e con la richiesta maggioranza qualificata (uno dei quesiti lo poneva in dubbio) trattandosi di normativa finalizzata al miglioramento del mercato interno (punto 58)
- la Direttiva ha certamente effetto diretto negli Stati membri e obbliga a garantirne l’attuazione sia i Giudici nazionali, sia le Autorità amministrative senza che sussista alcun margine di discrezionalità (punto 69). A tale obbligo sono assoggettate anche le amministrazioni comunali (punto 77)
Non mi pare proprio che sia il caso di cantare vittoria.
Meglio sarebbe, anche se temo sia tardi, adottare finalmente un approccio “tecnico” che eviti di coinvolgere nello stesso destino le grandi imprese balneari e i piccoli/micro operatori del settore che sono stati indotti a condividere in Europa lo stesso, prevedibile ed infausto destino dei primi senza che ve ne fossero i presupposti tecnici e giuridici.
Confido che vorremo tentare di evitare di accompagnare al danno per i piccoli/micro balneari il danno erariale che deriverebbe dalle rilevantissime multe cui l’Italia potrebbe essere condannata (vedi quote latte) e spero che questa incredibile storia aiuti a meglio comprendere i meccanismi di accesso ai fondi europei ed i controlli rigorosi ai quali il loro utilizzo è sottoposto ivi compreso il quello penale della Procura europea (EPPO) del Lussemburgo.
Giuseppe M. Giacomini
Avvocato esperto in diritto eurounitario e penale dell’economia
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