Categorie: Diritto Penale

Spunti sulla riforma del giudizio penale di fronte alla Corte di Cassazione prevista dalla Legge n. 103/2017: tra deflazione del contenzioso ed efficienza dell’organizzazione.
Data: 25 Set 2017
Autore: Serena Pagliosa

The 2017 Doing Business report – evaluating time and cost of business controversies -considers Italy in the 108th position in a ranking of 190 countries; the other most important EU countries have been placed in a higher position.

The First President of the Italian Supreme Court of Cassation – Dr. Giovanni Canzio as well took into consideration this statement in the evaluation of the mode of operation of Italian civil and criminal justice.

Law no. 103/2017 – exactly in order to make Italian criminal justice more efficient and capable of ensuring the application of criminal law – amended the procedural law applicable to criminal proceedings before the Supreme Court of Cassation.

These changes have the purpose both of ensuring a deflation of the controversies before the Supreme Court (avoiding the waste of time on not deserving issues) and introducing a new clear mechanism of the “precedent”, which will surely make clearer and easier the identification of the fundamental jurisprudential guidelines on the main issues of Italian law.

Nella Relazione sull’amministrazione della Giustizia nell’anno 2016, illustrata il 26/1/2017 durante la cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario 2017, il Primo Presidente della Corte di Cassazione, Dott. Giovanni Canzio, ha ricordato che il numero di ricorsi presentati alla Suprema Corte si è stabilizzato, nell’ultimo quinquennio, sulla media annua di 83.000, di cui ben 53.000 penali ed i restanti 30.000 civili (v. pag. 2 della Relazione).

Con riferimento specifico ai ricorsi penali, il Primo Presidente ha indicato i seguenti dati statistici circa l’esito di tali impugnazioni: la percentuale dei ricorsi dichiarati inammissibili è risultata essere pari al 63,5%, mentre la percentuale di quelli dichiarati ammissibili ma rigettati dalla Corte è risultata pari al 12,7%.

Soltanto il restante 22% dei ricorsi, oltre ad essere stato ritenuto ammissibile dalla Corte è stato anche accolto con sentenze di annullamento con o senza rinvio del provvedimento impugnato (v. pag. 6 della Relazione).

A tali dati, il Primo Presidente ha aggiunto quelli relativi alla percentuale di procedimenti definiti su ricorsi presentati direttamente dagli imputati, quindi senza l’ausilio di un avvocato abilitato al patrocinio di fronte alla Corte di Cassazione ed alle altre Giurisdizioni Superiori, pari al 21,9%, nonché quelli relativi ad impugnazioni avverso sentenze di patteggiamento, pari al 11,4%.

Il Dott. Canzio, sulla base di tali dati, ha espresso un giudizio positivo sul disegno di legge n. 2067, presentato dal Ministro della Giustizia – On. Orlando ed avente ad oggetto la riforma del processo penale, in allora approvato dalla Camera dei Deputati e fermo all’esame del Senato (alla data 26/1/2017, in cui si è tenuta l’inaugurazione dell’anno giudiziario).

Secondo il Primo Presidente della Suprema Corte, tale prospettata riforma: “…per la parte che riguarda le impugnazioni, reca incisive modifiche quanto all’esclusione del ricorso personale, ai limiti della ricorribilità avverso il patteggiamento e alla semplificazione della procedura di inammissibilità, così preservando la Corte da un evidente dispendio di risorse e rafforzando la sua funzione nomofilattica” (v. pag. 6 cit. della Relazione).

E’ in queste poche parole del Primo Presidente che si può leggere la “ratio” della riforma, del giudizio penale di fronte alla Corte di Cassazione, che è stata adottata nei mesi successivi con la Legge 23/6/2017 n. 103 (che è stata, per l’appunto, approvata definitivamente dalle Camere sulla base del sopra citato disegno di legge n. 2067).

Ed, infatti, l’art. 1 comma 63 della Legge n. 103/2017 ha abrogato la parte dell’art. 613 comma 1 c.p.p. che consentiva all’imputato di provvedere personalmente a presentare, sottoscrivendoli, l’atto di ricorso, le memorie difensive e gli eventuali motivi nuovi.

Sulla base della nuova legge, pertanto, l’imputato, al fine di procedere alla presentazione del ricorso, deve incaricare un avvocato iscritto all’Albo speciale della Corte di Cassazione, il quale solo, a pena di inammissibilità, può sottoscrivere tale atto di impugnazione e quelli susseguenti.

L’art. 1 comma 50 della Legge n. 103/2017 ha aggiunto all’art. 448 c.p.p. il comma 2 “bis”, in materia di impugnazione della sentenza di patteggiamento, prevedendo che tale provvedimento possa essere impugnato mediante ricorso, dal Pubblico Ministero e dall’imputato, solo in una ristretta gamma di casi, consistenti in motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena pattuita.

Sempre in ottica deflattiva, si devono segnalare le norme della Legge n. 103/2017 che hanno sottratto alla giurisdizione della Suprema Corte l’impugnazione delle ordinanze di archiviazione e delle sentenze di non luogo a procedere.

Con riferimento alla procedura dell’archiviazione, è stato abrogato l’ultimo comm dell’art. 409 c.p.p., che prevedeva la ricorribilità dell’ordinanza di archiviazione ed è stato introdotto il nuovo art. 410 “bis” c.p.p. che sancisce i casi di nullità di tale provvedimento, prevedendo che, a fronte di questi casi di nullità, la persona offesa possa presentare un atto di reclamo al Tribunale Monocratico (che emette un’ordinanza non ulteriormente impugnabile).

Con riferimento alla sentenza di non luogo a procedere emessa all’esito dell’udienza preliminare, l’art. 428 c.p.p. è stato modificato dalla Legge n. 103/2017 con la semplice sostituzione delle parole che indicavano il mezzo di impugnazione di tale provvedimento: le parole “ricorso per cassazione” sono state sostituite dalla parola “appello”. Pertanto, in un’ottica di economia giudiziaria, il carico delle impugnazione presentate avverso le sentenza di non luogo a procedere è stato spostato dalla Corte di Cassazione alle Corti di Appello (peraltro, in questo caso, la sentenza di non luogo a procedere emessa dalle Corti territoriali potrà essere impugnata solo per alcuni dei motivi indicati dall’art. 606 c.p.p.).

Come è stato prima indicato, riportando le parole del Primo Presidente Dott. Canzio, la finalità perseguita dalla Suprema Corte, consistente nell’evitare ogni dispendio di risorse e favorire il rafforzamento della funzione nomofilattica, si basa non solo su di una normativa di tipo deflattivo (come quella sopra ricordata), ma anche sulla adozione di norme tali da rendere più funzionale ed efficiente la macchina organizzativa della Corte.

Ed, infatti, all’art. 610 c.p.p., in materia di atti preliminari al procedimento di fronte alla Suprema Corte, è stato aggiunto dalla Legge n. 103/2017 il comma 5 “bis”, il quale prevede una procedura più snella e fluida per gli apparati della Corte nel selezionare ed accertare i casi più evidenti di inammissibilità dei ricorsi presentati.

Nei casi in cui l’inammissibilità del ricorso derivi dal fatto che è stato presentato da chi non è legittimato e non ha interesse, dal fatto che il provvedimento non era impugnabile, dal fatto che non siano state osservate le disposizioni di cui agli artt. 582, 583, 585 e 586 (in materia di modalità di presentazione dell’impugnazione e di termini entro cui presentare la stessa, nonché di impugnazione di ordinanze infradibattimentali), ovvero dal fatto che vi sia stata rinuncia all’impugnazione, “…la corte dichiara senza formalità di procedura l’inammissibilità del ricorso”.

Ciò significa che la Corte è facoltizzata ad esprimersi su ricorsi palesemente inammissibili senza ricorrere alla procedura in camera di consiglio fino ad ora prevista, anche per tali casi, dall’art. 611 c.p.p., e, quindi, senza alcuna forma di contraddittorio, nemmeno cartolare.

Altri casi in cui la Suprema Corte può decidere “de plano” circa l’inammissibilità dei ricorsi sono quelli in cui gli stessi riguardano sentenze di patteggiamento o sentenze che applicano il concordato in appello reintrodotto dalla Legge n. 103/2017 all’art. 599 “bis” c.p.p.

A questo punto, è bene concentrarsi anche su di una delle finalità che la Suprema Corte si è imposta, per il tramite del suo Primo Presidente, ossia il rafforzamento della funzione nomofilattica propria di tale Giudice di legittimità.

Sul punto, la Relazione del Dott. Canzio è davvero molto chiara nell’affermare che: “…oltre ogni mero efficientismo di tipo aziendalistico, che sarebbe incompatibile col compito di garanzia affidatole dalla Costituzione, la credibilità dell’Istituzione (ndr, della Corte di Cassazione) pretende che la Corte assicuri la tendenziale certezza del diritto, intesa come prevedibilità e uniformità delle decisioni, attraverso la formazione di <precedenti> autorevoli, nel dialogo fecondo con le altre Corti nazionali ed europee” (v. pag. 7 della Relazione).

Non è un caso, ad avviso di chi scrive, che la riforma sia andata a toccare un ganglo fondamentale della normativa processuale, ossia, quello che riguarda i casi in cui la Suprema Corte è chiamata a dirimere una questione giuridica esprimendosi a sezioni unite e, quindi, andando a costituire il massimo consesso giurisdizionale della Repubblica espresso dalla Magistratura ordinaria.

Se prima della riforma, l’art. 618 c.p.p. si limitava a prevedere tale caso nella sola ipotesi in cui una sezione della Corte ravvedesse un contrasto giurisprudenziale riguardante una questione di diritto e quindi rimettesse il ricorso alle sezioni unite, ora, a seguito della riforma, l’art. 618 c.p.p. è stato integrato con due nuovi commi che vanno a trattare un’ipotesi in precedenza non normata dal Legislatore processuale.

“Quid iuris”, a livello processuale, se una sezione della Corte si trovava/si trova di fronte, relativamente ad una determinata questione di diritto, ad una sentenza precedentemente emessa a sezioni unite e non condivideva/condivide il principio di diritto espresso con quella sentenza?

Si tratta di una vicenda processuale, certamente non nuova e fisiologica, che, prima della riforma, non era normata, e veniva affrontata mediante l’attesa da parte delle singole sezioni che passasse un congruo lasso di tempo successivamente alla sentenza emessa a sezioni unite, al fine di emettere singole sentenze dissenzienti, finalizzate a creare un nuovo contrasto giurisprudenziale, con conseguente ulteriore remissione della questione alle sezioni unite.

Il nuovo assetto dell’art. 618 c.p.p., così come delineato dalla riforma, prevede che, nel caso in cui una sezione della Corte ritenga di non poter condividere il principio di diritto precedentemente sancito da sentenza emessa dalla Corte a sezioni unite, non può emettere una nuova sentenza dissenziente rispetto a tale precedente, ma deve rimettere alle medesime sezioni unite, con ordinanza, la decisione del ricorso.

Con tale ordinanza, la sezione della Corte deve indicare alla sezioni unite le ragioni per cui non condivide il principio di diritto da queste ultime espresso con riferimento alla questione di diritto riguardata dal ricorso. A questo punto, è la Corte a sezioni unite che dovrà decidere se confermare il precedente arresto, ovvero, se modificarlo in parte o in tutto così come richiesto dalla sezione semplice.

In un’epoca di grande instabilità, non solo politica (in senso ampio) ma anche giuridica (sotto il profilo delle continue innovazioni legislative e giurisprudenziali), in cui in ambito penale si guarda con grande attenzione al fenomeno del cosiddetto “overruling” (ossia dei repentini cambiamenti giurisprudenziali della Corte a sezioni unite, che di volta in volta escludono o affermano la penale rilevanza di determinate condotte, in relazione alle singole fattispecie di reato previste dalla legge), è evidente l’intento del Legislatore, da un lato, di confermare l’autorevolezza della fonte degli orientamenti giurisprudenziali della Suprema Corte, dall’altro, di cristallizzare detti orientamenti in modo chiaro ed evidente non solo per gli addetti ai lavori (magistrati ed  avvocati), ma anche per gli osservatori esterni del sistema giudiziario italiano (che, in più occasioni, hanno manifestato perplessità sulla prevedibilità degli esiti della applicazione delle legge italiana).

Del resto, non è un caso che nella sua Relazione di inaugurazione dell’anno giudiziario il           Dott. Canzio abbia segnalato che: “Il rapporto Doing Business 2017 colloca l’Italia, quanto a tempi e costi delle controversie commerciali, al 108° posto in una graduatoria di 190 Paesi, mentre i più importanti Stati dell’UE sono collocati in una posizione più alta…”  (v. pag. 2 della Relazione).

Da ultimo, resta da trattare il punto di vista proprio dell’Avvocatura rispetto a tale riforma del giudizio penale di fronte alla Suprema Corte.

E’ indubbio che si tratta di una giurisdizione davvero difficile da approcciare e di fronte alla quale la difesa risulta molto ardua se solo si considera che, alla luce dei dati, è (paradossalmente) già un risultato ottenere dalla Corte una declaratoria di ammissibilità del ricorso, seppur con conseguente rigetto dello stesso.

Sommando i casi in cui i ricorsi sono stati dichiarati inammissibili e quelli in cui sono stati dichiarati ammissibili ma rigettati, si può affermare che la Corte di Cassazione è un Giudice di fronte al quale il ricorrente rischia di perdere nel 70% dei casi!

E’ evidente, quindi, la sfida che rappresenta per gli avvocati cassazionisti il patrocinio delle cause dei loro assistiti di fronte alla Suprema Corte ed il fatto che questi difensori devono dimostrare una altissima competenza tecnico-giuridica oltre che una altissima professionalità.

A proposito di quest’ultimo punto, infatti, si deve tener conto del fatto che la riforma ha modificato l’art. 616 c.p.p., che prevede la sanzione pecuniaria per la parte privata nel caso in cui il suo ricorso sia dichiarato inammissibile, prevedendo che detta sanzione (che statuisce già una significativa forbice tra un minimo e massimo edittali pari ad €. 258 ed €. 2.065) possa essere dalla Corte aumentata fino al triplo.

Ne consegue che l’avvocato cassazionista, oltre a dover verificare di per sé la proponibilità del ricorso sotto il profilo tecnico-giuridico, dovrà anche valutare le conseguenze per la parte patrocinata in caso di declaratoria di inammissibilità del ricorso presentato e della conseguente irrogazione di una sanzione pecuniaria alla parte che, almeno astrattamente, può raggiungere e superare i 6.000 €. Di tal che, sarà necessario che l’informativa al Cliente, oltre ad essere il più possibile completa ed esaustiva sugli aspetti tecnici del ricorso, sia anche trasparente circa le possibili conseguenze economiche dello stesso in ragione della potenziale irrogazione della sanzione pecuniaria in caso di declaratoria di inammissibilità del ricorso presentato.

 

 

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